La repressione non fermerà la lotta

Nella giornata del 26 settembre la Digos di Torino ha notificato ad un compagno un foglio di via per due anni dal comune di Asti emesso dalla Questura astigiana
Il motivo descritto nel divieto è quello di aver partecipato ad una manifestazione non autorizzata e ad un blocco stradale.
I fatti si riferiscono al 7 settembre, quando ad Asti un gruppo di compagnx è sceso in strada nelle zone antistanti la stazione e Corso Matteotti interrompendo, per qualche momento, la quotidianità di chi si riversava in piazza del Palio per l’inizio delle Sagre (manifestazione storica della città di Asti che mette al centro i piatti tipici e il vino del territorio e che attira centinaia di turisti ogni anno). 
Abbiamo cercato di far luce sulla macchina sfruttatrice e razzista che stato, padroni e organizzazioni datoriali, come Confagricoltura e Coldiretti, alimentano per mandare avanti un pezzo della malconcia economia italiana. La nostra solidarietà era diretta ai braccianti sfruttati e picchiati nelle Langhe, nel Saluzzese, a chi è costretto a lavorare per pochi euro al giorno, senza un posto dignitoso dove poter dormire, sotto il costante controllo della polizia. Quella stessa solidarietà voleva rompere la morsa della routine mortifera che isola e rende sorde soprattutto le città di provincia come la nostra di fronte allo sfruttamento lavorativo e alla sue connessioni con il ricatto del permesso di soggiorno, la clandestinizzazione delle persone migranti e i Centri di detenzione amministrativa (CPR). Dopo gli episodi di aggressione ad alcuni braccianti dell’albese da parte dei loro caporali e in vista della riapertura del Centro per i Rimpatri di Torino ci è sembrato urgente, da un lato portare in strada la realtà dello sfruttamento e della violenza razzista che si cela dietro il mercato del vino e della frutta, dall’altro portare la nostra solidarietà in una zona della città colpita da retate, operazioni di polizia, controlli e deportazioni, richieste a gran voce da tutto l’arco politico istituzionale della città, e probabilmente diminuite nell’ultimo anno anche grazie alla chiusura del CPR di Torino a seguito delle rivolte dei reclusi del marzo 2023. Una lotta, quella dei reclusi del CPR, che ha garantito un briciolo di libertà in più alle persone che si muovono sul territorio piemontese, ma che per effetto della ristrutturazione e riapertura rischia di essere resa vana.
Scendere in strada, autorganizzarci ed esprimere solidarietà agli oppressi e contrarietà contro ogni forma di oppressione ci sembra il minimo di fronte alla violenza dello Stato, delle sue frontiere e delle sue prigioni, non solo nelle grandi città, ma ovunque. La presenza in strada quel 7 settembre ha generato piccoli gesti di solidarietà da parte di alcune persone che ascoltavano le nostre parole ed è stata capace di rompere, per qualche momento, la sensazione che ogni possibilità di movimento sia controllata da polizia e telecamere. 
In un presente/futuro dove ogni pratica di lotta o parola di dissenso sarà punita e criminalizzata, l’unica strada che abbiamo è continuare a lottare
Un abbraccio solidale al compagno di Torino raggiunto dal foglio di via da Asti. 
LA REPRESSIONE NON FERMERÀ LA LOTTA 
IN SOLIDARIETÀ A CHI LOTTA ED È SFRUTTATO NELLE CAMPAGNE, A CHI SFUGGE ALLA VIOLENZA DELLE FRONTIERE CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI CORSO BRUNELLESCHI A TORINO

PER UNA CHIAMATA DI DISCUSSIONE E MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO I MILLE VOLTI DEL RAZZISMO DI STATO.

TORINO / 1,2 e 3 Novembre 2024

Se primavera ed estate 2024 sono state scandite dal calore di proteste, scioperi, rivolte ed evasioni – sopratutto dentro le galere di in ogni parte del paese – non si può dire che la controparte non stia, di pari passo, affilando la sua lama, puntandola spietatamente contro poverx, migranti e ribelli nonché chiunque porta solidarietà e prova a opporsi e resistere. Gli strumenti legislativi a disposizione delle procure si stanno, infatti, rimpolpando di disegni e decreti legge criminogeni che mirano ad ampliare il ventaglio dei reati, intensificarne le pene e abbassare la soglia di punibilità.

Il ddl 1660, in corso di approvazione, rispecchia molto bene la realtà in cui ci vogliono costringere a vivere. Difatti, in maniera molto dettagliata e puntuale, va a colpire tutti gli ambiti dove negli ultimi anni sono state portate avanti le proteste e le lotte più incisive che hanno attraversato il paese, dai luoghi di detenzione (carcere e CPR) alle mobilitazioni contro il disastro climatico.

D’altronde non servirebbe uno degli ultimi omicidi – in ordine temporale, e tra i più noti, che da decenni accadono nelle campagne italiane – di Satnam Singh a ricordarci che la linea del colore e l’oppressione di classe segnano indelebilmente il destino all’interno delle dinamiche di sfruttamento della forza lavoro. O l’assassinio di Oussama Darkaoui nel CPR di Palazzo San Gervasio a ribadire, ancora una volta, come le galere amministrative assolvano quotidianamente a uno dei loro compiti principali: terrorizzare i/le liberx senza documenti europei – resx clandestinx dalle leggi – affinché non osino lottare, autodeterminarsi ed esistere fuori dagli schemi della paura e del dominio.

Eppure, questa calda estate ci ha dimostrato che davanti alla brutale ingiustizia e violenza agita dallo Stato, non è solo la paura a dominare gli animi. Da Nord a Sud le proteste hanno scaldato i centri di detenzione – sia penale che amministrativi, ad ogni latitudine e per mano di ogni età. Fuori da quelle mura, solidali e complici han cercato le proprie strade per mostrare supporto, tessere legami, far circolare le notizie, rendersi tasselli di comunicazione, affiancando chi ha deciso di parlare per sé attraverso rivolte e proteste.

Sappiamo che il capitalismo differenziale – tanto più se in crisi economica e in un panorama bellico – ha sempre più bisogno di allargare le maglie quantitative del contenimento, irregimentare i metodi di tortura con il fine – neanche tanto sottinteso – di terrorizzare su larga scala e contenere coloro che si ribellano. Guerra, violenza, repressione, sorveglianza e incarcerazione, costituiscono gli strumenti necropolitici per antonomasia che si ripercuotono materialmente sui corpi provocando morte e sofferenza. Spezzano i legami ma, allo stesso tempo, producono nuove relazioni sociali, nuove grammatiche del potere, iscrivendole all’interno di un’economia politica imperniata sulla gerarchizzazione dell’umano.

La necropolitica, provando a interpretare i presenti sconvolgimenti globali, non è tuttavia semplicemente un processo bensì un vero e proprio paradigma. Il conflitto bellico tra l’Ucraina e la Federazione Russa e il genocidio in atto da parte dello stato sionista nei confronti della popolazione palestinese, sono – all’interno di questo quadro – potenti esempi di come agisce tale macchina.

Alle nostre latitudini i venti di guerra soffiano in molteplici direzioni; ne sono un esempio, da un lato, gli investimenti massicci nel settore bellico da parte del governo Meloni, dall’altro la stesura di decreti sicurezza, creati ad hoc, in cui vengono categorizzati sempre più nuovi nemici interni, evocando incessantemente una supposta minaccia incombente sulla stabilità del sistema economico e sociale.

Non limitandoci a osservare il fenomeno della guerra, come mera espressione dei/delle governanti di turno o di contingenti necessità geopolitiche, ci preme piuttosto leggere il presente bellico come parte integrante del capitalismo, e nella fattispecie di quello neoliberale, grimaldello della paura e della retorica massmediatica: base discorsiva per l’assestarsi o l’accelerare di alcune modificazioni del presente. Fondamentale, in merito ai discorsi oggetto di questa chiamata, l’intensificarsi di una retorica potente sul nemico interno delineato, non solo in chi lotta o dissente, ma soprattutto in colui che si trova ai margini del privilegio di classe e razza. A tal proposito, il razzismo sistemico e sistematico, l’islamofobia, la clandestinizzazione forzata delle persone in viaggio senza documenti europei, la brutalità delle frontiere e le morti in galere e CPR, sono parte del complesso set di strumenti torturatori che il potere si dà per tenere sotto scacco una vasta quantità di popolazione. Ne consegue un’architettura lineare che oggi sfrutta sul lavoro, domani capitalizza nei centri di detenzione e – magari – in un futuro guerreggiato neanche troppo lontano, ricatta per comporre le fila di una possibile legione straniera.

Delineare la geografia del razzismo sistemico e sistematico diventa lo strumento analitico fondamentale per trovarsi, tra complici e solidali, riconoscersi e identificare i punti di attacco. A seguito dell’importante chiamata promossa dalla Rete Campagne in Lotta (https://campagneinlotta.org/violenze-e-morte-alle-frontiere-razzismo-quotidiano-segregazione-rispondiamo-a-tutto-questo/) ad Aprile a Roma, proponiamo un seguito di quel momento di confronto a Torino, per l’1/2/3 Novembre 2024.

Occasione preziosa per lanciare anche un’iniziativa pubblica contro la riapertura del CPR di Torino, chiuso per la prima volta nel Marzo 2023 grazie a tre settimane di coraggiose rivolte, che han permesso al fuoco di distruggere, totalmente, una galera per persone senza documenti europei attiva da 25 anni.

Un anno e mezzo fa, all’incirca, il CPR di Corso Brunelleschi veniva distrutto dalla rabbia dei reclusi, rendendo materialmente più fragile un tassello della macchina delle espulsioni nostrane. Da quelle calde giornate invernali di fuoco, numerose sono state le rivolte, le evasioni e gli scontri contro la polizia, che hanno caratterizzato la quotidianità all’interno dei lager di Stato italiani. La violenza agita dalla detenzione amministrativa va inserita in un quadro ampio e complesso che conduce a uno sguardo sulla macchina delle espulsioni e ai CPR, come la punta visibile di un iceberg, in cui si annodano più strati e substrati di violenza e razzismo sistemico.

Se, infatti, il razzismo è un concetto solido – tangibile nella sua produzione di conseguenze materiali – urge produrre un discorso intellegibile che, con puntualità, renda esplicita la geografia dell’oppressione, lungo la linea del colore e della classe.

Estrapolare la lotta contro i CPR, da un discorso unicamente antidetentivo, ci consente di rendere esplicito il ruolo che queste prigioni hanno nel fungere anche, e non solo, da monito ai liberi e rafforzare così il ricatto del permesso di soggiorno. Lottare contro le galere amministrative, assume così, un significato nel porsi a fianco dei migranti, lavoratori e non, che chiedono documenti, casa e tutele per tuttx. In questo panorama, attaccare la forma tangibile di una frontiera vuol dire porsi al fianco di chi è rimbalzato, tramite dispositivi e leggi europee, tra l’essere l’oggetto di scambio tra Stati, merce di profitto per privati, strumento di pressione mediatica per fini nazionalistici e/o manodopera a basso costo.

Sentiamo sempre più urgente, prioritario e impellente incontrarci e organizzarci per analizzare il reale mortifero in cui viviamo, trovarci tra complici e tessere le reti di alleanze possibili con il fine di trovare i punti di attacco all’impianto razzista che scandisce la quotidianità nel capitalismo di oggi.

Il coraggio dirompente del reclusi del CPR di Torino nel Febbraio 2023 non può rimanere silente, dimenticato e rifagocitato dalla macchina razzista.

A tal proposito invitiamo compagnx, complici, solidali a venire a Torino nei primi giorni di Novembre per tre giorni di discussione e mobilitazione nazionale.

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PROGRAMMA GIORNATE

VENERDI 1 NOVEMBRE

ORE 16 CORTEO NEL QUARTIERE DI SAN PAOLO CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI CORSO BRUNELLESCHI

SABATO 2 NOVEMBRE

DALLE ORE 1O ASSEMBLEA PRESSO IL CSOA GABRIO, via Millio Torino

DOMENICA 3 NOVEMBRE

DALLE ORE 10 ASSEMBLEA (solo la mattina)

Per info e ospitalità scrivere a: antirazzistxpiemonte @ autistici.org