NOME DI BATTAGLIA “NEDO”

In via Mazzini n. 6, proprio qui vicino, visse gli ultimi anni della sua vita il partigiano Giacomo Tartaglino, nome di battaglia “Nedo”. Nato nel 1878 a Mongardino fu in gioventù ferroviere e sindacalista. Allo scoppio del Primo conflitto mondiale aiutò centinaia di disertori a espatriare in Svizzera, per sfuggire a una carneficina che in nome della patria farà milioni di morti, feriti, mutilati e sfollati. Disertore egli stesso, colpito da una condanna a morte per tale attività di espatrio clandestino, scappò in Germania. Qui prese parte al tentativo rivoluzionario dei Consigli di Baviera, represso nel sangue dai corpi franchi. Ritornato ad Asti visse braccato dal regime fascista, più volte arrestato, perquisito e fermato. Una sorveglianza estenuante e continua che lo costrinse a cambiare moltissime volte domicilio e lavoro. Nel 1944, a 65 anni,Tartaglino si unisce ai partigiani garibaldini. A luglio è nel Canavese, in montagna con la brigata “Saverio Papandrea”. Nel settembre passa alla 100°, distaccamento Corio e nell’inverno prende parte ai violenti combattimenti che si svolgono contro le forze rastrellanti nazi-fasciste in Val Tiglione. Nel dopoguerra aderirà alla neonata Federazione Anarchica Italiana (FAI), facendosi promotore del Gruppo Anarchico “Pietro Ferrero” con sede proprio qui, presso la sua abitzione. Morirà nel 1961 ad Asti, in condizioni di vita modestissime, senza mai rinnegare i propri ideali libertari e svolgendo fino alla fine il mestiere di calzolaio.

LA MEMORIA DEI PARTIGIANI VIVE NELLE LOTTE

Nel ricordare la storia di Tartaglino vogliamo ricordare le vite di quanti/e non si limitarono alla sola lotta contro il fascismo. Le vite di tutt* quell* che si impegnarono in un progetto rivoluzionario di trasformazione radicale della società. Vogliamo qui oggi ricordare un antifascismo che non si sentiva esaurito negli esiti della democrazia e della Costituzione. Un antifascismo che voleva edificare un mondo nuovo di uomini e donne liber*, senza padroni. Senza più sfruttati nè sfruttatori, senza oppressioni di genere, senza confini. Quest* antifascist* sapevano bene che il fascismo non sarebbe finito con la Liberazione ed oggi la loro lezione appare quanto mai attuale. Oggi che assistiamo al diffondersi di ideologie sfacciatamente razziste, autoritarie, escludenti, populiste. Ideologie che spesso incrociano teorie del complotto non molto diverse da quelle antisemite che circolavano durante il fascismo. Mentre i politicanti soffiano sul fuoco della guera tra poveri, sempre più ci si affida ad irrazionali spiegazioni di un mondo che non si riesce più a comprendere e di fronte al quale ci si sente impotenti. Frustrati da condizioni di vita sempre più degradanti, diventa facile credere che ci sia una grande cospirazione agita da forze oscure e che la colpa sia degli ultimi arrivati, dei diversi e di chi è costretto a vivere nell’emarginazione. In tale quadro ogni forma di solidarietà tra oppressi viene spazzata via e l’unica cosa che rimane è l’essere italiani, bianchi, cristiani, legati alle tradizioni, ognuno al proprio posto, strettamente ancorato al ruolo assegnato: gli uomini machi e violenti, le donne remissive e in casa a pulire e badare ai figli. Un sistema oppressivo e mortifero che sta riacquistando fascino. Un sistema basato sul razzismo, l’identità nazionale, la cultura machista e il tradizionalismo. Insomma tutti gli ingredienti che scatenarono il nazi-fascismo ieri e che continuano a minacciare le nostre vite oggi. Questa minaccia, di fronte al netto peggioramento delle condizioni di vita dovute alla pandemia, è oggi più che mai seria. Perchè da tutto questo all’invocazione di un uomo forte, di un duce che sappia sistemare tutto il passo è breve. Partigiani come Tartaglino sapevano che per sconfiggere il fascismo una volta per tutte non sarebbe stato sufficiente invocare gli articoli di una Costituzione. Per abbattere il fascismo è necessario lottare quotidianamente contro le condizioni che lo rafforzano e che lo rendono possibile: le ingiustizie economiche generate dal sistema economico, i confini, la cultura patriarcale di preti e politicanti, il nazionalismo che ci vorrebbe tutt* “pronti alla morte”, il militarismo che riempie di divise le nostre strade, il complottismo che ci fa sentire pedine impotenti. La memoria dei partigiani come Tartaglino non è dunque nelle stantie celebrazioni istituzionali ma soffia forte nelle nostre lotte: a fianco dei lavoratori che si auto-organizzano contro lo sfruttamento imposto dai padroni, contro il razzismo e le frontiere, a fianco delle identità erranti e non conformi, insieme ai movimenti LGBTQI+ e transfemministi, contro tutti gli eserciti e a difesa dei territori, contro progetti criminali come il TAV. I nostri nemici non agiscono attraverso oscuri e inafferrabili complotti. Oggi come allora sono sempre gli stessi: sono i padroni che ci sfruttano in nome del profitto. Sono i governi che impongono opere devastanti e inutili con la militarizzazione, drenando soldi pubblici, distruggendo la sanità e gestendo criminalmente la pandemia. Contro di loro, oggi come allora, abbiamo le stesse armi: la solidarietà, il mutuo appoggio, l’auto-organizzazione, l’azione diretta.

 

La memoria dei partigiani vive nelle lotte!

25 aprile ad Asti
Piazza Cairoli (piazza del cavallo)
H15:00.

Vi racconteremo la storia – inedita – di Nedo, un partigiano anarchico della nostra città! A seguire interventi musicali, la distro del Felix e tanta bella compagnia!

L’evento è all’aperto con spazio sufficiente per garantire la distanza e calda raccomandazione ad usare dispositivi di protezione individuale. Accertiamoci sempre del consenso nella vicinanza, prendiamoci cura di chi ci sta accanto.

Cacciamo i catto-fascisti dagli ospedali!

intervento della miccia al presidio di ieri

Il 2 ottobre 2020 la Regione Piemonte, presieduta dal forzista Cirio, ha emanato una circolare che limita l’uso del farmaco RU 486 per l’interruzione volontaria di gravidanza alle sole strutture ospedaliere, in opposizione a quanto stabilito in agosto dal ministero della sanità che ne aveva ampliato l’uso anche nei consultori. Un divieto esplicito che si accompagna, nella stessa circolare, ad un’iniziativa grottesca: l’apertura degli ospedali alle associazioni antiabortiste pro-life.
Oggi la regione dà seguito alla circolare inviando alle Asl le indicazioni per avviare collaborazioni con queste associazioni per la “tutela della vita fin dal concepimento”. Conosciamo bene questi gruppi e la loro narrazione, li abbiamo visti a Verona con i loro feti di plastica, li conosciamo  e rifiutiamo la loro interferenza sulle decisioni che riguardano solo noi e i nostri corpi. Ci propongono la loro retorica bugiarda e ipocrita “in difesa della vita” mentre lavorano alacremente proprio per negarci la vita e la libertà, cercando di privare ciascuna di noi di quella che deve essere una libera scelta. 
Condannare le donne alla maternità come obbligo è omicida perchè significa ricacciarci tra le grinfie dell’aborto clandestino. E questo proprio grazie ai cattofascisti del movimento pro vita che, ben lungi dal difendere la vita, hanno sulla coscienza le esistenze di migliaia di donne massacrate dall’aborto clandestino, dai decotti al prezzemolo, dalle grucce, dalla povertà, dall’impossibilità di scegliere. 
Questo vile attacco alla libertà delle donne è possibile proprio nel nome della legge 194 del 1978, che stabilisce le procedure legali per l’aborto. Una  usata come grimaldello per rendere più difficile quando non impossibile la scelta delle donne.
In Piemonte la 194 viene infatti usata come giustificazione per limitare l’aborto farmacologico e per dare spazio ai catto-fascisti: nella circolare emanata dalla giunta Cirio, le misure restrittive adottate sono giustificate proprio come attuazione della 194.
Sembra una contraddizione, ma è quotidianità. A fronte di tutto questo possiamo bene vedere le leggi per quello che sono: rappresentazioni ritualizzate dei rapporti di forza presenti all’interno della società. Lettere morte di movimenti vivi che hanno cercato e cercano tuttora di realizzare un’emancipazione totale della società e non solo piccoli miglioramenti parziali. Lotte che avendo incominiato a gustare un po’ di libertà erano intenzionate a prendersela tutta. Tante leggi, a posteriori definite “conquiste”, non sono state infatti altro che limitate concessioni a movimenti che miravano a ben di più. 
Oggi i percorsi della libertà femminile sono sotto il costante attacco di chi vorrebbe riproporre una visione patriarcale dei generi e di chi individua nella maternità un destino da cui le donne non devono sottrarsi, tornando docili nella gabbia familiare. La negazione delle identità non conformi e l’asservimento delle donne libere sono due facce della stessa medaglia, indispensabili alla riaffermazione della famiglia come nucleo politico ed etico del patriarcato alle nostre latitudini. La famiglia è la fortezza intorno alla quale i raggruppamenti identitari e sovranisti pretendono di ri-fondare un ordine politico e sociale gerarchico ed escludente, fondato sul privilegio e sull’oppressione di chi ne è escluso.
La giunta Cirio mira a cancellare i percorsi della libertà femminile, ponendo le donne sotto tutela: ci descrivono come soggetti deboli, incapaci di decidere per noi stesse e quindi bisognose di una guida che ci faccia desistere dall’insano proposito di essere libere.
Questo sostegno, nel caso della Regione Piemonte, arriverebbe dalle associazioni pro-vita. Enti che agiscono da decenni come soggetti privati ma oggi entrano nelle strutture sanitarie con il finanziamento della Regione e in osservanza alla legge 194.
“Il presidente della Regione e gli assessori alla Sanità e agli Affari legali precisano che tali indirizzi rispondono alla volontà, unanimemente condivisa dalla Giunta regionale e dai presidenti dei gruppi consiliari di maggioranza, di garantire il pieno rispetto delle disposizioni della legge 194 poste a garanzia della piena libertà di scelta della donna se interrompere volontariamente la gravidanza o se proseguirla”.
Nella neolingua del governo regionale piemontese, per difendere “la libertà di scelta della donna”, si finanziano gli sportelli delle associazioni antiabortiste.
Il vero nodo è la legge 194, la legge che, dopo la depenalizzazione dell’aborto, pose seri limiti alla libertà di scelta delle donne. La 194 è una gabbia normativa, che i nemici della libertà femminile hanno imparato ad usare.
Due anni fa l’Avvenire indicava nell’obiezione la strada maestra per rendere impossibile scegliere di abortire. In Piemonte oltre il 60% dei medici si dichiara obiettore. In molte zone d’Italia si arriva al 100%. Questa strategia è comune e diffusa in tutti gli ambienti reazionari come il modo più funzionale per ostacolare libertà come l’aborto o la transizione di genere: non negarne legalmente l’esistenza, almeno non ancora, ma renderle di fatto difficili da esercitare e quanto più possibile impraticabili.
Non vogliamo limitare la libertà dei medici di rifiutare di agire contro la propria coscienza, d’altra parte esistono decine di specializzazioni in cui un medico può formarsi senza mai sfiorare un aborto. Ma pretendiamo che si diano le condizioni perché nessuno limiti la libertà di scelta delle donne, perché nessuno metta a repentaglio le nostre vite, perché nessuno possa ricattarci, umiliarci, piegarci. 
Eravamo fuorilegge, siamo state messe sotto l’ombrello della legge: è tempo che si lotti per essere davvero libere. Senza legge.
Basta allo stigma e al ricatto sui nostri corpi, basta ai sensi di colpa patriarcali  con cui le associazioni pro-vita vogliono manipolarci. Cacciamo i catto-fascisti dagli ospedali! 
Lottiamo per spazzare via il patriarcato dalle nostre vite! 
Fuori preti e governi dalle nostre mutande!
Laboratorio Autogestito la Miccia
Abort the pope – grafica di postromanticqueerwave.noblogs.org

VAGLI A SPIEGARE CHE È PRIMAVERA – CONOSCERE IL CARCERE PER ABBATTERLO

Domenica 18 Aprile – H. 16 – Corso Alfieri (davanti Unicredit) – Asti

A un anno dalla rivolta nelle carceri italiane, primo appuntamento del percorso di informazione e lotta contro le prigioni.

Vagli a spiegare che è primavera
Un anno fa, nel marzo 2020, il governo risponde all’emergenza pandemica innalzando ancora di più le mura del contenimento carcerario. 
Il 22 febbraio 2020 il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria emana una circolare in cui si dispone che tutti gli operatori penitenziari, volontari e familiari dei detenuti residenti nelle zone rosse non entrino negli istituti penitenziari. Nei giorni seguenti gli istituti penitenziari avviano una politica di chiusura forzata al mondo esterno, sospendendo i colloqui e i regimi di semi-libertà. La risposta dei detenuti nelle carceri di mezza Italia è l’unica possibile. Radicale come estreme sono le condizioni in cui si trovano.
Tra l’8 e il 9 marzo scoppiano rivolte in oltre 70 istituti penitenziari a cui si aggiungono manifestazioni in altri 30 istituti su un totale di 189 prigioni sul territorio nazionale. 
I motivi delle rivolte riguardano il blocco dei colloqui con i parenti e la richiesta di maggiori garanzie rispetto alla gestione dell’emergenza sanitaria, in contesti dove il sovraffollamento è ormai un dato cronico. Alla fine di febbraio 2020 le carceri ospitavano 61.230 detenuti a fronte di 50.931 posti disponibili. Un tasso di affollamento del circa 120%, reso ancora più insostenibile dalla pandemia.
Mentre il governo stabiliva come far fronte all’emergenza sanitaria vietando gli assembramenti e imponendo la distanza minima di un metro tra le persone, i/le detenut* erano costrett* a stare ammassat* e ad essere espost* al continuo rischio di contagio per la presenza del personale penitenziario che entrava ed usciva dalle prigioni. 
Il bilancio di quei giorni è un bollettino di guerra: 13 morti, fatti passare dalle istituzioni pubbliche e dai mass media come “overdosi da metadone”, a seguito di frettolose autopsie e sbrigative cremazioni. Insomma se i detenuti muoiono durante le   rivolte   sono   dei   tossici   senza   speranza, talmente  poco  esperti  e  avvertiti  da  morire  di  overdose  da  metadone. Se invece sono  ammessi  alle misure  alternative  in  epoca  di  pandemia,  sono per forza esponenti  di  associazioni  criminali  di  stampo  mafioso  che  usano  le  rivolte  come  ricatto  allo stato.  Risulta incomprensibile come questo sia potuto accadere quando tutt* sanno che l’overdose da metadone è facilmente curabile: in dotazione da vent’anni in tutte le ambulanze, e ovviamente in tutte le carceri, c’è la fiala (miracolosa) chiamata Narcan, che riporta in vita i morituri. Ma, evidentemente, non venne usata; né a Modena, né durante i trasferimenti. 
Nei giorni successivi alla rivolta, una quarantina di detenuti verranno trasferiti dal carcere di Modena a quello di Ascoli. Tra loro Sasà (Salvatore Piscitelli) che morirà di lì a poco, nella più totale indifferenza delle guardie. Per rompere il silenzio cinque detenuti, tra cui il compagno di cella di Sasà, decideranno di presentare un esposto per portare a galla  una verità fatta di corpi offesi, uccisi e umiliati. Per strappare il bavaglio di silenzio legato attorno a quest’ennesima mattanza di stato.  
Ad un anno da questi episodi vogliamo dare nuovamente voce alle situazioni disumane che si vivono nelle carceri. Perchè il silenzio su quelle morti è assordante. Perchè ad un anno dalle rivolte nulla è cambiato e mentre noi cerchiamo di mantenerci al sicuro da questa pandemia le situazioni di rischio e sovraffollamento per chi sta in carcere non si sono modificate nella sostanza. Ad agosto 2021 i/le detenut* eccedent* la  capienza regolamentare dichiarata dal Ministero risultavano essere 3.347, con un tasso  di  sovraffollamento  del 105,93%. Le condizioni generali risultano poi significativamente peggiorate e non a caso quest’anno si è riscontrato il più alto tasso di suicidi dell’ultimo ventennio: 61 persone. 
Anche nel carcere di Asti ci sono state due proteste negli ultimi mesi a causa del dilagare del covid all’interno delle sezioni. Dopo il primo focolaio l’amministrazione ha pensato bastasse vaccinare alcuni detenuti ma dopo poche settimane la situazione è peggiorata nuovamente.
Perchè anche qui la pandemia non ha fatto altro che peggiorare situazioni già da tempo insostenibili. Perchè la crisi pandemica non ha fatto altro che svelare in tutta la sua evidenza una crisi che è dell’istituzione stessa carceraria. Di un carcere che ci dicono serva per riabilitare ma che produce nel 68.45% dei casi recidive. Un carcere che ci dicono che ospiti pericolosi mostri ma che è pieno per il 93 % di reati per droga e reati contro il patrimonio (furti o truffe). Reati dovuti nella stragrande maggioranza dei casi all’emarginazione e all’impossibilità di vivere diversamente in una società fondata sulla diseguaglianza economica più feroce.
La crisi di un carcere che a ben vedere non rappresenta altro che lo strumento di una guerra al crimine che nasce come discorso sicuritario contro gli abitanti dei cosiddetti quartieri “indecorosi”: i tossicodipendenti, le prostitute, gli homeless, gli immigrati e tutti coloro che vengono identificati come portatori di una pandemia di delitti minori. Queste persone diventano il capro espiatorio di quel senso di insicurezza e precarietà che invade la nostra società e che affonda le proprie radici ben altrove. In una vita resa sempre più precaria e sfruttata da governi e padroni, da politicanti e sfruttatori che ci fanno versare lacrime e sangue, alimentando la guerra fra poveri.
Il carcere, in tutto questo, non diventa altro che una discarica sociale, un grande contenitore in cui raccogliere e rimuovere problematiche che non trovano risposte adeguate. Una macchina mostruosa di esclusione e di sofferenza che non è possibile in alcun modo riformare ma solo abbattere una volta per tutte. Come si abbatterono i manicomi: istituzioni totali altrettanto mostruose e degradanti, le cui mura caddero solo dopo lunghe lotte e nonostante il timore instillato da chi voleva la malattia mentale imprigionata, isolata e punita. I veri criminali siedono in parlamento e nei consigli di amministrazione. Sono loro a costringere migliaia di persone alla fame e alla cosiddetta “delinquenza”. Un’altra società, che sappia fare a meno di prigioni e galere, che si fondi sull’uguaglianza, la solidarietà e il mutuo appoggio è oggi più che mai possibile. Oggi più che mai necessaria.