VAGLI A SPIEGARE CHE È PRIMAVERA – CONOSCERE IL CARCERE PER ABBATTERLO

Domenica 18 Aprile – H. 16 – Corso Alfieri (davanti Unicredit) – Asti

A un anno dalla rivolta nelle carceri italiane, primo appuntamento del percorso di informazione e lotta contro le prigioni.

Vagli a spiegare che è primavera
Un anno fa, nel marzo 2020, il governo risponde all’emergenza pandemica innalzando ancora di più le mura del contenimento carcerario. 
Il 22 febbraio 2020 il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria emana una circolare in cui si dispone che tutti gli operatori penitenziari, volontari e familiari dei detenuti residenti nelle zone rosse non entrino negli istituti penitenziari. Nei giorni seguenti gli istituti penitenziari avviano una politica di chiusura forzata al mondo esterno, sospendendo i colloqui e i regimi di semi-libertà. La risposta dei detenuti nelle carceri di mezza Italia è l’unica possibile. Radicale come estreme sono le condizioni in cui si trovano.
Tra l’8 e il 9 marzo scoppiano rivolte in oltre 70 istituti penitenziari a cui si aggiungono manifestazioni in altri 30 istituti su un totale di 189 prigioni sul territorio nazionale. 
I motivi delle rivolte riguardano il blocco dei colloqui con i parenti e la richiesta di maggiori garanzie rispetto alla gestione dell’emergenza sanitaria, in contesti dove il sovraffollamento è ormai un dato cronico. Alla fine di febbraio 2020 le carceri ospitavano 61.230 detenuti a fronte di 50.931 posti disponibili. Un tasso di affollamento del circa 120%, reso ancora più insostenibile dalla pandemia.
Mentre il governo stabiliva come far fronte all’emergenza sanitaria vietando gli assembramenti e imponendo la distanza minima di un metro tra le persone, i/le detenut* erano costrett* a stare ammassat* e ad essere espost* al continuo rischio di contagio per la presenza del personale penitenziario che entrava ed usciva dalle prigioni. 
Il bilancio di quei giorni è un bollettino di guerra: 13 morti, fatti passare dalle istituzioni pubbliche e dai mass media come “overdosi da metadone”, a seguito di frettolose autopsie e sbrigative cremazioni. Insomma se i detenuti muoiono durante le   rivolte   sono   dei   tossici   senza   speranza, talmente  poco  esperti  e  avvertiti  da  morire  di  overdose  da  metadone. Se invece sono  ammessi  alle misure  alternative  in  epoca  di  pandemia,  sono per forza esponenti  di  associazioni  criminali  di  stampo  mafioso  che  usano  le  rivolte  come  ricatto  allo stato.  Risulta incomprensibile come questo sia potuto accadere quando tutt* sanno che l’overdose da metadone è facilmente curabile: in dotazione da vent’anni in tutte le ambulanze, e ovviamente in tutte le carceri, c’è la fiala (miracolosa) chiamata Narcan, che riporta in vita i morituri. Ma, evidentemente, non venne usata; né a Modena, né durante i trasferimenti. 
Nei giorni successivi alla rivolta, una quarantina di detenuti verranno trasferiti dal carcere di Modena a quello di Ascoli. Tra loro Sasà (Salvatore Piscitelli) che morirà di lì a poco, nella più totale indifferenza delle guardie. Per rompere il silenzio cinque detenuti, tra cui il compagno di cella di Sasà, decideranno di presentare un esposto per portare a galla  una verità fatta di corpi offesi, uccisi e umiliati. Per strappare il bavaglio di silenzio legato attorno a quest’ennesima mattanza di stato.  
Ad un anno da questi episodi vogliamo dare nuovamente voce alle situazioni disumane che si vivono nelle carceri. Perchè il silenzio su quelle morti è assordante. Perchè ad un anno dalle rivolte nulla è cambiato e mentre noi cerchiamo di mantenerci al sicuro da questa pandemia le situazioni di rischio e sovraffollamento per chi sta in carcere non si sono modificate nella sostanza. Ad agosto 2021 i/le detenut* eccedent* la  capienza regolamentare dichiarata dal Ministero risultavano essere 3.347, con un tasso  di  sovraffollamento  del 105,93%. Le condizioni generali risultano poi significativamente peggiorate e non a caso quest’anno si è riscontrato il più alto tasso di suicidi dell’ultimo ventennio: 61 persone. 
Anche nel carcere di Asti ci sono state due proteste negli ultimi mesi a causa del dilagare del covid all’interno delle sezioni. Dopo il primo focolaio l’amministrazione ha pensato bastasse vaccinare alcuni detenuti ma dopo poche settimane la situazione è peggiorata nuovamente.
Perchè anche qui la pandemia non ha fatto altro che peggiorare situazioni già da tempo insostenibili. Perchè la crisi pandemica non ha fatto altro che svelare in tutta la sua evidenza una crisi che è dell’istituzione stessa carceraria. Di un carcere che ci dicono serva per riabilitare ma che produce nel 68.45% dei casi recidive. Un carcere che ci dicono che ospiti pericolosi mostri ma che è pieno per il 93 % di reati per droga e reati contro il patrimonio (furti o truffe). Reati dovuti nella stragrande maggioranza dei casi all’emarginazione e all’impossibilità di vivere diversamente in una società fondata sulla diseguaglianza economica più feroce.
La crisi di un carcere che a ben vedere non rappresenta altro che lo strumento di una guerra al crimine che nasce come discorso sicuritario contro gli abitanti dei cosiddetti quartieri “indecorosi”: i tossicodipendenti, le prostitute, gli homeless, gli immigrati e tutti coloro che vengono identificati come portatori di una pandemia di delitti minori. Queste persone diventano il capro espiatorio di quel senso di insicurezza e precarietà che invade la nostra società e che affonda le proprie radici ben altrove. In una vita resa sempre più precaria e sfruttata da governi e padroni, da politicanti e sfruttatori che ci fanno versare lacrime e sangue, alimentando la guerra fra poveri.
Il carcere, in tutto questo, non diventa altro che una discarica sociale, un grande contenitore in cui raccogliere e rimuovere problematiche che non trovano risposte adeguate. Una macchina mostruosa di esclusione e di sofferenza che non è possibile in alcun modo riformare ma solo abbattere una volta per tutte. Come si abbatterono i manicomi: istituzioni totali altrettanto mostruose e degradanti, le cui mura caddero solo dopo lunghe lotte e nonostante il timore instillato da chi voleva la malattia mentale imprigionata, isolata e punita. I veri criminali siedono in parlamento e nei consigli di amministrazione. Sono loro a costringere migliaia di persone alla fame e alla cosiddetta “delinquenza”. Un’altra società, che sappia fare a meno di prigioni e galere, che si fondi sull’uguaglianza, la solidarietà e il mutuo appoggio è oggi più che mai possibile. Oggi più che mai necessaria.