Nuove tecnologie e autocontrollo digitale

Esercito per le strade, droni, possibilità di tracciamento degli smartphone, autosorveglianza: queste sono solo alcune delle idee al vaglio, da alcune settimane, nella lotta contro il coronavirus. Una lotta che, in favore del rispetto delle regole, è stata in grado di stimolare i desideri di controllo insiti, più o meno inconsciamente, nei cittadini stessi. L’idea sarebbe quella di introdurre una norma di legge, o un decreto, che consenta, in deroga alla normativa sulla privacy, di svolgere verifiche con l’identificazione dei singoli utenti telefonici; la disposizione avrebbe una funzione soprattutto di deterrenza e varrebbe per un tempo limitato. La proposta di queste risoluzioni però ha sollevato diversi dibattiti circa la possibilità del protrarsi delle operazioni stesse; è infatti vero che potrebbero prolungarsi, o addirittura ri-attuarsi nel momento in cui si presenterà un’altra emergenza, sanitaria ma non solo, con serie ripercussioni sulla privacy dei cittadini. Il manifestarsi di un nuovo stato di eccezione in futuro potrebbe essere utilizzato come pretesto per colpire, ancora una volta, la libertà dei singoli: emergenza sanitaria, terrorismo, chi può dire quale sarà la causa della prossima quarantena, e quali le scelte da parte di un governo che ha già dimostrato di potersene fregare delle procedure democratiche per la convalida dei diversi decreti? Questa emergenza ci ha dimostrato come sia facile, anche all’interno di uno stato “democratico”, trovare delle scappatoie per emanare decreti senza il controllo da parte degli organi statali responsabili della salvaguardia della democrazia stessa, sollevando non poche preoccupazioni anche tra i sostenitori più accaniti di tale sistema.

In tema di sviluppo delle nuove tecnologie in aiuto all’emergenza coronavirus, in Cina una situazione analoga si è già vissuta grazie a un’app che traccia gli spostamenti degli utenti e permette loro di segnalare i luoghi che hanno visitato, le persone che hanno incrociato, per poter tracciare un filo tra i cittadini e tenere sotto controllo i contagi. “Così big data e intelligenza artificiale stanno battendo il coronavirus”; “Coronavirus: come la Cina lo ha fermato con la tecnologia e cosa può imparare l’Italia”: questi sono solo alcuni dei titoli che le testate giornalistiche italiane riportano in queste settimane, acclamando a gran voce il controllo attraverso la tecnologia che, già nella stessa Cina, in passato, si è dimostrata essere frutto di una pesante dittatura informatica.

Ma l’auto-controllo tanto apprezzato (che passerebbe dal tracciamento delle celle al controllo tramite GPS e app), che renderebbe buoni cittadini chi sceglie di praticarlo, ha più di un risvolto negativo: è il risultato dell’idea diffusa, ma che denota una conoscenza troppo superficiale dei mezzi, che la tecnologia possa essere usata fine a se stessa. I sostenitori della trasparenza radicale sbandierano l’estinzione della sfera personale in favore della pubblica onestà, ritenendo che una maggiore visibilità ci renda persone migliori; credono inoltre che una maggiore trasparenza renda automaticamente la società più tollerante: essere differenti equivale ad un’anomalia del sistema, forse sintomo di corruzione morale. Questa vigilanza costante operata dai nuovi padroni digitali fa girare molto denaro grazie al complesso delle informazioni che vi ruotano attorno, che regge a sua volta l’industria dei meta-dati. I nuovi padroni digitali costruiscono le infrastrutture rendendo così possibile dirigere in maniera eterogenea le masse, instillando desideri indotti e stimolando a fornire sempre più informazioni: siamo noi che rendiamo possibile la personalizzazione di massa. D’altronde le piattaforme social sono state create con l’obiettivo del profitto, non con l’idea di creare uno spazio globale di dibattito culturale. Il prezzo della libertà digitale è la fine della privacy[1].

Queste teorie di capitalismo digitale aiutano a comprendere come sia facile per i padroni digitali ottenere le informazioni necessarie dai propri utenti, e divengono più che mai attuali in questo periodo di caccia all’untore. I cittadini, ignari del funzionamento di tali tecnologie, si rendono partecipi di un sistema di sorveglianza, o peggio, di auto-sorveglianza, ostentato come utile o addirittura essenziale per la salute pubblica. Saper usare queste tecnologie in modo critico diventa fondamentale per non rischiare di essere assoggettati al potere per loro tramite, in un futuro in cui l’emergenza potrebbe non essere più l’eccezione, ma la regola.
Sia che queste risoluzioni vengano attuate, sia che vengano scartate definitivamente, è necessario tenere acceso il dibattito sull’uso delle nuove tecnologie in relazione ai possibili riscontri sulla privacy: le tecnologie che usiamo quotidianamente, anche quelle apparentemente più semplici come i social network, vanno conosciute, vanno compresi i meccanismi che ne stanno alla base e i paradigmi che li regolano per evitare che possano, un giorno (se già questo non stia accadendo), essere usate contro gli utenti stessi da chi detiene il potere. In questo clima emergenziale, va innanzitutto ricordato che la salute non si combatte con la sorveglianza e il controllo, o peggio, l’auto-controllo, ma con la presa di coscienza da parte del singolo individuo e con atti di responsabilità nei confronti dell’altro.

[1] Ippolita, La Rete è libera e democratica. Falso! cit., p. 21