Aggiornamenti dalla spesa sospesa

Lo scorso maggio nel pieno della pandemia ci stavamo interrogando su cosa avremmo potuto fare per aiutare chi era più vulnerabile, così è nata come iniziativa solidale la nostra spesa sospesa. Ormai è da quasi un anno che la spesa Sospesa della Miccia è attiva, e il lockdown non è ancora finito.
Abbiamo sperimentato diversi modi di portare avanti l’iniziativa: ad ora la stiamo lasciando fuori dalla sede per due giorni alla settimana – il mercoledì e il venerdì, dalle 9-10 del mattino fino al tardo pomeriggio. Abbiamo notato che l’iniziativa è di aiuto perchè molte persone prendono generi alimentari e di igiene dalla spesa, e tante lasciano qualcosa in cambio o portano approvvigionamenti: pasta, riso, cibo in scatola, olio, caffè, sapone, giochi e fumetti per bambinɜ…
Sono piccole cose che diamo per scontate ma che non lo sono altrettanto per troppe persone, invisibili a chi ha il privilegio di un lavoro o di un documento.
La vita si fa sempre più dura per chi ha perso il lavoro o per chi riusciva a mettere insieme il pranzo con la cena facendo lavoretti in nero, e da qualche settimana non c’è più molto: alcuni giorni la ritiriamo completamente vuota. Spesso, individualmente, diamo un contributo; tuttavia intendiamo questa esperienza non come un’elemosina da parte nostra – concetto che ci è del tutto estraneo – ma come un piccolo seme che possa germogliare portando alla condivisione di pratiche solidali tra persone anche sconosciute. Possiamo dire che il messaggio è passato perchè sono molti i contributi che notiamo, così come il senso di reciprocità di chi prende qualcosa di cui ha bisogno lasciando qualcos’altro in cambio, piccoli gesti che dimostrano molto. Per questo non riempiamo la spesa continuamente.
Tutti i mercoledì e venerdì la spesa sarà come sempre fuori dallo spazio della Miccia, come un piccolo approdo per chi cerca qualcosa o per chi ha qualcosa da dare. Il motto che accompagna la spesa è: se puoi metti, se non puoi prendi. Aggiungiamo: se ti va, replica l’iniziativa, crea altri punti di condivisione, non delegare – neanche a noi – quello che potresti fare con le tue mani.

FEMMINISTE ANARCHICHE RIVOLUZIONARIE

Donne anarchiche in Spagna dalla Repubblica alla Rivoluzione, dall’esilio alla resistenza al franchismo.

La storia delle donne che presero in mano il loro destino nel vortice della più grande rivoluzione sociale di tutti i tempi. L’attualità di una lotta che seppe radicarsi tanto nella sfera sociale e politica quanto nella quotidianità del processo di emancipazione femminile. Un percorso per restituire visibilità a queste vere e proprie pioniere che si ribellarono al ruolo subordinato delle donne spagnole, impegnandosi in prima persona nell’abolizione del sistema capitalistico e autoritario, per una società egualitaria sul piano economico, sociale e di genere.

Ne abbiamo parlato con la storica Eulalia Vega, professoressa di Storia contemporanea all’Università di Lleida (Catalogna) e di Trieste.

Organizzato da: Laboratorio anarchico Perla Nera AL, L.A. Miccia AT, FAT Torino, Wild CAT Torino

PRESIDIO TRANSFEMMINISTA

Quale sicurezza?

Fischi, scherni, insulti, palpate. Le aggressioni, le botte, gli stupri. La morte, per femminicidio o per suicidio in seguito alla diffusione di video intimi senza consenso o a violenze fisiche.Ogni donna, persona trans e LGBTQI+ ha vissuto sulla propria pelle la cultura dello stupro con cui si manifesta il patriarcato. Anche qui è capitato: nel 2017 Lydia, una giovane ragazza trans si è tolta la vita in seguito ad una violenza sessuale in un parco cittadino.Le telecamere c’erano, ma non è cambiato nulla. L’aggressore è stato condannato, ma ha davvero capito ciò che ha fatto?Il patriarcato è quello che ci ha insegnato a rassegnarci e sentirci vittime impotenti, a mimetizzarci e nasconderci, a non frequentare la città buia, a non bere troppo.Andiamo in bagno in branco e camminiamo veloci fingendo di telefonare. Impariamo a rispondere “sono fidanzata” ad una avance insistente invece di rispondere “vattene affanculo”, come se ciò che ci legittima a rifiutare quella proposta fosse solo che siamo già di qualcuno. Impariamo a cercare protezione nella famiglia, questa istituzione onnipresente che costituisce proprio la dimensione minima e necessaria del patriarcato.Infatti non per caso è proprio in famiglia che avvengono la maggior parte degli abusi, quando ci prendiamo troppe libertà o facciamo coming out. Troppo spesso è il partner che ci mena e ci violenta, ci manipola, ci priva della nostra indipendenza e se proviamo a lasciarlo è anche peggio. Non è difficile ritrovarsi in una quotidianità fatta di abuso in cui diventa normale essere sminuite, picchiate, minacciate e chiuse a chiave in casa, fino a doversi calare dal balcone per andare a lavoro spaccandosi i talloni, come è successo proprio qui ad Asti ad una donna che ha subito per anni violenze da parte del partner.Il patriarcato è quando denunciamo, quando ci facciamo refertare in pronto soccorso, e impariamo poi che non esiste misura cautelare in grado di proteggerci, e quando infine dobbiamo andare in tribunale ci troviamo non a testimoniare le violenze subite, ma a dover difendere la nostra condotta.Sì siamo sopravvissute, ma come eravamo vestite?Abbiamo bevuto? Lo abbiamo invitato a casa? Lo abbiamo provocato? Abbiamo forse causato quel raptus in qualche modo? Forse era solo folle d’amore. Lo abbiamo tradito o volevamo lasciarlo? Una narrazione tossica in cui i media sguazzano senza ritegno.Ci insegnano ad affidarci alle forze dell’ordine. Quando però sono i carabinieri a violentare, in tribunale le vittime si sentono chiedere se provano una segreta attrazione per gli uomini in divisa e se indossavano le mutande.Ad Asti solo nel 2019 ci sono stati più di 160 accessi di donne al pronto soccorso per violenza domestica. I numeri sono in crescita ma sappiamo che è solo la punta dell’iceberg, perché prima di arrivare al pronto soccorso sono decine e decine gli episodi che vengono nascosti.Durante il 2020 la pandemia non ha cambiato nulla nella sostanza: pur in un anno così anomalo più di 60 donne hanno dovuto rivolgersi al pronto soccorso. Nonostante il calo drastico degli omicidi in generale, le donne vittima di femminicidio sono passate dal 30% al 60% del totale, 15 solo in piemonte. Contemporaneamente perdiamo indipendenza economica ad un ritmo vertiginoso: di 101 mila posti di lavoro persi nell’ultimo anno, 99 mila erano lavoratrici donne.Non ci servono a niente strade piene di lampioni, telecamere e divise, perché la causa di tutta questa violenza non è nel buio dei marciapiedi e nella carenza di forze dell’ordine, è in un sistema che ci definisce come proprietà di altri, lavoro domestico e corpi gratis a disposizione di un sistema di potere patriarcale.Per questo non vogliamo che della nostra sicurezza si prenda cura lo Stato, con il suo apparato di forze dell’ordine, galere e confini, dispositivi schierati contro le nostre libertà.Nel nostro quotidiano possiamo smettere di lasciarci definire solo come vittime e agire. Possiamo partire dal riconoscimento degli abusi e delle forme in cui la violenza si manifesta ben prima di diventare eclatante, dalla creazione di reti solidali, centri di ascolto, possiamo sperimentare pratiche collettive e individuali di resistenza a queste dinamiche.Vogliamo essere libere, liberi e liberu e abbiamo ormai imparato che l’unica via di fuga da questo sistema è nelle nostre mani.

Per la nostra sicurezza dobbiamo distruggere la cultura dello stupro e il patriarcato.

LABORATORIO AUTOGESTITO LA MICCIA