Contro il carcere e il pacchetto sicurezza

Sabato 25 novembre siamo tornatx sotto le mura del carcere di Quarto d’Asti, per alimentare la solidarierà tra fuori e dentro, consci del fatto che ogni grido, ogni battitura o saluto che arriva da dentro può avere delle ripercussioni da parte delle guardie sui detenuti, la risposta da dentro è sempre presente. Tra un pezzo musicale e l’altro abbiamo raccontato ai detenuti il tentativo del governo Meloni di far passare un nuovo pacchetto sicurezza. In perfetta continuità con in pacchetti precedenti, stringe ancora di più la morsa sul dissenso sociale, su chi si ribella, su chi lotta e porta solidarietà. Pare proprio che in un clima di guerra totale esterna dove il nostro paese e direttamente coinvolto su più fronti lo Stato si debba assicurare che sul fronte interno tutto rimanga tranquillo e possa facilmente far piazza pulita di chi non ci sta a rimanere a testa bassa e in silenzio.

Dopo il saluto, ci siamo spostatx in pieno centro ad Asti dove è già arrivato il Natale. Abbiamo disturbato per qualche ora la fiumana di gente diretta alle casette natalizie, denunciando con forza quanto sia sadico e violento una sistema dove molte persone possono tranquillamente spendere i propri soldi a cuor leggero tra una bancarella e l’altra totalmente incurante del fatto che poco più in là dove le luci di natale non arrivano, c’è un umanità che è senza un tetto per coprirsi dal freddo, muore in mare, dentro una schifosa cella di un carcere o di un Cpr.

Abbiamo ribadito che nessun governo, nessun pacchetto sicurezza fermerà chi lotta, chi si organizza e attacca questa società che per la ricchezza e i privilegi di pochi, devasta la terra, uccide, imprigiona e sfrutta la maggioranza dell’umanità.

Scarica il volantino -> Sicurezza Stato di polizia

RIBELLI A MANO ARMATA

Il teatro arriva al Bosco dei partigiani con la Compagnia Teatro degli Zingari da Genova!

“Cosa spinge ragazzi e ragazze delle periferie e non solo,delle ricche città del nord, a unirsi negli anni 70 in gruppi e a formare le batterie dei rapinatori?”

Tratto dal libro Andare ai resti, di Emilio Quadrelli.

Bar e distro, a seguire apericena vegan di autofinanziamento.

In caso di pioggia l’evento si terrà al Diavolo Rosso, piazza San Martino 4, Asti

LA MEMORIA INDECOROSA DI UN PARTIGIANO

Rimossa la targa del partigiano Orso dal bosco dei Partigiani
Prima di diventare un pezzo di cemento scrostato questo muro è stato un luogo di memoria. Qui, lo scorso ottobre, era stata posta una targa dedicata a Lorenzo “Orso” Orsetti, realizzata per l’occasione da un artista locale. Orso era un ragazzo di 33 anni di Firenze. Nel 2017 era partito per la Siria, animato dal desiderio di vedere con i suoi occhi la rivoluzione messa in atto dal popolo curdo. Tale esperimento di libertà era, ed è tutt’ora, minacciato sia dal governo turco che dal fondamentalismo islamico dell’ISIS.
Quella curda è una rivoluzione ispirata ai valori del femminismo, dell’ecologia e di una democrazia diretta e senza stato: valori profondamente affini a quello che era il sentire anarchico di Lorenzo. Arrivato in Siria Orso aveva trovato un luogo prezioso e da difendere. Lorenzo non amava la violenza e il militarismo ma aveva deciso che quella era un’esperienza per cui valeva la pena combattere e anche morire. Per queste ragioni Orso ha preso parte alle milizie di volontari curdi, fino al marzo del 2019 quando è caduto in combattimento, ucciso dai tagliagole dell’ISIS.
Prima di quella data, nel febbraio, aveva ricevuto con grande orgoglio la tessera onoraria dell’ANPI di Firenze. Quella sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia aveva riconosciuto nell’attività combattente di Orso qualcosa di molto affine ai valori dei partigiani che in Italia avevano lottato contro la barbarie nazifascista. Numerose sezioni dell’ANPI hanno dato vita a iniziative analoghe in ricordo di questo partigiano dei nostri tempi.
Qui ad Asti si è deciso di omaggiare la sua memoria e, per farlo, è stata posta una targa. Proprio qui sui muri dell’anfiteatro al centro del parco: non solo per riannodare simbolicamente la memoria dei combattenti per la libertà di ieri e di oggi, ma anche per continuare a vivere questo luogo della città. Uno spazio, quello del Bosco dei Partigiani, che in questi anni abbiamo attraversato con numerose iniziative (teatro, poesia, musica, mostre, dibattiti, presentazioni, giornate di pulizia), convinti del fatto che il problema del parco non siano due scritte sul muro, ma la mancata presa in carico di questi luoghi da parte di una collettività consapevole e responsabile. Un parco per essere sicuro non ha bisogno di un posticcio decoro. Un parco per essere vivibile deve essere attraversato da una comunità che se ne prende cura. Tutto questo può avvenire anche attraverso momenti di condivisione della memoria come è stato quello di Orso.
La targa era stata inaugurata alla presenza del padre di Lorenzo, in un evento partecipatissimo e molto sentito. A inizio mese qualcuno ha rimosso la targa e il murales di sfondo. Non conosciamo gli autori di tale atto ma ne conosciamo i mandanti e la grottesca logica che li anima e che vogliamo qui denunciare.
In questo parco intere zone sono completamente inagibili per via della vegetazione, della rottura delle staccionate, dei calcinacci che si staccano dalle antiche mura, dell’incuria totale in cui versa. A fronte di tutto questo l’intervento prioritario del Comune è stato quello di rimuovere la targa di una persona tesserata ANPI e uccisa dall’ISIS. Evidentemente il Comune ritiene che le iniziative concrete per vivere questo spazio in modo collettivo e responsabile siano indecorose. E che indecorosa sia anche la memoria di un antifascista caduto per la libertà. Se pensano in questo modo di cancellare la memoria dei partigiani di oggi, si sbagliano di grosso. Il posto di Orso è qui, in questo parco che noi continueremo ad attraversare a testa alta perché vogliamo che questo luogo sia uno spazio di incontro, di memoria resistente, di cultura, di progettualità condivisa e dal basso.
ASSEMBLEA ANTIFASCISTA ASTI

SALUTO SOLIDALE AL CARCERE DI ASTI

Il 15 Luglio siamo tornat3 sotto il carcere di Quarto d’Asti in solidarietà a tutti i detenuti.
Mentre le inizitive di solidarietà e la lotta contro il carcere continuano vogliamo rompere il silenzio assordante che si è creato intorno ai detenuti in sciopero della fame contro il regime di 41 bis di Domenico Porcelli e Natale tutti e due imprigionati a Bancali.

Le condizioni di Domenico non sono buone: pressione molto bassa, come anche la glicemia, dolori alle gambe, stanchezza costante tanto da essere spesso assopito durante la giornata. Anche l’eloquio non è fluido, ma un po’ biascicante. Dal 28/02 ha perso 16 kg solo di muscoli.

Il 12/6 Natale detenuto ha iniziato uno sciopero della fame, la sua richiesta è solo quella di essere trasferito (anche in isolamento) per essere curato in modo adeguato.
SOLIDARIETà AD ANNA E ALFREDO E A TUTTX COMPAGNX COLPITX DALLA REPRESSIONE
NON LASCIAMO SOLX CHI LOTTA DENTRO E FUORI LE CARCERI!

CHIACCHIERATA TRANSFEMMINISTA APRILE

16 APRILE H 16 – @ BOSCHETTO DEI PARTIGIANI ASTI
Ad Aprile torniamo al Boschetto con la chiacchierata transfemminista
A seguire il Rap Transfem di Car direttamente da Torino!
La punta e alle 16:00 al bosco dei partigiani ad Asti.
Come sempre Distro birrette
Nei prossimi giorni nuove info..
SI PRESA BENE
NO MACHX BULLX E SBIRRX
In caso di pioggia saremo alla Miccia in Via Toti 5, Asti

SOLIDARIETÀ SENZA CONFINI

Da circa 40 giorni una decina di ragazzi di nazionalità pakistana sosta davanti alla Questura di Asti, nell’ormai vano tentativo di formulare la propria richiesta di asilo politico e di ottenere accoglienza presso le strutture adibite sul territorio.
Sono tutti reduci dalla rotta balcanica: un viaggio infernale della durata di mesi, dove hanno più volte messo a repentaglio la propria vita nell’attraversamento di quelle linee immaginarie che gli Stati tracciano sul territorio e che diventano qualcosa di reale solo attraverso la violenza poliziesca.
Non possiedono nulla se non quel poco che sono riusciti a portarsi dietro e quello che riescono a recuperare dalla carità cittadina e dalla solidarietà di quelli che si sono avvicinati a loro. All’alba si presentano all’ingresso e ricevono sempre la stessa risposta: “non ci sono posti nei centri di accoglienza, non possiamo farvi entrare”. I ragazzi aspettano pazienti e, passato mezzogiorno, si disperdono per la città, andando a dormire la notte nei parchi cittadini o temporaneamente da qualche connazionale solidale. Queste persone sono arrivate qua nella speranza di ottenere migliori condizioni di vita e pensando di essersi lasciati alle spalle il peggio, e ora si trovano di fronte al muro di una burocrazia insensata che gli impedisce di esprimere quello che è un loro elementare diritto: formulare la richiesta di asilo. Un diritto che è completamente slegato dall’effettiva disponibilità di posti sul territorio.
Di fronte a questa situazione come Laboratorio Autogestito La Miccia, insieme a una serie di solidali accorsi spontaneamente, ci siamo mobilitati. Innanzitutto per parlare con queste persone, capire la loro situazione, portare generi di prima necessità e metterli in contatto con gli avvocati astigiani e dell’Associazione per gli Studi giuridici per l’immigrazione.
Lasciamo a questi ultimi i tecnicismi sulle disposizioni di legge e prendiamo pubblicamente parola per denunciare questa intollerabile situazione di cui sono responsabili le stesse autorità cittadine che cercano di lavarsene le mani. In questi anni, come collettivo, ci siamo più volte mobilitati contro il sistema assassino delle frontiere, che ogni anno miete vittime tanto all’esterno quanto all’interno del nostro Paese. Tanto in un Mar Mediterraneo trasformatosi in enorme fossa comune per migliaia di migranti, quanto sul nostro territorio dove troppo frequenti sono i casi di persone morte in circostanze poco chiare all’interno dei Centri di Permanenza per il rimpatrio: veri e propri campi di concentramento della cosiddetta democrazia dove si è rinchiusi non per quello che si fa ma per quello che si è. La lotta perchè questi ragazzi possano ottenere almeno quanto spetta loro di diritto, è un piccolo pezzo di una battaglia ben più grande: in solidarietà con tutte le persone in viaggio e contro i meccanismi di emarginazione e oppressione che queste persone subiscono quotidianamente. Lottiamo per un mondo senza più stati, nè frontiere, nè galere, dove nessuno debba più essere considerato clandestino o irregolare, dove nessuno debba più mettere a repentaglio la propria vita nel tentativo di migliorare la propria esistenza, per sé e per i propri cari. Nel fare questo, non ci voltiamo dall’altra parte e continueremo a sostenere le rivendicazioni di queste persone, a portargli la nostra solidarietà attiva, fino a quando non verrà data loro adeguata risposta.
LABORATORIO AUTOGESTITO LA MICCIA

SPEZZONA INDECOROSA AL PRIDE DI ASTI

Ieri, sabato 16 luglio, la spezzona indecorosa, nata dal Laboratorio Autogestito La Miccia e dall‘assemblea permanente del Boschetto Autogestito, ha sfilato per le strade di Asti, durante il secondo Pride cittadino. 
Anche quest’anno abbiamo deciso di prendere parte a questa iniziativa in modo critico, portando in piazza tematiche ormai abbandonate da parate cittadine ufficiali che sono state svuotate da ogni conflittualità politica. 
In testa alla nostra spezzona troneggiava una creatura mostruosa: il volto coperto da una bandana, nelle mani filo spinato spezzato, vibratori, bottiglie incendiarie, uno zoccolo di vacca e un dito medio. A simboleggiare la rottura dei confini e di tutte le frontiere: siano esse di genere, di specie o tracciate nel Mediterraneo, in montagna. Nei ghetti dei raccoglitori di frutta e pomodori, nei cantieri dove la sicurezza è un lusso. Nelle leggi sul decoro che cacciano i poveri dai luoghi pubblici, nelle leggi sulla proprietà che negano una casa a chi non ce l’ha. Le frontiere tra i generi, che piegano i corpi e le soggettività erranti alle regole della famiglia, che ingabbiano le relazioni, fissano i ruoli, negano la possibilità di percorsi individuali fuori dal reticolo patriarcale, statale, religioso.
Sotto i tacchi a spillo della creatura la testa di un alpino. Questo corpo militare, con il suo seguito di simpatizzanti, è l’emblema del machismo, delle cultura dello stupro e di un militarismo che sempre più cancella i confini tra guerra interna ed esterna. Gli alpini che ritornano dalle varie missioni imperialiste all’estero, sono infatti schierati in Val di Susa a difesa del TAV e nelle strade delle nostre città attraverso l’operazione “strade sicure”.
Durante il percorso si sono susseguiti numerosi interventi: sulla grassofobia, sul poliamore, sui Centri di permanenza per il rimpatrio, sulla bisessualità, sul carcere, sui moti di Stonewall come rivolta contro la polizia portata avanti da persone razzializzate, frocie e sex workers, contro la normalizzazione dei pride, sulle intersezioni tra le lotte antispeciste e quelle trans-femministe e queer, contro l’idea che le strade sicure le facciano i militari e le telecamere.
Abbiamo distribuito centinaia di volantini, ballato, urlato a squarciagola dietro al nostro striscione “INDECOROSƏ”, rivendicandoci la carnevalata, il cattivo gusto, la provocazione, la nostra esistenza fuori da ogni binarismo, genere e confine preimpostato. Abbiamo stretto tentacoli di complicità e lotta con lu compagnu da fuori. Ringraziamo tutte le persone che ci hanno aiutato a costruire questa spezzona di lotta favolosamente indecorosa. 

Sui fatti di Rimini all’adunata degli Alpini

Durante la 93ª adunata degli alpini che si è svolta a Rimini e San Marino tra il 5 e l’8 maggio si sono verificati decine e decine di casi di molestie verbali e fisiche contro donne. Oggetto di queste aggressioni sono state lavoratrici, passanti, residenti, turiste che hanno avuto la sfortuna di incrociare sul loro percorso l’adunata militarista. Le segnalazioni che Non Una Di Meno sta raccogliendo sono inequivocabili e non sono certo una novità: dopo ogni adunata degli alpini le testimonianze arrivano a centinaia.
Le istituzioni si affrettano come sempre ad una compatta levata di scudi in difesa del buon nome del corpo degli alpini. “È solo goliardia, i valori degli alpini sono ben altri, è colpa delle mele marce… fino al virtuosismo di arrampicata sugli specchi che incolpa gli “infiltrati” che dotatisi abusivamente di cappello con la piuma si sarebbero approfittati della situazione. 
Una giustificazione che – pur nel ridicolo – palesa esattamente uno dei problemi: le adunate degli alpini sono il contesto perfetto in cui i valori del patriarcato sono talmente forti ed accettati che anche i semplici simpatizzanti si sentono legittimati e al sicuro ad agire con violenza nei confronti delle donne.
Basterebbe avere il coraggio di chiedersi il perchè. La cultura patriarcale della forza fisica, della violenza, della supremazia dell’uomo etero e cis è la base fondante di ogni corpo militare. Ogni contesto militare poggia le fondamenta su valori culturali intrisi di machismo, esibizione muscolare ed esaltazione della violenza. Valori che si palesano massimamente negli scenari di guerra come espressione estrema del patriarcato: basti pensare allo stupro come arma universale di terrore e conquista nei territori di guerra, un’arma per nulla casuale e mai ignorata nell’arsenale bellico di ogni esercito.
Ma c’è di più, perchè gli alpini non sono solo un corpo militare attivo negli scenari di guerra al servizio dello stato italiano. Agli alpini è riservato nell’immaginario comune anche un ruolo civile e sociale di soccorritori, aiuto durante le grandi emergenze come terremoti o alluvioni e, grazie al capillare associazionismo che riempie città e paesi, anche di animatori di feste e sagre. Un ruolo ancora una volta estremamente caratterizzato in modo patriarcale e paternalista. Come se non bastasse sono coinvolti anche nella gestione della sicurezza pubblica nelle città, come per l’operazione orwellianamente chiamata Strade Sicure (e chiedetelo alle donne quanto sono sicure le strade piene di alpini).
Come donne, individualità non conformi e uomini impegnatx nella lotta transfemminista vediamo molto chiaramente queste connessioni. Le adunate degli alpini sono la celebrazione in contesto civile di un corpo armato dell’esercito, un raduno di persone che innneggiano – più o meno consapevolmente – a professionisti della guerra. Persone a cui tutto è concesso e perdonato perchè attorno al cappello con la piuma è stato propagandato nel tempo un mito di bonarietà che li dipinge come militari sì, ma quelli buoni, patriottici, persino associati, da una certa sinistra, alla figura dei partigiani. 
Vediamo chiaramente come gli alpini non si discostino di un millimetro da questo modello, anzi di come lo rivestano di un velo di folklore che lo rende ancora più pericoloso in quanto socialmente più accettabile. Adunata dopo adunata ce ne danno prova creando un contesto di costante e ripetuta minaccia alle donne, militarizzando le città e rendendole impossibili da attraversare in sicurezza per tutte le donne e le individualità che si discostano dal ruolo imposto dei generi.
Crediamo fortemente che le lotte transfemministe e antimilitariste non possano essere separate, e anzi si debbano rafforzare a vicenda attraverso la critica, l’analisi, la partecipazione collettiva e la costruzione dal basso di una resistenza. Vogliamo resistere al patriarcato e alla retorica militarista che si sta rafforzando giorno dopo giorno.  
Qui ad Asti poco più di un mese fa si è celebrato il centenario della sezione astigiana, tre giorni in cui le penne nere hanno invaso il centro cittadino installando pure una cittadella militare. In quell’occasione non siamo rimast* in silenzio, siamo sces* in piazza, abbiamo contestato la presenza militare in città e le loro celebrazioni guerrafondaie! I fatti di Rimini ci spingono ancora di più ad opporci con tutte le nostre forze alla presenza militare nelle nostre città.
Patriarcato e militarismo sono due elementi inscindibili. Non si può combatterne uno, difendendo l’altro. Non sono mele marce. È la pianta che è da abbattere.