Cacciamo i catto-fascisti dagli ospedali!

intervento della miccia al presidio di ieri

Il 2 ottobre 2020 la Regione Piemonte, presieduta dal forzista Cirio, ha emanato una circolare che limita l’uso del farmaco RU 486 per l’interruzione volontaria di gravidanza alle sole strutture ospedaliere, in opposizione a quanto stabilito in agosto dal ministero della sanità che ne aveva ampliato l’uso anche nei consultori. Un divieto esplicito che si accompagna, nella stessa circolare, ad un’iniziativa grottesca: l’apertura degli ospedali alle associazioni antiabortiste pro-life.
Oggi la regione dà seguito alla circolare inviando alle Asl le indicazioni per avviare collaborazioni con queste associazioni per la “tutela della vita fin dal concepimento”. Conosciamo bene questi gruppi e la loro narrazione, li abbiamo visti a Verona con i loro feti di plastica, li conosciamo  e rifiutiamo la loro interferenza sulle decisioni che riguardano solo noi e i nostri corpi. Ci propongono la loro retorica bugiarda e ipocrita “in difesa della vita” mentre lavorano alacremente proprio per negarci la vita e la libertà, cercando di privare ciascuna di noi di quella che deve essere una libera scelta. 
Condannare le donne alla maternità come obbligo è omicida perchè significa ricacciarci tra le grinfie dell’aborto clandestino. E questo proprio grazie ai cattofascisti del movimento pro vita che, ben lungi dal difendere la vita, hanno sulla coscienza le esistenze di migliaia di donne massacrate dall’aborto clandestino, dai decotti al prezzemolo, dalle grucce, dalla povertà, dall’impossibilità di scegliere. 
Questo vile attacco alla libertà delle donne è possibile proprio nel nome della legge 194 del 1978, che stabilisce le procedure legali per l’aborto. Una  usata come grimaldello per rendere più difficile quando non impossibile la scelta delle donne.
In Piemonte la 194 viene infatti usata come giustificazione per limitare l’aborto farmacologico e per dare spazio ai catto-fascisti: nella circolare emanata dalla giunta Cirio, le misure restrittive adottate sono giustificate proprio come attuazione della 194.
Sembra una contraddizione, ma è quotidianità. A fronte di tutto questo possiamo bene vedere le leggi per quello che sono: rappresentazioni ritualizzate dei rapporti di forza presenti all’interno della società. Lettere morte di movimenti vivi che hanno cercato e cercano tuttora di realizzare un’emancipazione totale della società e non solo piccoli miglioramenti parziali. Lotte che avendo incominiato a gustare un po’ di libertà erano intenzionate a prendersela tutta. Tante leggi, a posteriori definite “conquiste”, non sono state infatti altro che limitate concessioni a movimenti che miravano a ben di più. 
Oggi i percorsi della libertà femminile sono sotto il costante attacco di chi vorrebbe riproporre una visione patriarcale dei generi e di chi individua nella maternità un destino da cui le donne non devono sottrarsi, tornando docili nella gabbia familiare. La negazione delle identità non conformi e l’asservimento delle donne libere sono due facce della stessa medaglia, indispensabili alla riaffermazione della famiglia come nucleo politico ed etico del patriarcato alle nostre latitudini. La famiglia è la fortezza intorno alla quale i raggruppamenti identitari e sovranisti pretendono di ri-fondare un ordine politico e sociale gerarchico ed escludente, fondato sul privilegio e sull’oppressione di chi ne è escluso.
La giunta Cirio mira a cancellare i percorsi della libertà femminile, ponendo le donne sotto tutela: ci descrivono come soggetti deboli, incapaci di decidere per noi stesse e quindi bisognose di una guida che ci faccia desistere dall’insano proposito di essere libere.
Questo sostegno, nel caso della Regione Piemonte, arriverebbe dalle associazioni pro-vita. Enti che agiscono da decenni come soggetti privati ma oggi entrano nelle strutture sanitarie con il finanziamento della Regione e in osservanza alla legge 194.
“Il presidente della Regione e gli assessori alla Sanità e agli Affari legali precisano che tali indirizzi rispondono alla volontà, unanimemente condivisa dalla Giunta regionale e dai presidenti dei gruppi consiliari di maggioranza, di garantire il pieno rispetto delle disposizioni della legge 194 poste a garanzia della piena libertà di scelta della donna se interrompere volontariamente la gravidanza o se proseguirla”.
Nella neolingua del governo regionale piemontese, per difendere “la libertà di scelta della donna”, si finanziano gli sportelli delle associazioni antiabortiste.
Il vero nodo è la legge 194, la legge che, dopo la depenalizzazione dell’aborto, pose seri limiti alla libertà di scelta delle donne. La 194 è una gabbia normativa, che i nemici della libertà femminile hanno imparato ad usare.
Due anni fa l’Avvenire indicava nell’obiezione la strada maestra per rendere impossibile scegliere di abortire. In Piemonte oltre il 60% dei medici si dichiara obiettore. In molte zone d’Italia si arriva al 100%. Questa strategia è comune e diffusa in tutti gli ambienti reazionari come il modo più funzionale per ostacolare libertà come l’aborto o la transizione di genere: non negarne legalmente l’esistenza, almeno non ancora, ma renderle di fatto difficili da esercitare e quanto più possibile impraticabili.
Non vogliamo limitare la libertà dei medici di rifiutare di agire contro la propria coscienza, d’altra parte esistono decine di specializzazioni in cui un medico può formarsi senza mai sfiorare un aborto. Ma pretendiamo che si diano le condizioni perché nessuno limiti la libertà di scelta delle donne, perché nessuno metta a repentaglio le nostre vite, perché nessuno possa ricattarci, umiliarci, piegarci. 
Eravamo fuorilegge, siamo state messe sotto l’ombrello della legge: è tempo che si lotti per essere davvero libere. Senza legge.
Basta allo stigma e al ricatto sui nostri corpi, basta ai sensi di colpa patriarcali  con cui le associazioni pro-vita vogliono manipolarci. Cacciamo i catto-fascisti dagli ospedali! 
Lottiamo per spazzare via il patriarcato dalle nostre vite! 
Fuori preti e governi dalle nostre mutande!
Laboratorio Autogestito la Miccia
Abort the pope – grafica di postromanticqueerwave.noblogs.org

Violenza contro le donne: media e istituzioni figli sani del patriarcato

Oggi è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Giornali, televisioni e social si riempiono di slogan contro la violenza sulle donne, descritta attraverso la solita narrazione di singoli e inspiegabili raptus di follia, gesti disperati ed estremi di amore e gelosia. Amare troppo qualcuno. Amarlo fino a fargli del male, fino ad ucciderlo ma in fondo amarlo. Giustificazioni che offrono attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. 
Ma le 6 milioni e 788 mila donne che hanno subito almeno una volta violenza (fisica o sessuale) nella propria vita non sono vittime incidentali di una violenza estemporaneaQuesti dati rendono evidente che la violenza sulle donne è strutturale all’interno di questa società patriarcale in cui il dominio dell’uomo sulla donna è la regola e non l’eccezione. 
Questi numeri e le moltissime testimonianze della violenza contro le donne descrivono un vero bollettino di guerra, una guerra contro le donne che consapevolmente o meno decidono di uscire dalla logica patriarcale, che osano mettere fine ad una relazione o vivere liberamente la propria indipendenza e sessualità.
L’oppressione patriarcale non è esercitata solo dai partner, dalle famiglie da singoli individui, ma è agita anche dalle istituzioni.
In quest’anno anomalo in cui moltissime donne sono costrette in casa per lunghi periodi con i propri aguzzini, una delle situazioni in cui si riscontrano più difficoltà è l’accesso libero, sicuro ed anonimo all’interruzione di gravidanza. Pensiamo ad esempio a chi deve, per la propria sicurezza, tenere nascosta tale decisione alla famiglia e alle difficoltà di trovare spazio in strutture ospedaliere per un ricovero. Eppure ci sono esponenti delle istituzioni che trovano ancora il tempo e le energie per dedicarsi ad ostacolare la libertà di scelta e l’accesso all’IVG.
Basti pensare alla circolare emanata il 2 ottobre dalla Regione Piemonte, in cui viene fatto esplicito divieto di somministrare la pillola abortiva RU 486 nei consultori, in opposizione a quanto stabilito in agosto dal ministero della sanità. In questo modo in Piemonte l’aborto farmacologico potrà essere effettuato soltanto nelle strutture ospedaliere e con ricovero fino a tre giorni, decisione che viene giustificata con la tutela della salute delle donne, usando la stessa legge 194 del 1978 come grimaldello per limitare l’accesso all’interruzione di gravidanza.
Non solo. Nella stessa circolare viene permesso alle associazioni antiabortiste cattofasciste pro-vita di fare propaganda negli ospedali istituendo sportelli, con il preciso scopo di convincere le donne a portare a termine la gravidanza.
L’ennesimo attacco alla libertà femminile da parte di chi vorrebbe riproporre una visione essenzialista dei generi, che individua nella maternità un destino da cui le donne non dovrebbero sottrarsi, tornando docili nella gabbia familiare. L’ennesimo tentativo di cancellare i percorsi di liberazione femminile ponendo le donne sotto tutela, soggetti deboli, incapaci di decidere, bisognosi di un sostegno.
Di fronte a tutto questo è necessario riprendere percorsi di lotta, di solidarietà e di azione diretta fra tutti coloro che rifiutano il modello patriarcale. Non abbiamo bisogno di creare nuove leggi che un giorno qualche signore al potere possa rigirare al proprio scopo, come in questo caso: abbiamo urgenza invece di porre le condizioni affinchè nessuno metta mai più a repentaglio la libertà di scelta e la vita delle donne, perché nessuno possa ricattarci, umiliarci, piegarci. Le nostre vite ci appartengono e sta a noi difenderle. Non solo un giorno all’anno con qualche slogan, ma con i nostri corpi, denunciando le sistematiche narrazioni tossiche fatte da giornali e tv, cacciando i cattofascisti dagli ospedali, riprendendoci con la nostra presenza le strade e i consultori, spezzando le gabbie familiari fatte di omertà e di oppressione, dando voce a chi non ne ha, a chi si sente imprigionatx in relazioni soffocanti e senza via d’uscita. Distruggere il patriarcato non è solo necessario, è possibile.
Se queste riflessioni ti interessano, qui ad Asti c’è uno spazio autogestito dove poterne parlare e discutere liberamente. Creiamo reti solidali, autoorganizziamoci!