Il primo maggio di 100 anni fa gli operai metallurgici di Asti fondavano la “Casa dei Metallurgici” in via Orfanotrofio n. 7. Quegli stessi operai saranno i protagonisti delle ultime importanti proteste popolari prima dell’avvento del fascismo.
Questa piccola ricerca si concentra sui fatti salienti del Biennio rosso, focalizzandosi sul Movimento dei consigli di fabbrica e sulle occupazioni delle stesse. Lo studio di questo periodo ci permette di analizzare uno strumento di lotta molto interessante per quanto riguardava l’organizzazione delle Fabbriche durante le occupazioni. Gli operai, in quel tempo di grande fermento rivoluzionario, avevano capito che non bastava più lottare per interessi “particolari”, ma che era arrivato il momento di espropriare i mezzi di produzione della classe padronale per non esserne più soggetti e ricattabili. E questo attraverso l’autogestione e il collegamento tra realtà lavorative divise in federazioni (federazioni dei consigli di fabbrica). Non era la rivoluzione sociale, ma sicuramente era un passo importantissimo verso essa: una presa di coscienza da parte della classe operaia di come le cose potessero cambiare solo attraverso l’autogestione e l’azione diretta, rifiutando la delega (collaborazionista) dei sindacati confederali e dei partiti. Furono proprio questi ultimi a mettere i bastoni tra le ruote arrivando ad un’intesa con i padroni, che avrebbero dovuto lasciare qualche piccola concessione ai lavoratori per farli ritornare tra le fila e per far cessare le occupazioni. Questa storia, se pur con dinamiche e situazioni diverse, si è ripetuta in diverse occasioni fino ai giorni nostri. Oggi il mondo è completamente cambiato rispetto al 1920. La voglia di riscatto e di rivalsa della classe operaia sembra ormai sopita da tempo. La competizione, l’individualismo e il disinteresse sembrano dilagare ovunque. Tuttavia certe dinamiche le possiamo ritrovare: la presenza di sindacati confederati (cgl, cisl, uil), che hanno ormai monopolizzato le lotte nei vari settori (con isolate eccezioni) e che si arrogano il diritto di essere gli unici rappresentanti all’interno degli ambienti lavorativi. Queste organizzazioni gerarchiche, preoccupate solo del numero dei tesserati, sono completamente scollate dai lavoratori stessi; vanno al governo e prendono accordi sulla nostra pelle, esattamente come nel 1920 con Giolitti. Sono sindacati a cui non interessa scardinare la logica di sfruttamento capitalistico, anzi la regolarizzano. In questo modo il potere decisionale dei lavoratori negli anni è arrivato a zero e ne abbiamo avuto l’ennesima prova agli inizi dell’emergenza Covid-19, quando molti lavoratori scioperarono in modo spontaneo e autonomo. Dopo poco Confindustria, governo e sindacati confederati decisero con una legge chi poteva rischiare la vita sul posto di lavoro e chi no. Chi continuò a protestare contro questa situazione venne sanzionato o anche licenziato, perché ormai la “legge” parlava chiaro. Certe dinamiche di potere non sono affatto cambiate in tutti questi anni, anzi sono diventate più articolate e forse più difficili da scardinare, ma tanto tempo fa dei lavoratori come noi sono riusciti a mettere in crisi tutto questo sistema tramite l’autogestione, senza deleghe, senza compromessi, solo con l’azione diretta e il mutuo appoggio. Leggendo questa storia, si può capire come i sindacati riformisti e i partiti politici non lottino davvero per l’emancipazione dei lavoratori, ma fungano solo da controllori, pronti ad agire per dare qualche contentino e, qualora qualcosa vada storto, per addolcire la pillola, facendo sì che tutto rimanga sotto controllo. Ragioniamo sugli errori fatti dalle lotte del passato e impariamo a prendere spunto dagli strumenti che si sono rivelati utili. Non facciamoci più fregare!
Contro tutti gli stati. Contro tutti i padroni. Per la rivoluzione sociale.
Che questo scritto possa essere strumento d’ispirazione e spunto di riflessione per tutti i lavoratori e le lavoratrici, sulle lotte passate e su quelle che ci aspettano.
Scarica il testo: Storie del movimento operario – Alessandro Minnella
Nell’immagine: Guardie rosse durante l’occupazione delle fabbriche dell’autunno del 1920.