DDL ZAN?

Fin dalla nascita del nostro collettivo abbiamo portato avanti momenti di lotta, di informazione e di dibattito sulle rivendicazioni transfemministe e queer. Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo perché riteniamo l’oppressione etero-patriarcale un fatto intollerabile che avvelena e annichilisce tuttu noi.

Il transfemminismo queer e intersezionale è parte della nostra identità errante.

Conosciamo bene gli effetti devastanti sui corpi della cultura omo-lesbo-bi-trans-fobica e conosciamo bene i difensori di tale cultura.

Conosciamo i loschi personaggi che si stanno opponendo del tutto pretestuosamente al DDL Zan: i catto-fascisti del movimento pro-life, della cosiddetta “famiglia naturale”, gli anti-abortisti, quellx che considerano la donna madre e custode del focolare domestico, quellx che pensano che la transessualità sia perversione e che l’omosessualità sia un male da curare, anche a suon di botte. Sappiamo chi sono, ci siamo scontrati mille volte con questa immondizia reazionaria e continueremo a farlo.

Conosciamo il mondo che vogliono proteggere, semplicemente perché è proprio quel mondo ciò che più di ogni altra cosa vogliamo abbattere. Abbattere una volta per tutte l’idea che la vita non abbia senso al di fuori della trinità mortifera di Dio-Patria-Famiglia.

Sappiamo benissimo che l’obiettivo della destra cattolica di declassare l’omofobia, la transfobia, la bifobia e la lesbofobia a problemi da non affrontare mai e da invisibilizzare, è funzionale al mantenimento del sistema di oppressione etero-patriarcale, attorno al quale si tutela il privilegio del maschio bianco. Noi ci opponiamo con forza al modello violento della Famiglia tradizionale, quella ingessata nel binarismo di genere e nella sottomissione della femminilità relegata nel corpo della donna biologica.

La lotta contro questi catto-fascisti ci ha negli anni avvicinato a vari movimenti transfemministi e queer non normalizzati e non estetizzati, ci ha spinto a lottare e a dialogare con soggettività che insieme all’etero-patriarcato rifiutano di farsi incorporare in un processo di cambiamento senza una vera traNsformazione sociale.

Tali movimenti hanno elaborato una serie di riflessioni intorno al DDL Zan che crediamo sia importante affrontare in questa piazza.

Il DDL non è partito dall’ascolto attento delle elaborazioni transfemministe e da quelle della comunità LGTBQIPAI+ . Non è altro che un’integrazione della legge Mancino. Tale legge rimane completamente dentro una logica punitiva e repressiva, senza andare a toccare minimamente le condizioni strutturali che rendono possibili la violenza omo-lesbo-bi-trans-fobica quotidiana. Il DDL infatti non prevede alcuna implementazione culturale, come i programmi di educazione alle differenze di genere, alla sessualità e all’affettività. E i 4 milioni di euro destinati dalla legge ai “centri per il sostegno delle vittime di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere” sono assolutamente insufficienti e non sono previsti corsi di formazione per tutto il personale nelle varie istituzioni

Il DDL poi include definizioni su orientamento sessuale, identità di genere, genere, sesso ambigue e spesso discriminatorie ed errate. Definisce le persone trans* con la parola “transessuali”, definizione non rappresentativa della molteplice esperienza trans* ed esclude altre identità (persone asessuali e non binarie) dalla protezione contro le discriminazioni.

Le aggressioni fisiche compiute da singoli individui che questa legge punisce sono solo la punta dell’iceberg; l’omo-trans-lesbo-bi-fobia è un problema strutturale della nostra società ed è principalmente di Stato: comincia nelle famiglie, cresce nelle scuole, e finisce nelle prigioni dove continua a propagarsi.

Per queste ragioni non crediamo che inasprire le pene o riempire le galere sia la soluzione ai nostri problemi. Le minacce di detenzione e le pene esemplari non sono mai reali soluzioni ai problemi sociali. Il sistema punitivo si rivolge troppo facilmente solo alle fasce sociali più svantaggiate. E recludere i corpi continua a essere la soluzione per togliere dalla vista le persone povere, mettere a tacere quelle che dissentono, escludere quelle, a vario titolo, irregolari. Un transfobico in galera non cancella l’omo-lesbo-bi-trans-fobia, un’esperienza dietro le sbarre, la privazione della libertà, non può rendere migliore né la società, né le persone che la sperimentano.

Contrastare la violenza eteropatriarcale è una lotta di tutti i giorni, perché la violenza è quotidiana e strutturale. Rilanciamo quindi e rivendichiamo oggi una battaglia che superi l’approccio legalitario/repressivo e combatta sul piano culturale e politico la violenza etero-patriarcale in tutti i settori della nostra società.

La nostra lotta è appena cominciata. Vogliamo una scuola dove vengano abbattute le barriere di genere, classe, razza, orientamento sessuale. Una scuola che educhi alle differenze di genere – sì, chiamatelo gender se volete: è insegnamento di consapevolezza e libertà, di rispetto di sé e degli altri. Vogliamo educazione sessuale e campagne di prevenzione e riduzione della violenza omo-lesbo-bi-trans-fobica. Vogliamo accesso anonimo e gratuito a screening e terapie per tuttx. Vogliamo centri antiviolenza autonomi e gestiti dal basso, con personale formato. Vogliamo consultori liberi dalle ingerenze della chiesa e ospedali liberi dagli obiettori, vogliamo case-famiglia e centri di rifugio per chi nella famiglia trova solo violenza e oppressione. Vogliamo frocizzare gli spazi cittadini e renderli sicuri con la nostra presenza, i nostri attraversamenti, i nostri corpi. La violenza è di Stato ed è strutturale. La soluzione non può che venire dal basso, attraverso l’azione diretta, l’auto-organizzazione e una traNsformazione radicale che coinvolga tutti, tutte e tuttu.

Per approfondimenti si veda:

https://filosottile.noblogs.org/post/2021/04/14/autorganizzazione-e-disobbedienza-contro-la-violenza-di-stato/

https://marciona.noblogs.org/post/2020/07/14/contro-la-violenza-molto-piu-di-una-legge/

 

LABORATORIO AUTOGESTITO LA MICCIA

VAGLI A SPIEGARE CHE È PRIMAVERA – CONOSCERE IL CARCERE PER ABBATTERLO. 3° Appuntamento

Domenica 16 Maggio ore 16 in Piazza Statuto – Asti.

Terzo incontro di lotta contro le prigioni: materiale informativo, performance e interventi sulla quotidianità del carcere.

STRETTI TRA 4 MURA

In carcere? Guarda che quelli stanno benone! Lo Stato ti mantiene e non devi lavorare, stai a letto tutto il giorno a guardare la tv! E poi tanto dopo poco tempo escono anche gli assassini.

Quante volte parlando del carcere sentiamo questi discorsi? Abbiamo sempre considerato la carcerazione qualcosa di lontano dalle nostre vite ma in quest’anno di pandemia ci siamo resi conto che stare sul divano a guardare la tv tutto il giorno non è un gran piacere e che le restrizioni alla propria libertà di movimento sono dopo poco tempo insostenibili. Non a caso proprio dall’inizio della pandemia sono notevolmente aumentati i tassi di suicidio e numerose persone hanno riportato sintomi depressivi ed elevati livelli di stress e ansia. 

Oggi, possiamo quindi cercare di comprendere meglio chi passa mesi, anni e decenni all’interno delle 4 mura della cella.

Ogni giorno subiscono i rumori assordanti dei blindi che sbattono, delle chiavi che sferragliano e delle urla incessanti. Ogni giorno consumano pasti che costano allo Stato non più di 4 euro al giorno per detenuto e in alternativa possono cercare di acquistare qualcosa con costi decisamente superiori a quelli che troviamo in un qualsiasi supermercato. Ogni giorno devono respirare la stessa aria stantia e umida che si mescola all’odore del sudore, del caffè e dei diversi piatti tipici di ogni popolazione presente. 

Ogni giorno la luce al neon peggiora la vista e tutto ciò che puoi osservare intorno sono sbarre ed espressioni serie. Ogni giorno sono privati di contatto fisico ad eccezione delle perquisizioni fisiche che spogliano la persona anche del più piccolo spazio intimo e personale. Ogni giorno posseggono solo un’ora all’esterno delle sezioni, sempre se il sovraffollamento e il personale in turno lo rendono possibile, definita ora d’aria. 

“Aria: che coraggio chiamarla aria; quattro mura brutte, grigie, fredde, spoglie ed in mezzo un casino di persone che camminano, avanti indietro, avanti indietro, i soliti discorsi, le solite facce e questa tensione, sopita come un gatto, la vedi, la senti, la tocchi, e speri che non si svegli, perché è come un barile di dinamite con un fiammifero sotto, sempre pronto ad esplodere, troppe persone, troppa gente ed allora il pallone, partite fatte a scaricare la tensione su quel povero pallone, partite cariche di rabbia, come se ci si giocasse la libertà”.

Ogni giorno devi cercare di essere il più possibile arrendevole con tutti per evitare pestaggi da parte del personale o degli altri detenuti e per evitare l’isolamento. Perché se ti va bene puoi condividere le tue mura con altre 2,3,4,6 persone, se ti va male puoi finire in una cella con le pareti lisce, senza vetri alle finestre, senza lavandino e sedie, con solo una branda priva di materasso. Questo è ciò che è successo ad un detenuto nel carcere di Asti nel 2017. Per due mesi gli stono stati razionati i pasti come punizione e veniva picchiato ripetutamente, più volte al giorno, fino a procurargli la frattura di una costola e diverse ecchimosi ed infine, prima di riportarlo in sezione gli venne strappato a mani nude il codino per farne un regalo ad un agente penitenziario. 

È proprio a causa di queste condizioni disumane che nel solo 2020 ci sono stati 61 suicidi, senza contare i tentativi falliti. Questa è la vera quotidianità del carcere, un’istituzione che ha come unico scopo reale quello di ghettizzare le persone considerate come scomode e diverse: un grande contenitore in cui raccogliere (e rimuovere) problematiche sociali che altrove non trovano adeguate risposte.

«Le prigioni italiane, così come avviene in tutta Europa, sono popolate non tanto di grandi criminali ritenuti responsabili di gravi reati, ma piuttosto di fasce estremamente marginali della popolazione per cui spesso devianza e criminalità (prevalentemente micro) rappresentano un’espressione di problematiche sociali che meriterebbero risposte altre. […]. Il profilo sociale di questi detenuti ci descrive persone perlopiù giovani o giovanissime con un basso livello di istruzione, che non hanno mai avuto un’occupazione lavorativa stabile e regolare e che spesso risultano privi di un’adeguata rete affettivo-familiare e sociale che funga da sostegno nelle situazioni critiche; per queste persone le scelte devianti rappresentano in qualche caso una necessità di sopravvivenza, ma più spesso l’espressione di un disagio sociale che potrebbe essere contenuto con strumenti ben più efficaci di quello penale» (Rapporto Antigone, 2001, p.17). 

Possiamo quindi continuare a fregarcene di questa parte di popolazione che ad oggi è formata da circa 55.000 persone o iniziare a conoscere in modo consapevole e più responsabile il posto in cui vivono, i danni che subiscono e quante irrisorie siano le possibilità, una volta scontata la pena, di poter vivere una vita diversa.  Forse, dopo esserci lamentati per mesi di una vita che assomiglia solo lontanamente alla loro quotidianità possiamo comprendere meglio o almeno possiamo provare a non ricadere nuovamente negli ormai triti e ritriti luoghi comuni sul carcere e sulle vite che lo subiscono. 

E forse a partire da questo possiamo immaginare che cosa voglia dire vivere così per dieci giorni, dieci mesi, dieci anni. A cosa serve passare le proprie giornate in queste condizioni? Che cosa si può imparare in un simile contesto? Come si può pensare che tale segregazione sia una soluzione reale ai problemi sociali? La violenza e l’emarginazione dell’istituzione carceraria non creano altro che ulteriore violenza ed emarginazione. E questo perché le persone che stanno “lì dentro” appartengono alla società e a lei dovranno tornare. La soluzione non può essere la loro ghettizzazione, perché questo non porta né quella rieducazione che viene dichiarata come obbiettivo né tanto meno sicurezza. Per tali ragioni è oggi più che mai necessario immaginare una società diversa che sappia fare a meno di questi luoghi di abbruttimento e di prevaricazione. Che sappia fare a meno di queste macchine di esclusione e di sofferenza che non si possono in alcun modo riformare ma solo abbattere una volta per tutte. Come si abbatterono i manicomi: istituzioni totali altrettanto mostruose e degradanti, le cui mura caddero solo dopo lunghe lotte e nonostante il timore instillato da chi voleva la malattia mentale imprigionata, isolata e punita.

I veri criminali siedono in parlamento e nei consigli di amministrazione. Sono loro a costringere migliaia di persone alla fame e alla cosiddetta “delinquenza”. Un’altra società, che sappia fare a meno di prigioni e galere, che si fondi sull’uguaglianza, la solidarietà e il mutuo appoggio è possibile. E sta a noi batterci per realizzarla.

LABORATORIO AUTOGESTITO LA MICCIA

Micheal Foucault E Il Gruppo Di Informazione Sulle Prigioni

Venerdì 14 maggio ore 21

Vagli a spiegare che è primavera. secondo appuntamento di informazione e lotta contro le prigioni.

Con Salvo Vaccaro.

https://us02web.zoom.us/j/88203519909
ID riunione: 882 0351 9909

L’8 febbraio 1971 Foucault annuncia la creazione del Gruppo d’informazione sulle prigioni (GIP). Il Gruppo ha sede presso l’abitazione dello stesso Foucault e raccoglie intellettuali, ex-detenuti, familiari di detenuti e militanti politici di varia estrazione. Il Gruppo rifiuta nettamente la possibilità di “migliorare, addolcire, rendere più sostenibile” il carcere. L’obbiettivo è quello di dar voce ai detenuti attraverso inchieste che “accrescano l’intolleranza verso il carcere e ne facciano un’intolleranza attiva”, nella consapevolezza che “la prigione inizia ben prima dei suoi portoni”. Da questa attività militante nascerà nel 1975 “Sorvegliare e punire”, uno dei libri più noti di Foucault: un testo fondamentale per comprendere la nascita della prigione e le dinamiche di potere che la sostengono, ma anche per immaginare forme di resistenza da opporgli. Per creare una società senza più prigioni che, “al posto di rispondere alla delinquenza con la repressione, ne curi le cause”.

incontrontro organizzato da

– Lab. Autogestito la Miccia
– Laboratorio Anarchico Perlanera
– Federazione Anarchica Torinese