FUOCO ALLE GALERE

Sull’onda della mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito contro il 41 bis, nell’ultimo anno abbiamo alimentato la lotta anticarceraria sul nostro territorio con dibattiti, presidi e con i saluti sotto al carcere di Quarto d’Asti, con l’obiettivo di rompere il silenzio e l’isolamento in cui lo Stato vorrebbe relegare le persone recluse. Negli ultimi giorni siamo statx tuttx colpitx dall’ennesimo pestaggio all’interno del carcere di Reggio Emilia, dove si vede un detenuto di 40 anni incappucciato e inerme pestato a sangue da un gruppo di 10 guardie. Quelle immagini hanno scatenato indignazione e dibattiti anche in ambienti normalmente impermeabili al tema della violenza istituzionale delle carceri. Ma anche davanti ad un fatto così indifendibile, l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ha strumentalizzato senza alcuna vergogna l’episodio per portare avanti le lamentele e le richieste delle guardie del carcere di Quarto d’Asti. Nello specifico denunciano mancanza di personale, luoghi di lavoro insalubri, turni massacranti e mancanza di sicurezza per il personale. Riteniamo che la condizione di sovraffollamento del carcere (in questo momento ad Asti ci sono 271 detenuti su 205 posti), sia un problema che colpisce innanzitutto la qualità della vita dei detenuti. Lo stesso vale per le condizioni insalubri della struttura in cui le persone recluse passano 24 ore al giorno per anni e non solo le 8 ore lavorative come le guardie. Ribadiamo l’assurdità di denunciare le condizioni insalubri per il personale e allo stesso tempo lamentarsi dei numerosi accessi in ospedale dei detenuti. Si tratta evidentemente per le guardie di un semplice intoppo nelle attività quotidiane e non di necessità primarie di esseri umani la cui salute è messa a repentaglio proprio dalle condizioni inumane e degradanti di vita a cui sono costretti. Il comunicato dell’Osapp allude poi al fatto che il potere all’interno delle carceri sia in realtà in ma-no ai detenuti e non alle guardie, e che le “vere vittime” siano le guardie stesse, concetto con cui cercano di sminuire la gravità del pestaggio di Reggio Emilia e dei quotidiani episodi di violenza che avvengono nelle carceri, di cui la maggior parte non arriva mai sui giornali. I sindacati di polizia con l’appoggio dell’informazione mainstream cercano sempre di più di far finire nel dimenticatoio le immagini della mattanza di Santa Maria Capua Vetere, delle morti di Modena, delle torture e pestaggi nelle carceri di Rebibbia, Torino, Cuneo, Ivrea… e la lista delle brutalità all’interno delle carceri perpetrate dalle guardie è lunga. Noi non dimentichiamo. Chi ha il potere assoluto in un carcere? Il sistema carcerario è strutturalmente violento: un regime fatto di secondini e direttori che hanno il totale controllo della violenza, la libertà di decidere sulla salute delle persone rinchiuse scegliendo a propria discrezione se e quando chiamare un medico per una visita o un controllo, di punirle o isolarle arbitrariamente. Di fatto hanno il potere di regolare la vita degli individui attraverso regole incomprensibili che mirano all’infantilizzazione, per esempio con la pratica delle “domandine”, che regolamenta la totalità delle richieste che una persona detenuta può fare anche per le questioni più semplici e basilari che riguardano la vita quotidiana. Ci raccontano che le guardie non sanno se “torneranno vive a casa” dopo il turno di lavoro (se si può chiamare lavoro), ma i dati, le cronache, le storie dei detenutx e dei famigliari ci dicono che ogni due giorni un detenutx si uccide per le condizioni insostenibili in cui sono costrettx a vivere, senza contare le persone che muoiono per mancanza di cure e per un sostanziale abbandono. Abbiamo chiuso il 2023 con 69 suicidi, per lo più per impiccamento e da inizio 2024 siamo già a 20 persone. L’ultimo si è tolto la vita impiccandosi dentro un lager di Stato per le persone senza documenti, chiamato CPR. Queste non sono morti in carcere, sono morti di carcere, omicidi di Stato per cui nessuno è però chiamato ad assumersi alcuna responsabilità. Tornando a ciò che succede a due passi da casa nostra, non smetteremo mai di raccontare i fatti del 2004 di Quarto d’Asti quando due detenuti vennero condotti nelle celle di isolamento prive di vetri nonostante il freddo intenso, senza materassi, lenzuola, coperte, lavandino, sedie, sgabello. Gli venne razionato il cibo, impedito di dormire, furono insultati e sottoposti nei giorni successivi a percosse quotidiane anche per più volte al giorno con calci, pugni, schiaffi in tutto il corpo e giungendo, nel caso di uno dei due, a schiacciargli la testa con i piedi e a strappargli a mani nude il codino come regalo di natale da parte di una guardia al suo collega. Ai tempi dei fatti il direttore del carcere era Domenico Minervini. Nel Dicembre 2023 ci ricasca di nuovo e torna agli oneri delle cronache per essere stato indagato nel processo sulle torture avvenute nel carcere di Torino nel periodo tra aprile 2017 e ottobre 2019. Accusato di aver ignorato le segnalazioni sulle violenze. Sanzionato con 350 euro di multa. La lista infinita di violenze che la popolazione carceraria subisce non rimane sempre senza risposta perché nonostante le ripercussioni c’è chi continua a ribellarsi e a non abbassare la testa davanti ai soprusi quotidiani che subisce. L’unico mezzo che i detenuti hanno per far sentire la propria voce è la protesta attraverso battiture, scioperi del carrello, ammutinamenti, scioperi della fame e rivolte. Queste pratiche diffuse e frequenti vengono silenziate e screditate dai mezzi di comunicazione che le raccontano come reazioni prive di senso, senza mai dare voce alle motivazioni che le hanno innescate. Il coraggio delle persone recluse che decidono di ribellarsi ci racconta che le prigioni non possono essere riformate o abbellite, ma solo distrutte. Ribadiamo che il carcere è l’istituzione creata dallo Stato per punire e disumanizzare gli esseri umani ritenuti scarto o chi decide di ribellarsi contro il sistema di oppressione e sfruttamento, dove tuttx noi sia costretti a sopravvivere. Il carcere basa le sue fondamenta sul controllo, l’isolamento, l’umiliazione, la privazione e la violenza. Sappiamo bene che la lotta contro le galere è un pezzettino di una lotta rivoluzionaria più ampia che mira alla distruzione del modello sociale attuale per la costruzione di una società senza padroni, che la faccia finita con gli Stati, le sue prigioni, le sue frontiere, con un’elite enormemente ricca che sfrutta la maggioranza delle persone e devasta l’ambiente accrescendo anno dopo anno la disuguaglianza economica. Ma sappiamo altrettanto bene che nessuna lotta sociale per un mondo più equo, basato sulla solidarietà e non sull’oppressione, possa fare a meno di confrontarsi con la questione carceraria. Non esiste prospettiva di cambiamento reale nella società senza includere in questo cambiamento anche chi subisce le forme di oppressione più estreme e violente, e una riflessione sulla gestione collettiva del conflitto e del disagio.

Invitiamo tutti e tutte ad unirsi a noi per vedere e sentire di persona quanto quei muri siano di per sé una violenza disumana, impossibile da riformare. Approfittiamo di questi pensieri per portare solidarietà a tuttx i/le compagnx colpitx dalla repressione che mira a sotterrare sotto anni di galera la propaganda, le pratiche anarchiche e chiunque decida di lottare contro questo esistente. Dal buco nero del 41 bis fino alle galere Ungheresi SOLIDALI E COMPLICI CON CHI È RECLUSX E CON CHI LOTTA !

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