ANTISPECISMO E POPCORN – BENEFIT RIFUGI: OKJA

Proiezione del film Okja al laboratorio autogestito La Miccia in via Toti 5
Benefit per i rifugi.

Ora più che mai, i rifugi di tutta Italia hanno bisogno del sostegno di tuttə. Stanno ancora girando le immagini e i video del 20 settembre di Sairano e il dolore è ancora vivo.
I rifugi sono luoghi di pace, dove ognunə trova il proprio esistere al mondo, lontano dallo sfruttamento degli allevamenti grandi o piccoli che siano. Ogni rifugio dovrebbe essere un’isola di bellezza e sicurezza, e ogni rifugiatə dovrebbe dovrebbe poterne godere. A Sairano lo Stato è entrato con la forza, violentando la bellezza e la pace che dovrebbe regnare in ogni rifugio.
Quel giorno, sono statə uccisə dellə amichə, dei fratelli e delle sorelle, individui che volevano solo esistere e vivere la loro libertà.
Inoltre, sempre quel giorno, la forza e la violenza si sono riversate anche sullə attivistə che, con i loro corpi, hanno cercato di proteggere la vita dellə rifugiatə. Sono stato picchiatə, derisə, denunciatə dalla polizia infame, supportata dai vigili del fuoco.
Per questo, ora più che mai è necessario essere di supporto ai rifugi, ai loro volontarə e ai rifugiatə, perché sono sotto attacco e hanno bisogno di essere sostenuti.
Vi aspettiamo tuttə! Non lasciamo i rifugio da soli!

INGRESSO OFFERTA LIBERA A PARTIRE DA 4 €

Smontiamo la gabbia! Ors* liber*! Corteo verso il Casteller

Smontiamo la gabbia.

Domenica 18 ottobre
H 11:00
Stazione di Villazzano – Trento

❗La tutela della salute delle persone che attraversano la piazza ha priorità assoluta. Indossa la mascherina e mantieni la distanza di un metro dalle altre persone.

La manifestazione durerà tutta la giornata, portati il pranzo al sacco, l’acqua, la mascherina, scarpe da montagna e indumenti adatti in caso di pioggia.

Fra il 1999 e il 2002 viene realizzato in provincia di Trento il Progetto Life Ursus finanziato dall’Unione Europea, con finalità di ripopolamento degli orsi bruni, all’epoca sostanzialmente estinti nell’arco alpino. Evidentemente, qualche ors* nei boschi fa bene al turismo e alle casse provinciali, deve aver pensato qualcuno. Ma bastano pochi anni e ci si rende conto che la presenza dell’orso Yoghi non è compatibile con un modello di turismo consumista e invasivo, nel contesto di un territorio in realtà ampiamente antropizzato.

Il risultato 20 anni dopo: 34 ors* “indisciplinati* scompars*, uccis*, imprigionat*. Tra loro gli orsi (chiamati dalle autorità) M49 e M57 e l’orsa DJ3, attualmente detenut* nella struttura/prigione del Casteller, la cui gestione è – con macabra ironia – affidata all’Associazione dei Cacciatori Trentini. M49 evade clamorosamente, superando e forzando barriere e recinzioni apparentemente invalicabili, nella notte del 15 luglio 2019 (neanche un’ora dopo esser stato catturato a causa delle numerose denunce di danni da parte degli allevatori della zona) e fugge nuovamente il 27 luglio 2020, per poi venire nuovamente catturato poche settimane fa. Suoi compagni di prigionia DJ3 (figlia di Daniza, probabilmente l’orsa più tristemente nota nella mala gestione della provincia di Trento) reclusa da ben 9 anni (metà della sua vita) ed M57, riuscito a trascorrere solo due anni della sua vita in libertà prima di essere imprigionato (la vita media di un orso in natura è fra i 30 e i 35 anni). È notizia di questi giorni che le condizioni psico-fisiche dei tre plantigradi sono state definite “inaccettabili” persino dagli organi di controllo istituzionali che, come da copione, propongono per voce delle associazioni veterinarie la costituzione di “comitati etici” per ripulirsi la faccia con la solita favola del “benessere animale”.

La classe politica che ha governato il Trentino ha più volte dimostrato tutti i limiti e l’ipocrisia di un’impostazione antropocentrica rispetto alla convivenza con gli altri animali. Ovviamente le cose non sono né cambiate né migliorate dall’insediamento della nuova giunta leghista (sì, proprio loro: i machisti dei banchetti a base di carne d’orso).
I milioni di euro che per il Progetto Life Ursus la Provincia ha ricevuto dall’Europa andavano spesi molto diversamente: progetti di educazione nelle scuole, formazione mirata agli operatori turistici, sensibilizzazione e informazione a tappeto a residenti e turisti, nell’ottica di una convivenza pacifica e rispettosa. E invece? E invece questa specie è stata presa, piazzata sul territorio, tolta dal territorio, uccisa, imprigionata, mostrata, nascosta, a seconda delle esigenze del potere.
Ma in conseguenza di quali colpe è stato deciso che la coercizione fisica di questi animali fosse necessaria? Il fatto è che gli animali selvatici hanno la pessima abitudine di comportarsi da tali. Non sono peluche, non sono gli animali depressi e tristi che vediamo negli zoo, resi inoffensivi dalla rassegnazione e dalle sbarre. Sono ors* che, come tutti gli individui, vogliono “solo” vivere liber*, scegliere cosa mangiare, dove andare, cosa esplorare, come giocare, oziare, odorare; e che, come chiunque altr*, se si sentono infastidit* o minacciat* reagiscono e si difendono. Ors* che fanno gli ors*, insomma.

Come gli esseri umani da sempre hanno resistito alle oppressioni e alle discriminazioni, anche tutti gli animali non umani mal sopportano prigionia e sfruttamento, aggrediscono per difendersi e provano a fuggire, talvolta con successo. È ora di aprire gli occhi, di comprendere che gli animali non umani sono l’avanguardia del movimento di liberazione animale. È ora di smettere di pensare che gli altri animali siano creature senza voce, per le quali è necessario usare la nostra. La voce è espressione di potere e descrivere gli animali come privi di essa toglie potere alle loro esperienze di ribellione. Oltre la narrazione tossica dell’animalismo “classico”, che vede gli altri animali come inermi che solo degli umani illuminati possono adoperarsi a salvare, esiste una consistente storia di ribelli e di ribellione ancora tutta da raccontare, di fronte alla quale il posizionamento degli individui umani non può che considerarsi come mera solidarietà. Riconosciamo la capacità degli animali di sottrarsi allo sfruttamento umano come una forza socialmente non trascurabile, una forza in grado di muovere le energie di associazioni, singole persone, gruppi locali verso una solidarietà che può essere definita senza dubbio politica. Una solidarietà attiva che si esprime nella consapevolezza di condurre lotte comuni tra sfruttat*, indipendentemente dalla specie di appartenenza. Aprendoci alla possibilità di adozione di un inedito sguardo decoloniale, scegliamo di dismettere il nostro privilegio di specie per metterlo al servizio della resistenza animale.

Nell’operato della Giunta Fugatti in questo particolare frangente, riconosciamo con evidenza le stesse politiche repressive nei confronti di tutti quei corpi indecorosi ed eccedenti, che varcano confini ed esprimono volontà di autodeterminazione, che mille volte abbiamo visto all’opera nei più disparati contesti di resistenza. Da sempre solidali con la lotta di chi viola i confini per riprendersi la libertà, ci schieriamo senza esitazioni dalla parte degli/le ors* ribelli.
Nella persecuzione contro di loro nella nostra piccola, periferica provincia non possiamo non individuare la comune matrice della più grande e cieca persecuzione ai danni di tutte le forme di vita terrestri che sta determinando a livello planetario la catastrofe climatica ormai alle porte.

Per questa ragione, nella decisione di schierarci al fianco di questi corpi resistenti, facciamo appello per allargare la mobilitazione a tutte le soggettività ed i collettivi impegnati nelle lotte ecotransfemministe, antirazziste, antifasciste e per la giustizia climatica, a tutt* coloro che credono che la mobilitazione contro la guerra totale al vivente attualmente in corso da parte del sistema capitalista vada fermata non tanto – per dirla con un’altra narrazione tossica – per “salvare il pianeta”, ma per provare a garantire alla nostra specie e a tutte le altre (animali e vegetali) la possibilità di continuare ad abitare la Terra. Crediamo fermamente che solo l’intersezione di tutte queste lotte possa ambire a scardinare il paradigma del capitalismo antropocentrico che ci ha già condotti dentro la sesta estinzione di massa. Un sistema rapace che attraverso un meccanismo distopico e perfetto distrugge e strappa territori ad animali ed umani, capitalizzando ogni respiro. E che avvelena anche il linguaggio ed il pensiero, relegando nella dimensione dell’irrilevanza e del silenzio, minorizzandole, tutte quelle identità che si discostano dal paradigma proprietario dell’antropocentrismo colonialista maschio e bianco. Noi non ci stiamo, e ci batteremo perché i prossimi mesi ed anni vedano l’attraversamento delle piazze da parte di una nuova ondata di ribellione globale generalizzata. Iniziamo da qui. Restituiamo agli/le ors* i boschi e le montagne in cui sono nati/e liber*.

Dalla parte della resistenza animale. Domenica 18 ottobre smontiamo la gabbia.

Ritrovo ore 11 stazione di Villazzano – Trento

La manifestazione durerà tutta la giornata, portati il pranzo al sacco, l’acqua, la mascherina, scarpe da montagna e indumenti adatti in caso di pioggia.

 

https://www.facebook.com/events/338039197258398/

IL SILENZIO DEGLI AGNELLI

Il numero di agnelli uccisi per la pasqua è in diminuzione costante e da dieci anni a questa parte si è praticamente dimezzato, passando da 730.000 nel 2008 a meno di 380.000 animali nel 2018, con un calo del 10% solo nel 2017. (https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/29/agnelli-macellati-per-pasqua-i-numeri-diminuiscono-ma-restano-i-maltrattamenti-nei-macelli/4259373/ )
Quest’anno è stimato un ulteriore calo del 35% nel consumo di agnello durante le celebrazioni pasquali a causa delle restrizioni sanitarie imposte dal governo per il controllo dell’epidemia di Covid-19: ristoranti chiusi, grandi pranzi famigliari impossibili da realizzare e difficoltà economiche in aumento. (https://www.wired.it/economia/consumi/2020/04/10/agnelli-pasqua-coronavirus/ )
Senza dubbio tra le cause della continua diminuzione nel consumo di carne di agnello ci sono le campagne di sensibilizzazione animaliste ed antispeciste, che riempiono le città e il web di manifesti ed immagini degli agnelli in vita, che guardano dritti in camera da soffici prati verdi. Vero simbolo di innocenza e tenerezza, che a ben vedere è proprio il motivo per cui il loro sacrificio è legato alla pasqua: l’agnello rappresenta infatti il cristo che si sacrifica per l’umanità, in questa delirante tradizione gastronomico-religiosa. 
Purtroppo però il meccanismo simbolico è ancora in azione: decidendo di non mangiare agnello, di “salvare l’innocente”, spesso si esorcizza il senso di colpa e ci si sente redenti e tranquilli. Eppure tutti gli animali che finiscono nei nostri piatti sono cuccioli. I bovini vengono macellati tra i 10 e i 24 mesi, su una aspettativa di vita di circa 20 anni in natura. I maiali raggiungono il peso per la macellazione tra i 6 e i 12 mesi, quando potrebbero vivere fino a 15 anni, come i cani. Polli e conigli, che in media vivono per almeno 8 anni, trovano la morte tra i due e i tre mesi, o i 40 giorni per i polli da carne a rapido accrescimento (broiler). Unica eccezione, le femmine che prima vengono usate per la riproduzione e la produzione di latte e uova: ovvero mucche, galline e scrofe, che vengono macellate in media ad 1\4 della loro naturale aspettativa di vita. Se fossero umane, avrebbero più o meno vent’anni. Paradossalmente la loro sofferenza è maggiore rispetto agli animali macellati in più giovane età. (https://www.essereanimali.org/2017/08/mangiamo-cuccioli/ )
Con questa riflessione non intendiamo certo sminuire l’inutile e terribile sofferenza degli agnelli, documentata come ogni anno in una video indagine dall’associazione Essere Animali, che si occupa di inchieste e sensibilizzazione sulla condizione animale negli allevamenti e nei macelli. (https://www.essereanimali.org/2018/03/filmato-violenta-macellazione-agnelli-pasqua/ )
Né ci interessa ergerci a giudici e colpevolizzare quelle che per molti sono semplicemente abitudini alimentari, espressione di un problema sistemico della nostra civiltà, che si basa su un privilegio specista.
Intendiamo però lanciare come sempre semi di riflessione, come granelli di polvere da sparo pronti a innescare il pensiero critico, il ragionamento, il cambiamento. Nella speranza che possano propagarsi rizomaticamente, come auspicato da Amedeo Bertolo (https://lamicciaasti.noblogs.org/post/2020/04/02/consigli-di-lettura-1/ ),
sgretolando a poco a poco il calcestruzzo di un sistema che si basa sull’oppressione. Di specie, così come su quella di genere, razza e classe.

Riflessioni antispeciste sul coronavirus

Un virus salterino

Il SARS-Cov-2, il virus che nell’uomo causa la malattia nota come Covid-19, ha compiuto un salto di specie dal pipistrello all’uomo, forse attraverso un ospite intermedio. La stessa cosa è già successa con la SARS nel 2003, la MERS nel 2012, l’Ebola, la suina H1N1 e l’aviaria H5N1, Zika, HIV… tutte malattie portate da virus dopo un salto di specie. (1)

Non c’è da stupirsi che noi animali umani rappresentiamo un’occasione preziosa per molti tipi di virus e batteri. Siamo grandi animali che vivono in condizioni di sovraffollamento nelle città, ci muoviamo moltissimo in tutto il pianeta costituendo un vettore di infezione globale perfetto anche a partire da un unico focolaio isolato. Quanto alle occasioni, non mancano di certo. Entriamo continuamente in contatto con altri animali ospiti di virus e batteri: allevamenti, macelli e mercati per gli animali cosiddetti “da reddito”, mentre sul fronte distruttivo della deforestazione incrociamo il nostro percorso con un’enorme varietà di animali selvatici invadendo il loro habitat. (2)

Cos’è l’antropocentrismo, e perché un virus dovrebbe aiutarci a metterlo in discussione?

L’antropocentrismo è l’idea che noi esseri umani siamo al centro e al di sopra di tutto il resto dell’esistente, idea che crea una divisione binaria tra l’animale uomo e il resto degli animali. Naturalmente, in questa divisione noi esseri umani ci assegniamo il posto al vertice di questa scala gerarchica, e da questa posizione esercitiamo il nostro privilegio sfruttando gli altri animali, scacciandoli e lasciandoli morire quando vogliamo il loro territorio, e smembrandone a centinaia di miliardi per l’industria di carne e derivati come latticini e uova. L’antropocentrismo ci ha illus* di essere intoccabili e autosufficienti, di poter dominare sull’intero pianeta, ignorando e calpestando l’insieme delle relazioni che ci legano al resto della biosfera. Tra le altre cose, anche questa epidemia ci dimostra che non è così: il confine tra le specie è permeabile, per i virus così come per le relazioni, la comunicazione, i sentimenti. Se possiamo imparare qualcosa da questo casino, perché rinunciare? Abbiamo un enorme bisogno di rimettere in discussione il ruolo che la nostra specie si è illusa di avere, e di cambiare il modo in cui ci relazioniamo con le altre specie viventi. Questa è l’ennesima buona occasione che ci capita per farlo.

Altrochè laboratori segreti, basta la zootecnia.

La zootecnia, con il suo apparato di produzioni agricole per i mangimi, di allevamento intensivo e di macellazione industriale, è l’unico metodo possibile per produrre cibo di origine animale a sufficienza per soddisfare la richiesta del mercato. Chi sostiene che bisognerebbe passare ad un allevamento estensivo, allo stato brado, “naturale”, sappia che vorrebbe dire un mondo in cui i cibi di origine animale sono appannaggio unicamente di un’elite ricca o così rari da costituire un’eccezione più che una costante nell’alimentazione umana. (3) La coltivazione di mangime impiega enormi risorse idriche, causa deforestazione sulla terra e soffoca gli oceani con l’ipertrofia delle alghe causata dall’immissione nei corsi d’acqua di concimi azotati. (4) Tutto questo per permettere all’industria degli allevamenti di compiere orrori infiniti sulla pelle di 150 miliardi di animali ogni anno: ammassati in luoghi sporchi, malati e feriti, vengono imbottiti di antibiotici e antiparassitari per restare vivi abbastanza a lungo da raggiungere un peso profittevole sul mercato. Queste condizioni sono lo scenario perfetto che favorisce lo sviluppo di nuovi patogeni. Batteri resistenti agli antibiotici, che uccidono già 700.000 persone ogni anno nel mondo e che secondo le stime diventeranno la prima causa di morte nel 2050 con 10 milioni di vittime all’anno (insomma, non dovremo aspettare a lungo per la prossima emergenza sanitaria che prolunghi all’infinito questo stato di eccezione) (5). E virus, che hanno modo di replicarsi in numero enorme. Questo significa che statisticamente, prima o poi, qualcuno di questi riesce a mutare per compiere il famoso salto di specie verso l’uomo – che è a continuo contatto con gli animali detenuti in cattività.

L’enorme portata della sofferenza e dello sfruttamento animale riesce a indurre un cambiamento di prospettiva solo in poche persone, e probabilmente non sarà l’ennesima zoonosi a fare di meglio. Ma non rinunciamo a cogliere questa ulteriore occasione di mettere in dubbio il paradigma specista e antropocentrico della nostra società: non possiamo affrontare alcun discorso di salute pubblica se non ripensiamo al modo in cui trattiamo gli altri animali, e al motivo per cui li trattiamo così. Gli allevamenti sono luoghi di orrore che vanno chiusi, gli altri animali hanno il nostro stesso diritto alla libertà e all’autodeterminazione, e questa potrebbe essere anche l’unico modo di evitare una catastrofe sanitaria e climatica. Cosa ci serve ancora per cambiare?

Nei panni dell’Altro.

Da alcune settimane stiamo sperimentando una quotidianità diversa, alienante e stressante. Siamo stat* privat* della libertà di movimento che avevamo prima, della possibilità di agire il nostro tempo liberamente, di incontrarci, di stare all’aria aperta. Che vita è? La più immediata riflessione che possiamo fare ci porta a provare un forte senso di solidarietà con chi vive sempre queste restrizioni: carcerat*, reclus*, istituzionalizzat*, persone disabili e non autosufficienti costrette a vivere in un’abitazione per mancanza di mezzi adeguati. Ma tendiamo lo sguardo oltre, e basta poco per accorgerci che è esattamente la stessa vita a cui sono condannati buona parte dei nostri animali domestici, in verità i più fortunati, quelli che “stanno bene”. Abbiamo da mangiare, da bere, un letto, non dovremmo essere felici così? Chi divide la casa con cani e gatti, pesci di acquario, rettili o uccelli in gabbia, ha un’occasione unica per capire che cosa significa trascorrere l’esistenza tra quattro mura, uscire solo pochi minuti al giorno per una distratta passeggiata, o osservare malinconicamente lo scorrere della vita fuori dalle finestre. Una vita che resta oltre la nostra portata, anche se abbiamo la ciotola piena. Tutti gli animali sono mossi dagli stessi desideri basilari che muovono anche noi, desiderano essere protagonisti delle proprie vite, delle proprie giornate, esprimere le proprie inclinazioni, essere liberi. Facendo uno sforzo per porci nei loro confronti con curiosità e imparare cosa significa essere vivo per un gatto o un cane, poniamo le basi per un’esperienza arricchente e di reciproco rispetto. Non sarebbe male se da questa esperienza potessimo arrivare a rivoluzionare il nostro rapporto con gli altri animali anche nelle nostre relazioni affettive domestiche, smettendo di pensare agli animali domestici come animali “da compagnia”, che servono per darci affetto e attenzioni in cambio di cibo e coccole, e iniziando a vederli come sono realmente: individui unici e compagni animali con cui costruire un rapporto di reciprocità.

Difficoltà nei rifugi.

Questa epidemia e le misure di sicurezza sanitarie che sono state attuate stanno mettendo in grave difficoltà i rifugi per animali liberati, i canili e i gattili. Le adozioni sono ferme, gli eventi di autofinanziamento anche, ma le esigenze degli animali ospitati non cambiano. Cibo e spese veterinarie vanno pagate. Chi lavora in queste strutture sta continuando, al pari di altre categorie, ad esporre se stess* e l* propr* car* al rischio di contagio per assistere gli animali. Le donazioni di cibo, coperte, antiparassitari e anche di denaro, quando si può, sono sempre benvenute e necessarie per non lasciare indietro quelli che sono sempre, e ancora a lungo saranno, gli ultimi degli ultimi.

Contro ogni dominio, ogni gerarchia, per una solidarietà universale e senza confine!

Note:

(1) https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/dalla-peste-coronavirus-come-pandemie-hanno-cambiato-storia-dell-uomo/d71a9986-6dfd-11ea-9b88-27b94f5268fe-va.shtml

(2) https://www.vegolosi.it/news/qual-e-il-collegamento-fra-il-coronavirus-e-gli-allevamenti-intensivi/

(3) https://www.onegreenplanet.org/news/chart-shows-worlds-land-used/ Nel mondo il 77% percento delle terre agricole sono destinati a pascolo e coltivazione di mangimi, producendo solo il 17% delle calorie e il 33% delle proteine dell’intera alimentazione umana. Nell’unione europea, il 70% della terra agricola è usata per l’alimentazione animale. Eppure solo il 9% della carne bovina e il 30% della carne ovina al mondo è prodotta da pascolo. http://www.fao.org/3/X5303E/x5303e05.htm#chapter%202:%20livestock%20grazing%20systems%20&%20the%20environment Evidentemente è impossibile mantenere l’attuale produzione di carne, latte e uova con il pascolo, per non contare che proprio lo sfruttamento eccessivo del pascolo è una delle principali cause di desertificazione. http://www.ciesin.columbia.edu/docs/002-186/002-186.html

(4) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2367646/

(5) https://ilfattoalimentare.it/resistenza-agli-antibiotici.html