DOMENICA 28 FEBBRAIO @ BOSCHETTO DEI PARTIGIANI – ASTI. In caso di pioggia EX FERRIERE.
Troviamoci per confrontarci e parlare di cultura dello stupro, di patriarcato, di come ci mette a rischio e di come possiamo reagire quotidianamente, personalmente, senza delegare.
CULTURA DELLO STUPRO, VIOLENZA E COME POSSIAMO USCIRNE
Ogmi donna, persona trans e LGBTQI+ ha vissuto sulla propria pelle la cultura dello stupro con cui si manifesta il sistema di potere che chiamiamo patriarcato (o etero-cis-patriarcato) e come agisce nel quotidiano: fischi, scherni, insulti, palpate. Le aggressioni, le botte, gli stupri. La morte, per femminicidio o per suicidio in seguito alla diffusione di video intimi senza consenso o a violenze fisiche. Anche qui è capitato: nel 2017 Lydia, una giovane ragazza trans si è tolta la vita in seguito ad una violenza sessuale in un parco cittadino.
Le telecamere c’erano, ma non è cambiato nulla. L’aggressore è stato condannato, ma ha davvero capito ciò che ha fatto?
Il patriarcato è quello che ci ha insegnato a rassegnarci e sentirci vittime impotenti, a mimetizzarci e nasconderci, a non frequentare la città buia, a non bere troppo.
Andiamo in bagno in branco e camminiamo veloci fingendo di telefonare. Impariamo a rispondere “sono fidanzata” ad una avance insistente invece di rispondere “vattene affanculo”, come se ciò che ci legittima a rifiutare quella proposta fosse solo che siamo già di qualcuno. Impariamo a cercare protezione nella famiglia, questa istituzione onnipresente che costituisce proprio la dimensione minima e necessaria del patriarcato.
Infatti non per caso è proprio in famiglia che avvengono la maggior parte degli abusi, quando ci prendiamo troppe libertà o facciamo coming out. Troppo spesso è il partner che ci mena e ci violenta, ci manipola, ci priva della nostra indipendenza e se proviamo a lasciarlo è anche peggio. Non è difficile ritrovarsi in una quotidianità fatta di abuso in cui diventa normale essere sminuite, picchiate, minacciate e chiuse a chiave in casa, fino a doversi calare dal balcone per andare a lavoro spaccandosi i talloni, come è successo proprio qui ad Asti ad una donna che ha subito per anni violenze da parte del partner.
Il patriarcato è quando denunciamo, quando ci facciamo refertare in pronto soccorso, e impariamo poi che non esiste misura cautelare in grado di proteggerci, e quando infine dobbiamo andare in tribunale ci troviamo non a testimoniare le violenze subite, ma a dover difendere la nostra condotta.
Sì siamo sopravvissute, ma come eravamo vestite?
Abbiamo bevuto? Lo abbiamo invitato a casa? Lo abbiamo provocato? Abbiamo forse causato quel raptus in qualche modo? Forse era solo folle d’amore. Lo abbiamo tradito o volevamo lasciarlo? Una narrazione tossica in cui i media sguazzano senza ritegno.
Ci insegnano ad affidarci alle forze dell’ordine. Quando però sono i carabinieri a violentare, in tribunale le vittime si sentono chiedere se provano una segreta attrazione per gli uomini in divisa e se indossavano le mutande.
Ad Asti solo nel 2019 ci sono stati più di 160 accessi di donne al pronto soccorso per violenza domestica. I numeri sono in crescita ma sappiamo che è solo la punta dell’iceberg, perché prima di arrivare al pronto soccorso sono decine e decine gli episodi che vengono nascosti. Durante il 2020 la pandemia non ha cambiato nulla nella sostanza: pur in un anno così anomalo più di 60 donne hanno dovuto rivolgersi al pronto soccorso. Nonostante il calo drastico degli omicidi in generale, le donne vittima di femminicidio sono passate dal 30% al 60% del totale, 15 solo in piemonte. Contemporaneamente perdiamo indipendenza economica ad un ritmo vertiginoso: di 101 mila posti di lavoro persi nell’ultimo anno, 99 mila erano lavoratrici donne.
Non ci servono a niente strade piene di lampioni, telecamere e divise, perché la causa di tutta questa violenza non è nel buio dei marciapiedi e nella carenza di forze dell’ordine, è in un sistema che ci definisce come proprietà di altri, lavoro domestico e corpi gratis a disposizione di un sistema di potere patriarcale.
Per questo non vogliamo che della nostra sicurezza si prenda cura lo stato, con il suo apparato di forze dell’ordine, galere e confini, dispositivi schierati contro le nostre libertà.
Nel nostro quotidiano possiamo smettere di lasciarci definire solo come vittime e agire. Possiamo partire dal riconoscimento degli abusi e delle forme in cui la violenza si manifesta ben prima di diventare eclatante, dalla creazione di reti solidali, centri di ascolto, possiamo sperimentare pratiche collettive e individuali di resistenza a queste dinamiche.
Vogliamo essere libere, liberi e liberu e abbiamo ormai imparato che l’unica via di fuga da questo sistema è nelle nostre mani. Per la nostra sicurezza dobbiamo distruggere la cultura dello stupro e il patriarcato.
In questa chiacchierata vorremmo partire da regole condivise da tuttx sullo spazio di parola, per cercare di autogestirci nel modo più inclusivo possibile. Queste sono le nostre proposte, se ne avete altre comunicatecele ????
Ne discuteremo brevemente prima di iniziare per assicurarci che siano condivise e rispettose di tutte le persone che parteciperanno:
♡ Nel rispetto di tutte le individualità, non diamo per scontato il genere e il pronome da assegnare alle altre persone
♡ Cerchiamo di gestire i tempi nel rispetto di tuttx soprattutto se siamo in tantə.
♡ Cerchiamo di non interrompere e non parlarci addosso.
♡ Tuttx devono poter parlare se lo desiderano, ci sarà quindi una moderatrice che darà parola a chi la chiede.
♡ Ricordiamo che questa è una chiacchierata inclusiva.
♡ Toccheremo certamente argomenti che ci accendono, ma cerchiamo di non dirigere rabbia e indignazione verso lx altrx partecipanti alla chiacchierata.
Aperto a persone di ogni genere, orientamento, età, forma e colore.
Ricordiamo che L.A. Miccia è un collettivo libero, antifascista e transfemminista: fasc*, mach*, bull*, omofob*, transfobic* e razzist* non sono benvenut*.