Perché una battaglia non può sacrificarne un’altra

24 marzo 2020: “Padova, in quarantena col marito violento, massacrata a colpi di martello: è grave”.

Questa è solo l’ultima notizia di femminicidio di cui veniamo a conoscenza. La colpa? Il patriarcato: il virus più letale per quanto riguarda l’autodeterminazione delle donne. Queste settimane di isolamento e auto-quarantena da covid-19 non risparmiano la libertà delle donne vittime di violenza, costrette a rimanere chiuse in casa con i propri carnefici. In Italia, ogni 72 ore viene uccisa una donna. Negli ultimi anni i dati mostrano una diminuzione degli omicidi, mentre i femminicidi sono in aumento; i carnefici sono, per la maggior parte, mariti, partner o ex partner. Queste donne vengono uccise perché non si piegano, perché sono e vogliono rimanere libere.

Quest’anno l’8 marzo molt* di noi lo hanno festeggiato in casa. La lotta transfemminista che da qualche anno a questa parte riempie le strade e le città con i suoi colori e le sue voci, quest’anno ha dovuto fare i conti con i decreti che ci costringono nelle nostre case. La volontà iniziale di non farsi fermare in un giorno così importante è andata velocemente ad affievolirsi nel panico generale che ci ha obbligat* a isolarci per evitare il contagio nostro e dei nostri cari. Ma il famoso hashtag #restateacasa che gli abitanti dei social network e le celebrità si prodigano di diffondere il più possibile, non tiene conto di tutte quelle individualità che in casa trovano il proprio terreno di scontro: è proprio all’interno delle mura domestiche che avvengono la maggior parte delle violenze di genere e dei femminicidi. In queste settimane di emergenza non bisogna dimenticare che tante donne (sempre di più) sono costrette a vivere 24 ore al giorno al fianco dei propri potenziali assassini. L’isolamento è una delle caratteristiche più comuni delle relazioni abusanti, ed è già dimostrato come la violenza domestica aumenti durante i periodi di vacanza dal lavoro. Per tante donne andare a lavoro o poter semplicemente uscire di casa significa poter sfuggire anche solo per poco alle dinamiche di violenza domestica e di dominio nelle quali vivono tutti i giorni, e al momento questo non è possibile. L’imposizione dell’isolamento non fa che amplificare il rischio a cui queste persone sono esposte. Restare a casa e condividere costantemente lo spazio con i propri aggressori per molte donne non è l’opzione più sicura, e crea anzi le circostanze in cui la propria incolumità viene ulteriormente compromessa.

Senza possibilità di uscire, per tutte queste donne chiedere aiuto diventa sempre più difficile. Inoltre, in questa situazione emergenziale, le donne si vedono caricate di un ulteriore peso. La chiusura delle scuole e dei centri diurni per gli anziani o per le persone non autosufficienti sta aumentando infatti gli oneri di lavoro domestico e di cura non retribuito, che continua a ricadere principalmente sulle donne. I settori di lavoro con la più alta esposizione al virus poi sono principalmente femminili: le donne rappresentano il 70 per cento del personale nel settore sanitario e sociale a livello globale. All’interno di questo settore esiste un ulteriore divario retributivo medio di genere del 28 per cento.

 Se le forze di polizia affermano con fierezza che i furti nelle città sono in diminuzione in queste settimane, i numeri di violenze domestiche aumentano di giorno in giorno; li chiamano “litigi familiari”, ma a perdere sono ancora una volta le donne. In Italia, da quando è iniziata l’emergenza coronavirus c’è stato anche «un calo» nelle denunce per maltrattamenti. In Cina questi effetti “secondari” della pandemia a seguito dei blocchi imposti si sono già verificati: dal 6 marzo, secondo un’organizzazione non governativa cinese che lavora con le donne, il numero totale di casi di violenza domestica nella prefettura di Jingzhou, nella provincia di Hubei, è salito a oltre 300. E a febbraio il numero di casi è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Secondo uno degli attivisti che ha fondato l’ong, «l’epidemia ha avuto un impatto enorme sulla violenza domestica».

In Ohio e Texas le cliniche che praticano aborti dovranno sospendere gli aborti chirurgici “non essenziali”, al fine di tenere disponibili le forniture mediche per far fronte all’epidemia. La misura ha spinto i gruppi anti-aborto a chiedere che il divieto venga esteso a livello nazionale.

Anche in questo caso le conseguenze sulle donne dell’emergenza coronavirus non sono dunque confinate in una determinata parte del mondo ma tendono a investire tutto il globo, mostrando in tutta evidenza quanto il patriarcato sia radicato all’interno del tessuto sociale e quanto una situazione emergenziale possa rendere tale dominio opprimente.

In questo periodo emergenziale non dobbiamo smettere di lottare affinché le storie di queste donne non vengano oscurate dalla battaglia contro il covid-19: la lotta non va in quarantena.

Fonti:

https://www.bergamonews.it/2020/03/22/se-restare-a-casa-e-un-incubo-lallarme-dei-centri-antiviolenza-sulle-donne/361321/

https://www.ilpost.it/2020/03/17/il-coronavirus-e-la-violenza-domestica/

https://ilmanifesto.it/in-ohio-e-texas-aborto-vietato-non-essenziale/