Boccioli di tarassaco sotto sale

Il tarassaco è una pianta meravigliosa: cresce ovunque, è facilmente riconoscibile e fornisce una gran quantità di ingredienti in cucina. I boccioli chiusi ad esempio si possono mettere sott’olio, sott’aceto o sotto sale come i capperi. Quest’ultima variante è la più semplice.

Bisogna raccogliere i boccioli chiusi che crescono alla base della rosetta, ma cerchiamo di lasciarne un po’ in ogni pianta per lasciarla fiorire, non siamo avidi.

Dopo averli raccolti, puliamoli dalle foglioline e dai gambi. Il lavoro può sembrarvi noioso ma non c’è nessun capo che vi urla dietro né standard di produzione da raggiungere, quindi prendetela calma, sorseggiate un po’ di vino, leggete qualche pagina, ascoltate della musica o chiacchierate col gatto.

Dopo averli puliti, sciacquateli e fateli asciugare qualche ora su un canovaccio.

Quando sono asciutti pesateli e metteteli in barattolo con la stessa quantità di sale grosso in peso.

Ecco il risultato dopo qualche giorno sotto sale: il profumo è acidulo come quello dei capperi, il gusto è molto particolare. Proprio come i capperi, vanno sciacquati bene o lasciati in ammollo per togliere il sale in eccesso.

Nuove tecnologie e autocontrollo digitale

Esercito per le strade, droni, possibilità di tracciamento degli smartphone, autosorveglianza: queste sono solo alcune delle idee al vaglio, da alcune settimane, nella lotta contro il coronavirus. Una lotta che, in favore del rispetto delle regole, è stata in grado di stimolare i desideri di controllo insiti, più o meno inconsciamente, nei cittadini stessi. L’idea sarebbe quella di introdurre una norma di legge, o un decreto, che consenta, in deroga alla normativa sulla privacy, di svolgere verifiche con l’identificazione dei singoli utenti telefonici; la disposizione avrebbe una funzione soprattutto di deterrenza e varrebbe per un tempo limitato. La proposta di queste risoluzioni però ha sollevato diversi dibattiti circa la possibilità del protrarsi delle operazioni stesse; è infatti vero che potrebbero prolungarsi, o addirittura ri-attuarsi nel momento in cui si presenterà un’altra emergenza, sanitaria ma non solo, con serie ripercussioni sulla privacy dei cittadini. Il manifestarsi di un nuovo stato di eccezione in futuro potrebbe essere utilizzato come pretesto per colpire, ancora una volta, la libertà dei singoli: emergenza sanitaria, terrorismo, chi può dire quale sarà la causa della prossima quarantena, e quali le scelte da parte di un governo che ha già dimostrato di potersene fregare delle procedure democratiche per la convalida dei diversi decreti? Questa emergenza ci ha dimostrato come sia facile, anche all’interno di uno stato “democratico”, trovare delle scappatoie per emanare decreti senza il controllo da parte degli organi statali responsabili della salvaguardia della democrazia stessa, sollevando non poche preoccupazioni anche tra i sostenitori più accaniti di tale sistema.

In tema di sviluppo delle nuove tecnologie in aiuto all’emergenza coronavirus, in Cina una situazione analoga si è già vissuta grazie a un’app che traccia gli spostamenti degli utenti e permette loro di segnalare i luoghi che hanno visitato, le persone che hanno incrociato, per poter tracciare un filo tra i cittadini e tenere sotto controllo i contagi. “Così big data e intelligenza artificiale stanno battendo il coronavirus”; “Coronavirus: come la Cina lo ha fermato con la tecnologia e cosa può imparare l’Italia”: questi sono solo alcuni dei titoli che le testate giornalistiche italiane riportano in queste settimane, acclamando a gran voce il controllo attraverso la tecnologia che, già nella stessa Cina, in passato, si è dimostrata essere frutto di una pesante dittatura informatica.

Ma l’auto-controllo tanto apprezzato (che passerebbe dal tracciamento delle celle al controllo tramite GPS e app), che renderebbe buoni cittadini chi sceglie di praticarlo, ha più di un risvolto negativo: è il risultato dell’idea diffusa, ma che denota una conoscenza troppo superficiale dei mezzi, che la tecnologia possa essere usata fine a se stessa. I sostenitori della trasparenza radicale sbandierano l’estinzione della sfera personale in favore della pubblica onestà, ritenendo che una maggiore visibilità ci renda persone migliori; credono inoltre che una maggiore trasparenza renda automaticamente la società più tollerante: essere differenti equivale ad un’anomalia del sistema, forse sintomo di corruzione morale. Questa vigilanza costante operata dai nuovi padroni digitali fa girare molto denaro grazie al complesso delle informazioni che vi ruotano attorno, che regge a sua volta l’industria dei meta-dati. I nuovi padroni digitali costruiscono le infrastrutture rendendo così possibile dirigere in maniera eterogenea le masse, instillando desideri indotti e stimolando a fornire sempre più informazioni: siamo noi che rendiamo possibile la personalizzazione di massa. D’altronde le piattaforme social sono state create con l’obiettivo del profitto, non con l’idea di creare uno spazio globale di dibattito culturale. Il prezzo della libertà digitale è la fine della privacy[1].

Queste teorie di capitalismo digitale aiutano a comprendere come sia facile per i padroni digitali ottenere le informazioni necessarie dai propri utenti, e divengono più che mai attuali in questo periodo di caccia all’untore. I cittadini, ignari del funzionamento di tali tecnologie, si rendono partecipi di un sistema di sorveglianza, o peggio, di auto-sorveglianza, ostentato come utile o addirittura essenziale per la salute pubblica. Saper usare queste tecnologie in modo critico diventa fondamentale per non rischiare di essere assoggettati al potere per loro tramite, in un futuro in cui l’emergenza potrebbe non essere più l’eccezione, ma la regola.
Sia che queste risoluzioni vengano attuate, sia che vengano scartate definitivamente, è necessario tenere acceso il dibattito sull’uso delle nuove tecnologie in relazione ai possibili riscontri sulla privacy: le tecnologie che usiamo quotidianamente, anche quelle apparentemente più semplici come i social network, vanno conosciute, vanno compresi i meccanismi che ne stanno alla base e i paradigmi che li regolano per evitare che possano, un giorno (se già questo non stia accadendo), essere usate contro gli utenti stessi da chi detiene il potere. In questo clima emergenziale, va innanzitutto ricordato che la salute non si combatte con la sorveglianza e il controllo, o peggio, l’auto-controllo, ma con la presa di coscienza da parte del singolo individuo e con atti di responsabilità nei confronti dell’altro.

[1] Ippolita, La Rete è libera e democratica. Falso! cit., p. 21

LETTURE #5 – FILASTROCCHE PER I CUCCIOLI DEL COSMO, DI FILOMENA FILO SOTTILE

Lettura a cura del L.A. Miccia tratta da “Filastrocche per i cuccioli del cosmo” scritta da Filomena Filo Sottile.
Musiche: Paolo Longhini.

Un racconto per Eddi e tutte gli altr combattenti intergalatticu: https://filosottile.noblogs.org/post/2020/03/18/filastrocche-per-i-cuccioli-del-cosmo-un-racconto-per-eddi-e-tutte-gli-altr-combattenti-intergalatticu

LETTURE #4 – ALICE DIACONO – Cose che se non ho imparato a fare…

Meditazione quasi zen per momenti hardcore – parte 2: “Cose che se non ho imparato a fare entro i ventotto anni non imparerò a fare mai più”, poesia letta dall’autrice Alice Radice Diacono. Dal volume “Veniamo dal basso come un pugno sotto il mento”, Battaglia Edizioni, Imola 2019.

Qui il testo direttamente sul blog dell’autrice! https://iltempodiunbidet.wordpress.com/2015/09/09/cose-che-se-non-ho-imparato-a-fare-entro-i-28-anni-non-imparero-a-fare-mai-piu/comment-page-1/

Frittazza di luppolo + contorno

Oggi sveliamo un altro arcano segreto dell’ormai passata era geologica nota come Apericene.

La frittazza di luppolo, ovvero la frittata fatta con la farina di ceci, che non mi piace chiamare farifrittata perchè sa di cosa farinosa e polverosa e non è così.

Partiamo dal luppolo, ormai noto ingrediente primaverile della cucina micciana. A differenza di molte altre erbe spontanee, le cime di luppolo sono più gustose, croccanti e fragranti quando sono più grosse. Di quanto ho raccolto ho quindi tritato le parti più piccole, mentre le cime lunghe le ho tenute per guarnire la frittazza.

FRITTAZZA:

Per una buona frittazza bisogna rispettare la proporzione tra farina di ceci e acqua, che è di 1:3 IN PESO, esattamente come per la farinata.

– 80 g di farina di ceci
– 240 g di acqua
– un pizzico di sale
– un giro d’olio

L’impasto è liquido e mescolandolo con la frusta eliminate la maggior parte dei grumi, se ne resta qualcuno non è una tragedia si dissolvono in cottura. Per un risultato super si può far riposare qualche ora o una notte, ma anche fatto sul momento dà il suo porco risultato. Aggiungiamo poi la parte di luppolo tritata.

Versiamo l’impasto in una padella con olio caldo. Di olio ce ne va abbastanza, non deve friggere ma comunque la farina di ceci ha bisogno di grassi. Il fornello è medio e il fuoco è al minimo.

Dopo aver accomodato uniformemente la frittazza aggiungiamo i luppoli grandi e gustosi sopra, si cuoceranno senza problemi. Copriamo col coperchio e lasciamo cuocere circa 10 minuti.

Quando la frittazza si stacca agevolmente dalla padella scuotendola e la superficie è ben rappresa, si può girare con l’aiuto di un piatto. La seconda parte di cottura si fa senza coperchio, scuotendo ogni tanto la frittazza e quando fa un bel rumore sabbioso e sfrigolante di croccante è pronta per essere rigirata direttamente in un piatto.

Mannaggiando al vapore che non permette di godere in foto della superba croccantezza dei luppoli, possiamo fare un contorno di spinaci freschi e ortiche, nella stessa padella perchè non è il caso di lavare poi troppi piatti. Soffriggere uno spicchio d’aglio, dei peperoncini, e poi mettere gli spinaci freschi o sbollentati in padella insieme ad un po’ di cimette di ortica.

Salare, coprire e far appassire a fuoco basso, volendo si può sfumare con un po’ di vino per un gusto più robusto, o se no il vino potete bervelo tutto voi. Sempre a piacere, si può aggiungere già nel soffritto qualche oliva e cappero o pomodori secchi, o tutto quanto insieme, o qualunque altra cosa vi passi per la testa. Tranne i gatti e i cocci di vetro, che anche no.

Quando si è tutto appassito girate un po’, e finite la cottura senza coperchio per non far rammollire tutto, la verdura è buona quando ha un po’ di consistenza!

 

Perché una battaglia non può sacrificarne un’altra

24 marzo 2020: “Padova, in quarantena col marito violento, massacrata a colpi di martello: è grave”.

Questa è solo l’ultima notizia di femminicidio di cui veniamo a conoscenza. La colpa? Il patriarcato: il virus più letale per quanto riguarda l’autodeterminazione delle donne. Queste settimane di isolamento e auto-quarantena da covid-19 non risparmiano la libertà delle donne vittime di violenza, costrette a rimanere chiuse in casa con i propri carnefici. In Italia, ogni 72 ore viene uccisa una donna. Negli ultimi anni i dati mostrano una diminuzione degli omicidi, mentre i femminicidi sono in aumento; i carnefici sono, per la maggior parte, mariti, partner o ex partner. Queste donne vengono uccise perché non si piegano, perché sono e vogliono rimanere libere.

Quest’anno l’8 marzo molt* di noi lo hanno festeggiato in casa. La lotta transfemminista che da qualche anno a questa parte riempie le strade e le città con i suoi colori e le sue voci, quest’anno ha dovuto fare i conti con i decreti che ci costringono nelle nostre case. La volontà iniziale di non farsi fermare in un giorno così importante è andata velocemente ad affievolirsi nel panico generale che ci ha obbligat* a isolarci per evitare il contagio nostro e dei nostri cari. Ma il famoso hashtag #restateacasa che gli abitanti dei social network e le celebrità si prodigano di diffondere il più possibile, non tiene conto di tutte quelle individualità che in casa trovano il proprio terreno di scontro: è proprio all’interno delle mura domestiche che avvengono la maggior parte delle violenze di genere e dei femminicidi. In queste settimane di emergenza non bisogna dimenticare che tante donne (sempre di più) sono costrette a vivere 24 ore al giorno al fianco dei propri potenziali assassini. L’isolamento è una delle caratteristiche più comuni delle relazioni abusanti, ed è già dimostrato come la violenza domestica aumenti durante i periodi di vacanza dal lavoro. Per tante donne andare a lavoro o poter semplicemente uscire di casa significa poter sfuggire anche solo per poco alle dinamiche di violenza domestica e di dominio nelle quali vivono tutti i giorni, e al momento questo non è possibile. L’imposizione dell’isolamento non fa che amplificare il rischio a cui queste persone sono esposte. Restare a casa e condividere costantemente lo spazio con i propri aggressori per molte donne non è l’opzione più sicura, e crea anzi le circostanze in cui la propria incolumità viene ulteriormente compromessa.

Senza possibilità di uscire, per tutte queste donne chiedere aiuto diventa sempre più difficile. Inoltre, in questa situazione emergenziale, le donne si vedono caricate di un ulteriore peso. La chiusura delle scuole e dei centri diurni per gli anziani o per le persone non autosufficienti sta aumentando infatti gli oneri di lavoro domestico e di cura non retribuito, che continua a ricadere principalmente sulle donne. I settori di lavoro con la più alta esposizione al virus poi sono principalmente femminili: le donne rappresentano il 70 per cento del personale nel settore sanitario e sociale a livello globale. All’interno di questo settore esiste un ulteriore divario retributivo medio di genere del 28 per cento.

 Se le forze di polizia affermano con fierezza che i furti nelle città sono in diminuzione in queste settimane, i numeri di violenze domestiche aumentano di giorno in giorno; li chiamano “litigi familiari”, ma a perdere sono ancora una volta le donne. In Italia, da quando è iniziata l’emergenza coronavirus c’è stato anche «un calo» nelle denunce per maltrattamenti. In Cina questi effetti “secondari” della pandemia a seguito dei blocchi imposti si sono già verificati: dal 6 marzo, secondo un’organizzazione non governativa cinese che lavora con le donne, il numero totale di casi di violenza domestica nella prefettura di Jingzhou, nella provincia di Hubei, è salito a oltre 300. E a febbraio il numero di casi è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Secondo uno degli attivisti che ha fondato l’ong, «l’epidemia ha avuto un impatto enorme sulla violenza domestica».

In Ohio e Texas le cliniche che praticano aborti dovranno sospendere gli aborti chirurgici “non essenziali”, al fine di tenere disponibili le forniture mediche per far fronte all’epidemia. La misura ha spinto i gruppi anti-aborto a chiedere che il divieto venga esteso a livello nazionale.

Anche in questo caso le conseguenze sulle donne dell’emergenza coronavirus non sono dunque confinate in una determinata parte del mondo ma tendono a investire tutto il globo, mostrando in tutta evidenza quanto il patriarcato sia radicato all’interno del tessuto sociale e quanto una situazione emergenziale possa rendere tale dominio opprimente.

In questo periodo emergenziale non dobbiamo smettere di lottare affinché le storie di queste donne non vengano oscurate dalla battaglia contro il covid-19: la lotta non va in quarantena.

Fonti:

https://www.bergamonews.it/2020/03/22/se-restare-a-casa-e-un-incubo-lallarme-dei-centri-antiviolenza-sulle-donne/361321/

https://www.ilpost.it/2020/03/17/il-coronavirus-e-la-violenza-domestica/

https://ilmanifesto.it/in-ohio-e-texas-aborto-vietato-non-essenziale/

Salame al Cioccolato e Olio Extravergine d’Oliva

Ingredienti:

-Cioccolato fondente (400 gr)
-Olio extravergine d’oliva (125 ml)
-Acqua (75 ml)
-Zucchero (100 ml)
-Biscotti veg (q.b)

Sciogliere a bagnomaria il cioccolato. A parte, mescolare l’olio con l’acqua e lo zucchero. Una volta sciolto il cioccolato, unire la miscela liquida al cioccolato. Il composto risulterà piuttosto liquido.

Sbriciolare grossolaneamente i biscotti. La quantità varia in base alla marca dei biscotti. Dovrebbe risultare circa un piatto.

Far raffreddare il composto al cioccolato mezz’oretta in frigo per far rapprendere un poco. Aggiungerci quindi i biscotti.

Stendere il composto su carta da forno. L’aspetto non sarà proprio appetibile 🙂

Con l’ausilio di un cucchiaio dare al composto la forma di un filoncino.

Avvolgere stretto nella carta da forno. Riporre in frigo per circa 60 minuti.

Scartare la carta da forno. Cospargere bene di zucchero a velo e riporre in frigo per almeno altri 60 minuti.

Tirare fuori dal frigo almeno 30-60 minuti prima di servire, altrimenti il cioccolato risultera’ troppo duro e le fette si sgretolano.

MANGIARE!!!