!!ATTENZIONE!!
L’evento dell’8 marzo è rimandato a causa dell’ordinanza ministeriale per l’emergenza Coronavirus.
Non vogliamo che questo evento si trasformi in una scusa per azioni repressive, né che restino escluse compagne per motivi di cautela sanitaria.
Ci sentiamo tuttavia di far notare la macroscopica contraddizione di queste misure, che aboliscono e vietano il contatto umano e l’aggregazione culturale, di svago, sportiva e tuttavia tengono bene aperti luoghi di lavoro produttivo e i luoghi di consumo. Siamo al punto in cui per tutelare la salute pubblica chi chiedono di rinunciare al poco tempo libero e alle nostre lotte, e siamo tutt* dispost* a fare questo sacrificio. Però poi per tutelare il PIL ci mandano ad ammalarci nelle fabbriche, negli uffici e nei cantieri, e non abbiamo scelta, perchè senza soldi non si tira avanti e sono di nuovo i più vulnerabili a patire per primi e più duramente le conseguenze della mancanza di lavoro. E diciamoci la verità, in fondo siamo ormai abituat* al fatto che di lavoro si muore, e siamo tutt* un po’ dispost* a morire per lavorare.
Ci sentiamo inoltre di ribadire che nonostante il clima di emergenza, è di estrema urgenza continuare a combattere il patriarcato, in ogni città, in forma individuale se non collettiva. L’otto marzo è un giorno simbolico e la nostra lotta non si limita certo a questa giornata, ma è un giorno che non ci faremo togliere.
Portiamo in piazza la nostra chiacchierata transfemminista per ribadire che la sicurezza non ce la danno telecamere, ordinanze e tribunali, ma un’azione collettiva e solidale tra tutte le vittime del sistema patriarcale: donne, persone trans, individualità queer e lgbtqia+
PORTATI UNA SEDIA E UNISCITI A NOI!
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LA NOSTRA SICUREZZA NON È FATTA DI TELECAMERE
Per la nostra sicurezza non servono telecamere, divise e tribunali. Per la nostra sicurezza dobbiamo distruggere la cultura dello stupro e il patriarcato.
Di cosa stiamo parlando?
Noi donne, noi persone trans e LGBTQI+ sappiamo bene cos’è il patriarcato: fischi, scherni, insulti, palpate. Le aggressioni, le botte, gli stupri. La morte, per femminicidio e per suicidio in seguito a revenge porn o violenze, come è capitato nella nostra città alla giovane ragazza trans che si è tolta la vita nel 2017 in seguito ad una violenza sessuale in un parco cittadino.
Le telecamere c’erano, ma non è cambiato nulla.
Il patriarcato è quello che ci ha insegnato a rassegnarci e sentirci vittime impotenti, a mimetizzarci e nasconderci, a non frequentare la città buia, a non bere troppo. Andiamo in bagno in branco e camminiamo veloci fingendo di telefonare.
Impariamo a rispondere “sono fidanzata” ad una avance insistente invece di rispondere “vattene affanculo”, come se ciò che ci legittima a rifiutare quella proposta fosse solo che siamo già di un altro. Impariamo a cercare protezione in famiglia, ma troppo spesso scopriamo che è proprio il partner che ci mena e ci violenta, ci manipola, ci priva della nostra indipendenza e se proviamo a lasciarlo è anche peggio. Non è difficile ritrovarsi in una quotidianità fatta di abuso in cui è normale essere picchiate, minacciate e chiuse a chiave in casa, fino a doversi calare dal balcone per andare a lavoro spaccandosi i talloni, come è successo proprio qui ad una donna che ha subito per anni violenze da parte del partner.
Ad Asti solo nel 2019 ci sono stati 162 accessi di donne al pronto soccorso per violenza domestica. I numeri sono in crescita ma sappiamo che è solo la punta dell’iceberg, perché prima di arrivare al pronto soccorso sono decine e decine gli episodi che vengono nascosti.
Il patriarcato è quando denunciamo, quando ci facciamo refertare in pronto soccorso, e impariamo poi che non esiste misura cautelare in grado di proteggerci, e in tribunale dobbiamo andare per difenderci, non per testimoniare le violenze subite.
Si siamo sopravvissute, ma come eravamo vestite?
Abbiamo bevuto? Lo abbiamo invitato a casa? Lo abbiamo provocato? Abbiamo forse causato quel raptus in qualche modo? Forse era solo folle d’amore. Lo abbiamo tradito o volevamo lasciarlo?
Ci insegnano ad affidarci alle forze dell’ordine, poi però quando sono i carabinieri a violentare, in tribunale le vittime si sentono chiedere se provano una segreta attrazione per gli uomini in divisa, e se indossavano le mutande.
Non ci servono a niente strade piene di lampioni, telecamere e divise, perché la causa di tutta questa violenza non è nel buio dei marciapiedi e nella carenza di forze dell’ordine, è nel sistema patriarcale che ci definisce come proprietà di altri, lavoro domestico e corpi gratis a disposizione degli uomini.
Non vogliamo che della nostra sicurezza si prenda cura lo stato, con il suo apparato di forze dell’ordine, galere e confini.
Vogliamo essere libere e questa libertà ce la dobbiamo prendere noi, nessun altro ce la può dare. Creiamo reti solidali e distruggiamo la cultura dello stupro, distruggiamo il patriarcato.
Attraversiamo con i nostri corpi e le nostre storie tutti gli spazi pubblici e privati, rendiamo sicure le strade invadendole con le nostre voci, accogliamo ogni persona che ci sia sorella in questa oppressione e in questa lotta, e tutte insieme vomitiamo sulle norme eteropatriarcali.
Per questa libertà l’8 marzo saremo in piazza!
LABORATORIO AUTOGESTITO L.A. MICCIA
NON UNA DI MENO ASTI