CACEROLAZO ANTIMILITARISTA – Sab 9 Aprile H15

Il 9 Aprile come Assemblea antimilitarista siamo scesi in piazza contro le celebrazioni militariste per i cento anni della sezione alpini astigiana, abbiamo disturbato l’ammassamento in piazza san secondo con un cacerolazo. Tra interventi, cori e azioni di disturbo abbiamo cercato di spiegare l’assurdità di questa manifestazione. È da un mese che in piazza san secondo si incontrano associazioni, individui e collettivi che chiedono la pace e la cessazione del conflitto Russo – Ucraino, oggi in piazza Alfieri una “Cittadella Militare” è stata allestita per la tre giorni degli alpini.. come si fa a chiedere la pace e la fine delle guerre se permettiamo questo tipo di celebrazioni, se non diciamo nulla quando dei militari invadono letteralmente il centro delle nostre città?

Oggi un Cacerolazo rumoroso e rabbioso si è messo di mezzo alle celebrazioni degli alpini, ma l’opposizione contro tutte le guerre e a tutti gli eserciti in città non finiscono qui!
Il 25 Aprile attraverseremo in corteo la città in solidarietà a tutt3 i disertor3, contro tutte le guerre! Scendi in strada anche tu, fai girare la voce, opponiamoci a tutte le guerre!


Sab 9 Aprile H15 @ Corso Alfieri lato Unicredit – Asti

È passato poco più di un mese dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina. Dallo scoppio della guerra le piazze di mezzo mondo manifestano per la pace. Qui nella nostra città associazioni, gruppi e individui si incontrano in piazza san secondo tutti i sabati in nome della Pace e per la cessazione di tutte le guerre. Non possiamo rimanere indifferenti davanti alla notizia delle celebrazioni del centenario della sezione degli alpini astigiani che soppianteranno l’appuntamento mensile per la pace e occuperanno il centro storico con le loro celebrazioni militariste e con l’allestimento della “cittadella militare” in Piazza Alfieri.

Questo evento non è agghiacciante solo per il conflitto aperto in Ucraina, è agghiacciante per tutti i conflitti aperti dove l’Italia e il corpo militare degli alpini sono coinvolti, è agghiacciante perché davanti alle morti, alla violenza delle guerre e la volontà di alzare la spesa militare al 2% del pil (108 milioni di euro al giorno) nonostante la crisi e tutte le difficoltà economiche e psicologiche che le persone stanno affrontando dopo una pandemia durata due anni che ha completamente cambiato le nostre vite questi arrivano in città a celebrare la guerra!

Contro la cittadella militare in città
Contro le celebrazioni militariste
Contro tutte le guerre
CACEROLAZO!

Pentole, pentolini, cucchiai, mestoli, coperchi, fischietti, maracas! Porta con te qualsiasi oggetto che faccia rumore, guastiamogli la festa!

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Due righe sulle piazze di questi giorni ad Asti

“No alla guerra, vogliamo la pace”, questo è uno dei tanti slogan che in questi giorni abbiamo sentito in diverse piazze italiane e anche nella nostra città. Siamo rimasti positivamente sorpresi di vedere una grande partecipazione alla fiaccolata di giovedì sera organizzata dai sindacati confederali e da altre realtà astigiane.

Da anni come individualità e come collettivi portiamo avanti un identico NO alla guerra che per noi però non può essere disgiunto in alcun modo dalla lotta antimilitarista. Pena il ricadere in fantasie ingenue o in aperta ipocrisia. Soprattutto in un paese come l’Italia dove la spesa per l’industria bellica sale esponenzialmente di anno in anno, nonostante la pandemia, la crisi, la sanità al collasso.

Solo pochi mesi fa, a dicembre, a Torino è andato in scena l’aerospace and defence meeting: una vera e propria fiera delle armi che si svolge ogni anno a Lingotto. Qui le aziende italiane del settore e quelle internazionali si incontrano per prendere accordi commerciali, comprare e vendere armi da usare sulla pelle delle persone nei vari teatri di guerra. In quei giorni molte persone scesero per le strade di Torino e non solo per opporsi ai mercanti d’armi.

Le mobilitazioni furono decisamente più ridotte di quelle di questi giorni e con una copertura mediatica infinitamente minore. La guerra sembrava ai più un fatto lontano, anacronistico. Un fatto che in questi giorni abbiamo visto nuovamente irrompere con tutta la sua violenza nella storia dell’Europa.

Gli antimilitaristi non hanno il dono della preveggenza. Essi sanno però che non si può parlare di pace se si vive in un paese dove si spendono miliardi per le armi ed esistono fiere di morte come quella del Lingotto. L’Italia è in guerra da tempo. In Niger, Libia, Golfo di Guinea, stretto di Ormuz, in Iraq, nel Mediterraneo. La Sicilia è una vera e propria piattaforma logistica avanzata per le operazioni della NATO e delle forze armate italiane. I droni che sorvolano i vari scenari di guerra partono da Sigonella e gli ordini militari transitano dalla stazione Muos di Niscemi. Come antimilitaristx ci opponiamo con forza alla violenza della NATO, alla violenza di Putin, alla violenza di qualsiasi Stato e di qualsiasi esercito.

E oggi, di fronte al disastro della guerra in Ucraina, vogliamo ribadire che se vogliamo veramente la pace tra i popoli allora dobbiamo rivoltarci contro chi ci governa, smantellare pezzo per pezzo l’industria bellica, le fabbriche di armi e le basi militari. Finchè esisteranno gli eserciti le guerre non cesserranno.

Boicottiamo le loro guerre seguendo l’esempio delle compagne e dei compagni in Sicilia contro il Muos, in Sardegna contro le basi e le esercitazioni militari, dei portuali a Genova che fermano i carichi d’armi che attraccano al porto.

Non limitiamoci ad essere spettatori e spettatrici degli avvenimenti che si susseguono. I sindacati hanno sfilato per chiedere la pace. Il sindaco ha fatto il suo bel discorso. Ma oggi più che mai non ci servono belle parole e manifestazioni estemporanee di buoni sentimenti. Ci serve una lotta antimilitarista generalizzata, un’organizzazione dei lavoratori dal basso in grado di dichiarare uno sciopero generale contro la guerra!

Non aspettiamo, non deleghiamo, organizziamoci: ognuno con i propri mezzi. Ognunx con le proprie forze!

Per un mondo che sappia abolire le cause profonde della guerra. Che sappia dare un senso concreto alla parola pace.

Disertori delle vostre guerre

Cos’è veramente utopistico? Lo sforzo di chi cerca di attuare “una pace duratura fra i popoli dopo aver abbattuto le vere cause della guerra”?
Oppure è utopistico illudersi “di arrivare ad un federalismo europeo e mondiale in piena rivalità di interessi capitalistici e di tendenze spiccatamente egemoniche dei diversi Stati”? Questo si domandava il gruppo anarchico astigiano “Pietro Ferrero” nel 1950 (Era Nuova, 15/05/1950).

La nascita dell’Unione Europea come la conosciamo oggi era ancora ben lontana ma chi aveva vissuto gli orrori di due guerre lo sapeva bene che non si può realizzare nessuna pace se continuano a esistere eserciti pronti a combattere, caserme colme di soldati, fabbriche d’armi a pieno regime, confini militarizzati, nazionalismi, interessi capitalistici e Stati. E lo sapeva bene Giacomo Tartaglino, animatore del gruppo libertario astigiano, lui che aveva disertato la Prima Guerra mondiale, rischiando la vita e aiutando centinaia di disertori come lui a trovare rifugio in Svizzera. Lui che per vent’anni aveva subito la repressione fascista e le conseguenze disastrose dell’imperialismo mussoliniano. Lo sapeva bene lui che, nel luglio del ’44, a 65 anni, aveva preso le armi ed era andato in montagna.

Oggi, a distanza di più di 70 anni le cose non sono cambiate. I bagliori della guerra sono tornati a illuminare i cieli d’Europa. L’Ucraina, invasa dalle forze militari russe, piange i suoi morti. Gli stati europei e la NATO minacciano ritorsioni ancor più sanguinose e iniziano una corsa ancora più sfrenata agli armamenti.

L’Europa “civilizzata” ha nuovamente fallito nella sua missione; la diplomazia degli Stati si è rivelata ancor più inefficace. Chi aveva affidato ai governi la speranza in soluzioni pacifiche, chi ancora crede nella buona volontà dei governanti e nell’efficacia della preghiera, è stato crudelmente smentito dai fatti.

Finché esisteranno armi ed eserciti si troveranno assassini in doppio petto o in divisa che proveranno a usarli. Finché esisteranno alleanze militari contrapposte, vi sarà il rischio di possibili escalation atomiche. Finché prevarrà il sistema degli Stati, non cesserà tra di essi la competizione per l’egemonia militare, politica ed economica.
Finché non ci libereremo del nazionalismo e di un’economia basata sullo sfruttamento feroce di risorse e di persone, allora avranno spazio i guerrafondai di ogni risma. Finché non elimineremo le cause strutturali delle guerre, le richieste di pace non saranno altro che ipocrite illusioni.

L’indignazione non basta. Per fermare la guerra bisogna incepparne i meccanismi.
Boicottiamo gli eserciti, i generali e i loro complici. Opponiamoci alle sanzioni che colpiscono solo i più poveri. Chiudiamo le industrie d’armi che sono le uniche che stanno facendo profitti in questo scenario di sangue. Chiudiamo le basi militari presenti sul nostro territorio. Smantelliamo le spese militari. Non un soldo, non un uomo per le loro sporche guerre.
Solidarietà alle popolazioni vittime della guerra e in fuga dai massacri. Solidarietà ai popoli russo e ucraino costretti a uccidersi a vicenda. Contro l’invasione russa e contro il nazionalismo ucraino. Contro Putin e contro la NATO. Sosteniamo i compagni anarchici e pacifisti russi che, scesi in questi giorni in piazza contro la guerra, vengono caricati, malmenati, incarcerati e repressi dalla polizia di Putin.

Scarica in PDF: Volantino Stop Wars

PUNTO INFO ANTIMILITARISTA

CONTRO I MERCANTI DI MORTE
PUNTO INFO ANTIMILITARISTA
SABATO 13/11 H16:30, ASTI Crs Alfieri (lato unicredit).
Punto info aspettando il Corteo Antimilitarista a Torino del 20/11
Sabato 20 novembre scenderemo in piazza a Torino Contro i mercanti d’armi, le fabbriche di morte e le basi militari
Contro l’Aerospace & defence meetings
Contro la spesa di guerra e le missioni militari all’estero
Contro l’ENI
Contro la guerra ai migranti e ai poveri
Contro la violenza sessista di ogni esercito
Contro tutte le patrie per un mondo senza frontiere !

Guerra al Covid o guerra ai poveri?

PUNTO INFO ANTIMILITARISTA
Sabato 30 Gennaio @ Corso Alfieri (altezza banca Unicredit) Asti
H 10:30
Verso la giornata del 13 febbraio a Torino

Il governo aumenta la spesa di guerra, finanzia la diplomazia in armi dell’Eni in Africa, accelera sul Tav e le altre grandi opere.
A dieci mesi dall’inizio della pandemia nulla è stato fatto per porre rimedio alle scelte criminali dei governi.
Negli ultimi 10 anni sono stati tagliati 43.000 posti di lavoro nella sanità. In Italia ci sono 3,2 posti letto ogni mille abitanti, contro i 4,7 della media europea. In Italia i posti letto sono calati del 30 per cento tra il 2000 e il 2017.
Il governo si è gingillato tra banchi a rotelle e ponte sullo stretto ma solo le briciole sono state stanziate per assumere medici, infermieri, assistenti sanitari, per aprire nuovi reparti, per la prevenzione e la cura nel territorio, per le USCA, le unità di assistenza domiciliare.
I sanitari che rendono pubbliche le condizioni in cui sono obbligati a lavorare sono sottoposti a provvedimenti disciplinari e rischiano il posto.
I soldi del recovery found non verranno utilizzati per tutelare la nostra salute, ma per sostenere le industrie, la lobby del cemento e del tondino, l’industria bellica e l’apparato militare.
Oggi la sanità è al collasso: i posti letto scarseggiano, non ci sono strutture e personale per curare adeguatamente tutti.
Per chi se le può permettere ci sono le cliniche private, la prevenzione, le cure. Per gli altri la vita è oggi più che mai un terno al lotto. Ma a decidere non è mai il destino. Decidono i governi.
I responsabili siedono sui banchi del parlamento, nei consigli regionali e nelle segreterie di tutti i partiti. Tutti hanno governato, trasformando la salute in business.
Nel 2020 sono stati stanziati circa 26,3 miliardi in spese militari, un miliardo e mezzo in più rispetto al 2019. Calcolate quanti posti letto, quanti ospedali, quanti tamponi, quanta ricerca si potrebbe finanziare con questi 26 miliardi e rotti di euro. Avrete la misura della criminalità di questo e di tutti i governi di questi anni.
La bozza di piano pandemico del governo per il 2021 rende “normale” l’orrore della scelta tra chi vive e chi muore in caso “le risorse non siano sufficienti”. Anziché migliorare il servizio sanitario, si decide che i più deboli e anziani non meritino la spesa. Lo stesso piano stabilisce che i responsabili di “fughe di notizie” vengano censurati: la verità sulla gestione della pandemia non deve essere resa pubblica.
Chi è povero, malato, anziano non merita di vivere. La sua vita è un costo insostenibile per chi sceglie di spendere per rinforzare l’apparato bellico che sostiene l’imperialismo tricolore e gli interessi di multinazionali come ENI e Leonardo.
I militari, promossi a poliziotti durante la pandemia, sono nelle nostre strade per affiancare le altre forze dell’ordine nella repressione di ogni insorgenza sociale.
Sono per le strade dei quartieri dove arrivare a fine mese è sempre più difficile, dove si allungano le file di poveri, senza casa, senza reddito, precari.
La crisi pandemica che ha colpito la maggior parte dei paesi europei ha prodotto una crisi sociale senza precedenti, che sta innescando momenti di rivolta sociale.
Se non ci sono i soldi per il fitto e le bollette, la tutela della salute diventa un lusso che pochi possono permettersi. Per mettere insieme il pranzo con la cena, molti si sono dovuti adattare ad una miriade di lavori precari sottopagati, senza reali tutele dal rischio di contagio.
La chiamano pandemia ma è una sindemia, perché il virus colpisce e uccide soprattutto i più poveri, quelli che più degli altri sono colpiti da malattie croniche, che dipendono dallo stile di vita, dall’esposizione all’inquinamento, dal cibo spazzatura, dal mancato accesso a prevenzione e cura.
Il coprifuoco serale, inutile per contenere il virus, è mera ginnastica d’obbedienza, uno dei tanti dispositivi disciplinari sperimentati in vista di possibili insorgenze sociali. La produzione non si deve mai fermare, costi quel che costi, mentre le nostre vite sono sempre più compresse.
Il governo teme le rivolte e elargisce elemosine a scadenza agli imprenditori colpiti dalle chiusure. Ma per i tanti che lavoravano in nero o con contratti di poche settimane non c’è né cassa integrazione, né “ristori”.
Il governo si è preso pieni poteri e utilizza strumenti fuori dall’ordinario. Lo stato d’emergenza è diventato permanente, per avere mano libera nella repressione delle lotte.
I tanti provvedimenti repressivi messi in campo nell’ultimo decennio per dare scacco agli indesiderabili, ai corpi in eccesso, ai sovversivi non sono sufficienti per un governo che ha deciso di mettere sotto controllo militare l’intera popolazione.
Presto finiranno blocco degli sfratti e cassa integrazione, presto non ci saranno più salvagente, presto gli ultimi saranno chiamati a pagare un prezzo ancora più alto per la crisi pandemica.
Per il governo le nostre vite non valgono fuori dalla gabbia del produci, consuma, crepa.
Le restrizioni imposte dal governo non basteranno a fermare il virus. Un virus che continuerà a correre finché la logica del profitto e della guerra sarà più importante delle nostre vite.
Fermarli dipende da ciascuno di noi. Salute e giustizia sociale vanno di pari passo.
Le fabbriche d’armi, le caserme, i poligoni di tiro, le basi militari sono a due passi dalle nostre case.
Gettare sabbia negli ingranaggi del militarismo è possibile ed urgente.

Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
Laboratorio Anarchico Perlanera – Alessandria
Laboratorio Autogestito La Miccia – Asti

NON È ANDATO TUTTO BENE

Siamo a dicembre. Sono passati 8 mesi dall’inizio della pandemia. Che cosa è stato fatto per porre rimedio alle scelte criminali dei governi degli ultimi 30 anni?
In 10 anni sono stati tagliati 43.000 posti di lavoro nella sanità. In italia i posti letto sono calati del 30% tra il 2000 e il 2017. Stando all’ultima classifica stilata da ItaliaOggi e Università la Sapienza, Asti si trova al 103° posto su 107 città italiane per quel che riguarda il parametro della Salute: un risultato disastroso in un quadro nazionale già di per sè molto preoccupante.
Con la scusa dello “spreco di risorse” si sono chiusi i piccoli ospedali sparsi sul territorio che in piena pandemia sarebbero serviti come filtri per le strutture ospedaliere più grandi. Esemplare in questo senso il caso dei “vecchi” ospedali di Alba e Bra, smantellati in favore della nuova unica struttura di Verduno. Un enorme affare per i privati e la curia, un grave danno alla salute dei cittadini che si vedono privati in questo modo di due importantissimi presidi sanitari territoriali. 
A tali scelte locali si aggiungono le decisioni nazionali in materia di spesa pubblica. Il governo in questo periodo d’emergenza invece di stanziare i fondi necessari per un’assunzione significativa di medici, infermieri, assistenti sanitari, per aprire nuovi reparti per la prevenzione e la cura del territorio, ha continuato a investire grandissime quantità di denaro in spese militari. Nel 2020 sono stati stanziati circa 26,3 miliardi nell’ambito della Difesa, un miliardo in più rispetto al 2019. A tali cifre si aggiungeranno gli stanziamenti provenienti dal Recovery Fund: dei 209 miliardi destinati all’Italia ben 30 miliardi andranno nell’acquisto di applicazioni militari, caccia bombardieri, elicotteri e altri strumenti di morte. 
E per non farci mancare niente ecco che nel pacchetto di aiuti europei salta fuori anche la linea TAV Torino-Lione: un’opera inutile, costosissima, dannosa per l’ambiente e per la salute,fortemente contrastata dalla popolazione residente. L’ultimo tentativo, in ordine temporale, di far confluire soldi nelle tasche di Confindustria, che da tempo fa pressioni per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali inutili.
A tale riguardo il confronto con altri paesi europei è impietoso. Solo 9 miliardi in Italia sono destinati alla sanità, contro i 35 miliardi della Germania, mentre sempre nel nostro Paese ben 27 miliardi sono destinati alle infrastrutture.
Ecco come spenderemo gli aiuti che dovrebbero servire per la sanità, la scuola e i trasporti pubblici davvero utili.
Ecco qual è l’agenda dei governi: tagli alla sanità, investimenti nell’industria bellica e palate di soldi in grandi opere inutili. La nostra salute per questi criminali non conta nulla. 
Di fronte a tutto questo cambiare rotta è più che mai urgente. Non per tornare alla normalità di prima ma per un mondo radicalmente diverso dove al centro stiano le vite delle persone e non le merci, gli interessi di tutt* e non di poch*. Cambiare le cose è possibile ma solo partendo dal basso, solo attraverso l’azione diretta, il mutuo appoggio e la solidarietà.
Non deleghiamo le nostre lotte all’ennesimo politico di turno, agiamo in prima persona! Auto-organizziamoci! Per un mondo dove la salute non sia un privilegio ma un bene di tutt*. Per una società senza più guerre nè eserciti! La possibilità che “vada tutto bene” dipende da noi.

*Volantinaggio e info-point Asti 19 Dicembre 2020*

31 maggio – 1 giugno due momenti di lotta antimilitarista ad Asti

F35? Valgono centocinquantamila terapie intensive. La portaerei Trieste? Cinquantamila respiratori polmonari. Una manciata di blindati e un elicottero? Trecentotrentamila posti letto oppure dieci miliardi di mascherine.


La produzione bellica non si è mai fermata. In pieno lockdown l’AIAD, la Federazione delle Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza, membro di Confindustria, scriveva ai propri associati che c’era “l’opportunità per le società e le aziende federate, di proseguire la propria attività, concentrando l’operatività sulle linee produttive ritenute maggiormente essenziali e strategiche”.
Essenziale e strategico per chi e per cosa? Per i governi e per le agenzie di sicurezza che li acquistano per i vari teatri di guerra. Questo settore dell’industria bellica, che ha in Piemonte uno dei suoi centri di eccellenza, non ha mai smesso di funzionare a pieno regime, perché la
guerra per il governo Conte è un motore “essenziale” dell’economia, un tassello indispensabile per i giochi di potenza a livello planetario.
Gli anziani delle RSA, i lavoratori obbligati a far circolare le merci, i commessi dei supermercati, i medici, infermieri e OSS erano sacrificabili. Pedine di poco valore sullo scacchiere della storia.
Mentre cacciabombardieri, elicotteri da combattimento, missili e droni venivano prodotti dalle varie industrie piemontesi, la gente continuava ad ammalarsi senza ricevere cure adeguate, oggi la prevenzione è ancora un’utopia, mentre visite ed esami specialistici per altre patologie restano pressoché azzerati.
A maggio hanno riaperto buona parte delle attività produttive e commerciali, la sanità privata offre i suoi servizi a pagamento, mentre l’attività ambulatoriale resta in lockdown. La metafora della guerra al virus, tanto cara al governo, ha un sapore agre di fronte alla strage di questi mesi.
Decine di migliaia di morti. Quanti sarebbero ancora vivi se ci fossero state le strutture adatte ad affrontare l’epidemia?


Le spese militari in Italia crescono da anni, così come i tagli alla sanità. Per chi se le può permettere ci sono le cliniche private, la prevenzione, le cure. Per gli altri la vita, specie in questi mesi, è diventata un terno al lotto.
Ma a decidere non è mai il destino. Decidono padroni e governi. Sono loro che hanno deciso dove e come investire, dove e perché spendere il denaro sottratto alle nostre buste paga.
La spesa militare è passata dall’1,25 per cento del Pil fino a raggiungere un picco del 1,45 per cento mentre quella sanitaria è scesa di un punto percentuale, con una previsione per il 2020 che si aggira sul 6,5 per cento del Pil.
Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Mil€x nel 2020 sono stati stanziati circa 26,3 miliardi in spese militari, un miliardo e mezzo in più rispetto al 2019. 5,9 miliardi di euro sono destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma.
Provate a calcolare quanti posti letto, quanti ospedali, quanti tamponi, quanta ricerca si potrebbe finanziare con questi 26 miliardi e rotti di euro. Avrete la misura della criminalità di chi ci governa oggi e di chi ci ha governato in questi anni.
Neppure l’epidemia ha fermato il business bellico. Anzi. La portaerei Cavour, costata 1,3 miliardi ed entrata in servizio nel 2009, è stata utilizzata per promuovere il made in Italy armiero nel mondo. Una nuova portaerei, la Trieste, varata lo scorso anno ci è costata 1,2 miliardi di euro.


In piena pandemia il governo ha deciso di acquistare per la Marina Militare due sommergibili dal costo di 1,3 miliardi di euro, che saranno costruiti da Fincantieri. Le armi italiane, in prima fila il colosso pubblico Leonardo, sono presenti su tutti i teatri di guerra.
Sette miliardi di euro sono stati sbloccati dal Ministero della Difesa e dal MISE per la prevista “Legge Terrestre” che dovrebbe garantire la costruzione di diversi armamenti. In aprile Fincantieri ha vinto la gara per alcune fregate destinate alla Marina Militare staunitense.
Le 36 missioni militari all’estero, al servizio dell’imperialismo tricolore, costano 1,3 miliardi l’anno.C’è anche un bonus per l’industria bellica: un blindato Lince, testato in zona di guerra, ha un valore aggiunto per i nuovi acquirenti. Le guerre che paiono lontane sono invece vicinissime: le armi che uccidono civili in ogni dove, sono prodotte non lontano dai giardini dove giocano i nostri bambini. I blindati Lince, oltre che in Afganistan, sono stati testati tra le montagne piemontesi, nel cantiere-fortino di Chiomonte, in Val Susa.
In questi anni i militari italiani facevano sei mesi in Iraq, Libano, Afganistan e sei mesi per le strade delle nostre città. Guerra interna e guerra esterna sono due facce della stessa medaglia. I militari, promossi a poliziotti durante la pandemia, sono nelle nostre strade per affiancare le altre forze dell’ordine nella repressione di ogni insorgenza sociale.
In molte località sono impiegati nelle zone popolari. In Piemonte sono concentrati soprattutto a Torino, dove hanno stretto in una morsa le strade di Aurora e Barriera, quartieri dove la povertà, la precarietà, la difficoltà a mettere qualcosa in tavola, a pagare i fitti e le bollette, già forte, è aumentata durante il lockdown.
In questi due mesi e mezzo il governo ha alternato il bastone alla carota, regalando elemosine e distribuendo multe e denunce. Il loro nemico sono i poveri, quelli che rischiano la vita lavorando in nero, perché altrimenti non saprebbero come camparla, il loro nemico sono i lavoratori sacrificabili, i braccianti che devono chinare il capo e non pretendere protezioni. Niente deve fermare la macchina del profitto: chi la inceppa è trattato da nemico, da vittima sacrificabile.


Negli ultimi 10 anni sono stati tagliati 43.000 posti di lavoro nella sanità. In Italia ci sono 3,2 posti letto ogni mille abitanti, contro i 4,7 della media europea. In Germania sono otto: inutile chiedersi perché lì la diffusione dell’epidemia sia stata controllata molto meglio che da noi. In Italia i posti letto (15mila euro l’uno) sono calati del 30 per cento tra il 2000 e il 2017.

I responsabili siedono in tutte le poltrone rosse del parlamento.
Dopo due mesi e mezzo di pandemia, la situazione non è migliorata: non ci sono state nuove assunzioni di medici, infermieri, assistenti sanitari, gli ospedali non sono luoghi sicuri né per chi ci lavora né per chi vi è ricoverato.
Chi osa denunciare la situazione viene deferito ai consigli di disciplina o licenziato. I lavoratori della sanità devono scegliere tra la borsa e la vita. Tra rischiare la vita per avere uno stipendio, o rischiare il posto per difendere la propria vita e quella degli altri.
In questi mesi il governo ha provato a renderci complici di una strage di stato, soffocandoci di retorica patriottica e coprendoci con un sudario tricolore.
L’unione sacra degli italiani nella “guerra” al coronavirus, il sacrificio della libertà per il bene di tutti. Una favola che si scioglie di fronte a bombardieri prodotti a Cameri, mentre alle persone ammalate venivano prescritti tachipirina e scongiuri.
Anche quest’anno in vista del 2 giugno, che, come ogni anno verrà celebrato con cerimonie militari e appelli patriottici, saremo in piazza, per dire che non ci stiamo, che non ci arruoliamo.
Il nazionalismo è un virus mortale, che di anno in anno sta infettando la nostra società. La paura del domani viene usata per innalzare nuove barriere, per finanziare guerre, stragi, occupazioni militari.
Gli anziani sacrificati nelle RSA mentre si costruivano sommergibili da guerra sono l’emblema di regole sociali che è nostro impegno spezzare. Noi siamo con chi sciopera per non morire di lavoro, con chi ha resistito alla militarizzazione ed ha creato reti solidali.
Disertori, anarchici, senzapatria saremo in piazza, con tutte le precauzioni necessarie, contro tutti gli eserciti, tutte le frontiere, tutte le guerre. Per un mondo senza confini, stati, padroni, di liber* uguali, solidali.

Assemblea Antimilitarista – Torino
Federazione Anarchica Torinese – FAI
Laboratorio Autogestito La Miccia – Asti

DI COSA ABBIAMO DAVVERO BISOGNO

La sanità italiana sembra prossima al collasso. I pazienti vengono ormai stipati in ogni dove, di fronte alla penuria di posti letto. I medici, costretti a turni interminabili, sono catapultati dentro a uno scenario degno di una zona di guerra o di una qualche calamità naturale. Non solo: per far fronte all’emergenza, saranno richiamati in servizio anche medici e infermieri già in pensione.
Da qualche giorno poi si va ventilando l’ipotesi di privilegiare i pazienti con maggiore aspettativa di vita. Non ci sono abbastanza respiratori, quindi si deve fare una scelta tra chi ha il privilegio di guarire e chi è destinato a soccombere (https://www.repubblica.it/…/petrini_oggi_la_scelta_di_chi_…/)
In questo momento di grande caos vale la pena ricordare come si è arrivati a questo punto e quali sono state le priorità degli ultimi governi, in materia di una spesa pubblica che potrebbe incidere diversamente su questa emergenza.
Come sappiamo, il coronavirus ha un’alta mortalità per alcune categorie. Tuttavia, se i contagi non diminuiranno, ad uccidere non sarà il virus, ma l’incapacità del sistema sanitario di affrontare la crisi.
A fine novembre il ministro della difesa Guerini annunciava l’acquisto di 27 cacciabombardieri f-35, per un costo di oltre 3,5 miliardi di euro (https://www.disarmo.org/nof35/). Una cifra che si andava ad aggiungere ai circa 80 milioni di euro che spendiamo ogni giorno per mantenere in piedi la struttura militare(i dati si riferiscono allo studio del libro bianco della difesa e del documento programmatico pluriennale 2017-2019, per approfondimenti si veda: AA.VV., Per un futuro senza eserciti. Contro la guerra infinita e la militarizzazione sociale. Atti del Convegno antimilitarista, Milano 16 giugno 2018, Zero in Condotta, Milano).
Parallelamente, mentre le spese per le armi e le guerre aumentavano in modo costante, negli ultimi 10 anni veniva ridotta di 37 miliradi la spesa per la sanità: con una perdita di oltre 70.000 posti letto e 359 reparti (https://www.repubblica.it/…/coronavirus_lo_studio_in_10_an…/).
In dieci anni sono cambiati molti governi, ma la storia è sempre rimasta la stessa. Le priorità dei governanti sono sempre state altre: comprare strumenti di morte e riempire le strade di polizia. E anche adesso la soluzione che sembrerebbe prospettarsi non è certo quella di dirottare fondi dalla difesa alla sanità, ma quella di militarizzare le strade e sospendere a tempo indeterminato i diritti civili. A giustificazione di tali misure, lo spauracchio delle proteste avvenute in carcere, frutto di una situazione invivibile di sovraffollamento (resa ancora più tragica dalla chiusura delle visite), e non certo di un panico diffuso che potrebbe causare disordini non meglio identificati.( https://m.espresso.repubblica.it/…/coronavirus-esercito-pol….
La risposta militarista all’emergenza coronavirus sarebbe solo l’ultimo capitolo di una lunga storia. Nessun partito al potere ha infatti mai messo seriamente in discussione i soldi spesi per la difesa. Nessuno di loro ha neanche lontanamente ipotizzato che si potesse fare a meno di eserciti e di militari. Quanti lo gridavano nelle piazze, venivano additati come pazzi scriteriati. E a tutti è sembrato molto più sensato fare a meno dei posti letto in ospedale, dei macchinari e dei reparti. Con un solo giorni di spese militari si potrebbero coprire i costi annui di circa 90.000 posti letto, ma si continua a parlare di riempire le strade di militari.
Oggi questa crisi legata al coronavirus ci restituisce tutta l’urgenza della lotta antimilitarista, sbattendoci in faccia quali siano i veri bisogni di una società.
Oggi come allora non ci servono persone in divisa ma uomini in camice. Le risorse ci sono. A mancare è solo la volontà di cambiare rotta. E tale cambio non potrà arrivare da una petizione fatta allo stato. Nessun governo rinuncerà mai alle spese militari. Di fronte a quelli che dovrebbero essere bisogni primari (salute, istruzione, mezzi di sussistenza dignitosi…), ogni stato anteporrà sempre qualcos’altro (la difesa dei confini, delle banche, dell’economia…). Spetta a noi cambiare le cose, con l’azione diretta e non con inutili deleghe date a partiti e partitucoli.
Da sempre i governi fabbricano bisogni fittizi di sicurezza, a scapito delle cose che davvero ci servono. Se vogliamo uscire da questo circolo vizioso, dobbiamo imparare a immaginare una società radicalemente diversa, che ponga al centro le esigenze reali delle persone e non solo gli interessi di qualcuno. Che impari che si può vivere senza polizia e caserme, ma non senza dottori e ospedali.
Per fare questo dobbiamo lottare contro la macchina militare, che semina morte e prosciuga risorse, e insieme mettere in pratica fin da subito forme di mutuo appoggio, di solidarietà, di organizzaione dal basso. Pratiche che sappiano esautorare uno stato a cui non frega nulla della tutela della salute delle persone e che, solo quando le cose sono già alla deriva, interviene goffamente. E’ una sfida ambiziosa, ma è anche l’unica che ci permetterà di provare a costruire una società senza uomini armati per le strade, e dove non si debba più scegliere tra chi ha il diritto di vivere e chi deve essere lasciato morire.