Due righe sulle piazze di questi giorni ad Asti

“No alla guerra, vogliamo la pace”, questo è uno dei tanti slogan che in questi giorni abbiamo sentito in diverse piazze italiane e anche nella nostra città. Siamo rimasti positivamente sorpresi di vedere una grande partecipazione alla fiaccolata di giovedì sera organizzata dai sindacati confederali e da altre realtà astigiane.

Da anni come individualità e come collettivi portiamo avanti un identico NO alla guerra che per noi però non può essere disgiunto in alcun modo dalla lotta antimilitarista. Pena il ricadere in fantasie ingenue o in aperta ipocrisia. Soprattutto in un paese come l’Italia dove la spesa per l’industria bellica sale esponenzialmente di anno in anno, nonostante la pandemia, la crisi, la sanità al collasso.

Solo pochi mesi fa, a dicembre, a Torino è andato in scena l’aerospace and defence meeting: una vera e propria fiera delle armi che si svolge ogni anno a Lingotto. Qui le aziende italiane del settore e quelle internazionali si incontrano per prendere accordi commerciali, comprare e vendere armi da usare sulla pelle delle persone nei vari teatri di guerra. In quei giorni molte persone scesero per le strade di Torino e non solo per opporsi ai mercanti d’armi.

Le mobilitazioni furono decisamente più ridotte di quelle di questi giorni e con una copertura mediatica infinitamente minore. La guerra sembrava ai più un fatto lontano, anacronistico. Un fatto che in questi giorni abbiamo visto nuovamente irrompere con tutta la sua violenza nella storia dell’Europa.

Gli antimilitaristi non hanno il dono della preveggenza. Essi sanno però che non si può parlare di pace se si vive in un paese dove si spendono miliardi per le armi ed esistono fiere di morte come quella del Lingotto. L’Italia è in guerra da tempo. In Niger, Libia, Golfo di Guinea, stretto di Ormuz, in Iraq, nel Mediterraneo. La Sicilia è una vera e propria piattaforma logistica avanzata per le operazioni della NATO e delle forze armate italiane. I droni che sorvolano i vari scenari di guerra partono da Sigonella e gli ordini militari transitano dalla stazione Muos di Niscemi. Come antimilitaristx ci opponiamo con forza alla violenza della NATO, alla violenza di Putin, alla violenza di qualsiasi Stato e di qualsiasi esercito.

E oggi, di fronte al disastro della guerra in Ucraina, vogliamo ribadire che se vogliamo veramente la pace tra i popoli allora dobbiamo rivoltarci contro chi ci governa, smantellare pezzo per pezzo l’industria bellica, le fabbriche di armi e le basi militari. Finchè esisteranno gli eserciti le guerre non cesserranno.

Boicottiamo le loro guerre seguendo l’esempio delle compagne e dei compagni in Sicilia contro il Muos, in Sardegna contro le basi e le esercitazioni militari, dei portuali a Genova che fermano i carichi d’armi che attraccano al porto.

Non limitiamoci ad essere spettatori e spettatrici degli avvenimenti che si susseguono. I sindacati hanno sfilato per chiedere la pace. Il sindaco ha fatto il suo bel discorso. Ma oggi più che mai non ci servono belle parole e manifestazioni estemporanee di buoni sentimenti. Ci serve una lotta antimilitarista generalizzata, un’organizzazione dei lavoratori dal basso in grado di dichiarare uno sciopero generale contro la guerra!

Non aspettiamo, non deleghiamo, organizziamoci: ognuno con i propri mezzi. Ognunx con le proprie forze!

Per un mondo che sappia abolire le cause profonde della guerra. Che sappia dare un senso concreto alla parola pace.

Disertori delle vostre guerre

Cos’è veramente utopistico? Lo sforzo di chi cerca di attuare “una pace duratura fra i popoli dopo aver abbattuto le vere cause della guerra”?
Oppure è utopistico illudersi “di arrivare ad un federalismo europeo e mondiale in piena rivalità di interessi capitalistici e di tendenze spiccatamente egemoniche dei diversi Stati”? Questo si domandava il gruppo anarchico astigiano “Pietro Ferrero” nel 1950 (Era Nuova, 15/05/1950).

La nascita dell’Unione Europea come la conosciamo oggi era ancora ben lontana ma chi aveva vissuto gli orrori di due guerre lo sapeva bene che non si può realizzare nessuna pace se continuano a esistere eserciti pronti a combattere, caserme colme di soldati, fabbriche d’armi a pieno regime, confini militarizzati, nazionalismi, interessi capitalistici e Stati. E lo sapeva bene Giacomo Tartaglino, animatore del gruppo libertario astigiano, lui che aveva disertato la Prima Guerra mondiale, rischiando la vita e aiutando centinaia di disertori come lui a trovare rifugio in Svizzera. Lui che per vent’anni aveva subito la repressione fascista e le conseguenze disastrose dell’imperialismo mussoliniano. Lo sapeva bene lui che, nel luglio del ’44, a 65 anni, aveva preso le armi ed era andato in montagna.

Oggi, a distanza di più di 70 anni le cose non sono cambiate. I bagliori della guerra sono tornati a illuminare i cieli d’Europa. L’Ucraina, invasa dalle forze militari russe, piange i suoi morti. Gli stati europei e la NATO minacciano ritorsioni ancor più sanguinose e iniziano una corsa ancora più sfrenata agli armamenti.

L’Europa “civilizzata” ha nuovamente fallito nella sua missione; la diplomazia degli Stati si è rivelata ancor più inefficace. Chi aveva affidato ai governi la speranza in soluzioni pacifiche, chi ancora crede nella buona volontà dei governanti e nell’efficacia della preghiera, è stato crudelmente smentito dai fatti.

Finché esisteranno armi ed eserciti si troveranno assassini in doppio petto o in divisa che proveranno a usarli. Finché esisteranno alleanze militari contrapposte, vi sarà il rischio di possibili escalation atomiche. Finché prevarrà il sistema degli Stati, non cesserà tra di essi la competizione per l’egemonia militare, politica ed economica.
Finché non ci libereremo del nazionalismo e di un’economia basata sullo sfruttamento feroce di risorse e di persone, allora avranno spazio i guerrafondai di ogni risma. Finché non elimineremo le cause strutturali delle guerre, le richieste di pace non saranno altro che ipocrite illusioni.

L’indignazione non basta. Per fermare la guerra bisogna incepparne i meccanismi.
Boicottiamo gli eserciti, i generali e i loro complici. Opponiamoci alle sanzioni che colpiscono solo i più poveri. Chiudiamo le industrie d’armi che sono le uniche che stanno facendo profitti in questo scenario di sangue. Chiudiamo le basi militari presenti sul nostro territorio. Smantelliamo le spese militari. Non un soldo, non un uomo per le loro sporche guerre.
Solidarietà alle popolazioni vittime della guerra e in fuga dai massacri. Solidarietà ai popoli russo e ucraino costretti a uccidersi a vicenda. Contro l’invasione russa e contro il nazionalismo ucraino. Contro Putin e contro la NATO. Sosteniamo i compagni anarchici e pacifisti russi che, scesi in questi giorni in piazza contro la guerra, vengono caricati, malmenati, incarcerati e repressi dalla polizia di Putin.

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