I SINDACATI CONFEDERATI CI VOGLIONO AL LAVORO

I sindacati confederati hanno trovato un’altra occasione per dimostrare a tutti i lavoratori da che parte stanno e indovinate un pò.. stanno dalla parte dei padroni. Ma partiamo dall’inizio..
Quando l’emergenza coronavirus è esplosa in Italia e il governo ha varato le prime misure restrittive chiudendo le scuole e limitando la libertà di movimento delle persone, un ondata di proteste spontanee erano esplose nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro in generale, il motivo era semplice, molti lavoratori non erano disposti a mettere a rischio la propria salute sui posti di lavoro, a maggior ragione se quello che si produceva non era materiale di prima necessità, non erano disposti a far continuare le produzioni di padroni che bellamente spartivano ordini, magari in teleconferenza da chissà dove. Perché mettere a rischio la propria salute e quella dei propri famigliari per i profitti di pochi?. La lotta spontanea dei lavoratori viene appoggiata in seguito solo dai sindacati di base. Cglcisluil governo e confindustria si incontrano per ragionare su una situazione che sarebbe potuta scappare di mano con proteste più ampie nel paese, così dal giorno alla notte sfornano un bel decreto dove rassicurano i padroni e legalizzano di fatto l”assembramento” di lavoratori sui posti di lavoro. Le regole da rispettare sono semplici: I datori di lavoro devono fornire tutti i dpi ai propri dipendenti, quindi mascherine (che non si trovano manco per gli ospedali), visiere, guanti, incentivare ore di ferie, igienizzare in modo frequente i luoghi di lavoro ecc..
Facendo tutto questo la produzione può andare avanti, i sindacati confederati accettano l’accordo senza far troppo rumore, girando letteralmente le spalle a tutti i lavorator* in lotta.
Chi controlla che i datori di lavoro rispettino tutto questo nessuno lo sa.. Sempre se tutte queste “precauzioni” servano a qualcosa in posti di lavoro di 50, 60, 100 dipendenti.In più come se già tutto questo non bastasse un altro punto interessante concordato tra aziende e sindacati e il cosiddetto “Bonus” di 100/150€ a tutti i lavoratori che continuano a lavorare o che vanno incontro all’azienda in caso di esigenze del personale.
Hanno deciso loro sulle nostre vite, e gli hanno dato pure un prezzo!, hanno deciso che possiamo correre il rischio di ammalarci, perché si deve continuare a produrre fino a quando ce n’è..Ora si può dire che “lo dice la legge”. In un momento come questo è più che evidente chi mette davvero in pericolo le nostre vite. Rifiutiamo la delega, mettiamo all’angolo i padroni e gli amici dei padroni, lottiamo per una vita diversa, fatta di mutuo appoggio, autogestione, lottiamo per una società di liberi individui, senza comandare e senza essere comandati.

Ultime news: il governo decide di sguinzagliare i militari per le strade per contrastare i pericolosissimi runner untori per eccellenza, nemici della società!.
Nelle fabbriche tutto scorre regolare come se nulla fosse.

RIFLETTERE SULLA POSSIBILITA’ DI CAMBIARE

Siamo tutti chiusi in casa. Tutti fermi, tutti o quasi. Chi può, chi non deve muoversi per necessità, ma la maggior parte di noi è a casa. Automobili ferme, alcune aziende ferme, negozi chiusi.

Ci siamo fermati noi e ha potuto mettere il naso fuori la natura. Il cielo è azzurro, i delfini nuotano vicino alle coste e alle città si avvicinano caprioli e volpi. L’uomo non si è estinto e non sono passati 10 anni da quando abbiamo iniziato questa reclusione. 10 giorni a stento e la natura si è ripresa qualche spazio.

Come riporta L’Unione Sarda, diversi cinghiali sono stati visti per le strade di Sassari, probabilmente per via dello strano silenzio di questi giorni e dell’assenza di persone. In cerca di cibo, gli animali sono stati immortalati in diverse zone deserte della città. Mentre nelle acque più pulite di Cagliari e l’assenza di traghetti e navi hanno portato diversi delfini ad avvicinarsi alla costa. A Venezia, l’acqua dei canali è tornata trasparente e limpida, così tanto da far intravedere pesci e fondali.[1] Tre fenicotteri sono stati avvistati ieri al tramonto, planare nei cieli di Milano. Un cigno, in serata si è accostato alle paratie del Naviglio Grande. Vicino a San Donato Milanese, zona fortemente industrializzata, sono tornate le cicogne. Una famigliola di volpi è stata vista gironzolare per strada nella periferia sud di Milano.[2]

Ma c’è un’altra conseguenza di questo arresto generale: nel Nord Italia, una delle aree più inquinate del continente, da metà febbraio la concentrazione di NO2 (diossido di azoto), è diminuita del 10 per cento. Infatti il rallentamento delle attività produttive in Italia come in Cina, e soprattutto degli spostamenti ha ridotto i livelli di inquinamento dell’aria.

Come è noto, le emissioni di anidride carbonica legate alle attività umane sono in aumento fin dall’inizio della Rivoluzione industriale in Inghilterra nel Settecento, e sono aumentate in particolare nel corso del Novecento, con la progressiva industrializzazione di tutti i paesi del mondo, ma nell’ultimo secolo è capitato varie volte che importanti eventi storici abbiano avuto un impatto sull’inquinamento atmosferico. Secondo i dati messi insieme dal Global Carbon Project è successo in occasioni di gravi crisi che hanno coinvolto gran parte del mondo: le guerre mondiali, le crisi economiche mondiali e avvenimenti con grandi conseguenze geopolitiche, come il crollo dell’Unione Sovietica.[3] Ad una crisi del sistema corrisponde una diminuzione dell’inquinamento, ovviamente circoscritto a quel limitato periodo. Infatti anche ora ci si aspetta che questa improvvisa boccata d’aria per la Terra, non sia altro che temporanea, legata quindi all’inattività di questo periodo di blocco generale. Una volta finita a quarantena è scontato che si innalzeranno nuovamente i livelli di inquinamento.

Oppure, si potrebbe provare ad utilizzare questo periodo come ad una prova. Se lo possiamo fare per 20 giorni, perché non lo possiamo fare sempre? Perché non ripensare ad una società, ad un sistema che vada oltre al surplus di produzione di prodotti inutili. Perchè non vivere di essenziale? Intimissimi ha chiuso temporaneamente dicendo “i nostri prodotti non sono necessari”. Esatto, non lo sono. Se iniziassimo a ripensare ad un sistema che produce meno e ciò che serve? Se limitassimo gli spostamenti auto, navali e aerei all’essenziale, cosa accadrebbe? Come sarebbero i mari e i cieli? Gli studi stanno mettendo in luce che ci sono delle correlazioni tra la diffusione del virus e i tassi di inquinamento. Ma questo vale non solo per il Covid-19, ma anche per un più conosciuto morbillo. L’aria, la terra, l’acqua sono in stato di collasso, questo perchè noi come esseri animali-umani ne stiamo facendo un uso sconsiderato e spropositato. Stiamo però provando sulla nostra pelle che non è impossibile cambiare, sicuramente difficile, ma non impossibile. Potrebbe essere la nostra occasione per imparare da questa pandemia una lezione che potrebbe trasformarsi in una rivoluzione. Non aspettiamo la fine per tornare a rimpolpare le fila dello sfrenato consumismo, fermiamoci e ascoltiamo la nostra Terra.

RIFLESSIONI SUL CARCERE

Dopo un lungo periodo di silenzio si torna a parlare di carcere. Dall’emanazione del decreto per l’emergenza del corona virus di lunedì 9 marzo che, oltre alle innumerevoli disposizioni per i cittadini, vieta i colloqui all’interno delle case circondariali, scoppiano rivolte da parte dei detenuti in 27 istituti penitenziari. Per ora si contano 12 morti, etichettati dai giornali come “tossici” morti per overdose, e 19 evasi. Senza entrare nel dibattito che propone un complotto da parte della criminalità organizzata o dell’amministrazione pubblica della giustizia, gli ultimi eventi hanno comunque riportato alla luce l’emergenza ormai incancrenita del sovraffollamento delle carceri italiane. Dai dati del ministero della giustizia risultano infatti presenti, fino al 29 febbraio, 61.230 detenuti contro i 50.931 posti dichiarati dagli istituti penitenziari. In media quindi dove ci starebbero 100 persone, lo Stato ne inserisce 120. Scoppiano quindi le critiche al ministro della giustizia di turno e si accende nuovamente la lotta per i diritti dei detenuti. Purtroppo nemmeno in questa occasione viene messo in discussione il nostro sistema penitenziario. Esso infatti si basa sulla radicalizzazione dell’ossessione securitaria che porta a stigmatizzare e reprimere tutte le fasce della società che disturbano il cittadino modello. Poveri, tossicodipendenti, immigrati ecc. diventano portatori di una pandemia di delitti minori che appestano la vita quotidiana del cittadino rispettabile. Nel nostro contesto storico e culturale quindi il sistema penitenziario adotta un modello manageriale e si occupa di gestire e controllare il flusso di queste categorie di persone, trasformando le carceri in vere e proprie discariche sociali dove espellere le presunte problematiche della comunità.
Non ci stupiscono quindi queste rivolte poiché in queste istituzioni totalitarie basate sul potere, sull’ isolamento e sulla perdita della propria identità e dignità, l’unico diritto che i detenuti pretendono e difendono sono i colloqui con i familiari. Tutti aspettano con ansia la visita dei propri cari, per vedere il figlio che cresce senza di te, per parlare con la persona che ami, per dire a tua madre in lacrime che non succederà più e per poter ricevere quel pacco con il cibo che ti ricorda un po’ casa. Il decreto ha privato le persone del loro unico diritto ed è ingenuo pensare che la paura per il contagio bastasse ad evitare tensioni e momenti di rivolta.

La risposta all’emergenza del sistema penitenziario però anche in questo caso non è la ricerca di alternative ma l’aumento del controllo. La senatrice Piarulli, in accordo con Bonafede, infatti ha annunciato l’aumento del numero di agenti di polizia penitenziaria per poter sedare le rivolte e garantire i diritti di tutti.

Ancora una volta la risposta è l’aumento del controllo e la riduzione sempre maggiore di quei pochi centimetri di aria che permettono a chi ha perso la propria libertà di non soffocare.

“Più penso al problema del carcere e più mi convinco che non c’è che una riforma carceraria da effettuare: l’abolizione del carcere penale” (Manconi l., abolire il carcere).

Ora più che mai fuoco alle galere.

DI COSA ABBIAMO DAVVERO BISOGNO

La sanità italiana sembra prossima al collasso. I pazienti vengono ormai stipati in ogni dove, di fronte alla penuria di posti letto. I medici, costretti a turni interminabili, sono catapultati dentro a uno scenario degno di una zona di guerra o di una qualche calamità naturale. Non solo: per far fronte all’emergenza, saranno richiamati in servizio anche medici e infermieri già in pensione.
Da qualche giorno poi si va ventilando l’ipotesi di privilegiare i pazienti con maggiore aspettativa di vita. Non ci sono abbastanza respiratori, quindi si deve fare una scelta tra chi ha il privilegio di guarire e chi è destinato a soccombere (https://www.repubblica.it/…/petrini_oggi_la_scelta_di_chi_…/)
In questo momento di grande caos vale la pena ricordare come si è arrivati a questo punto e quali sono state le priorità degli ultimi governi, in materia di una spesa pubblica che potrebbe incidere diversamente su questa emergenza.
Come sappiamo, il coronavirus ha un’alta mortalità per alcune categorie. Tuttavia, se i contagi non diminuiranno, ad uccidere non sarà il virus, ma l’incapacità del sistema sanitario di affrontare la crisi.
A fine novembre il ministro della difesa Guerini annunciava l’acquisto di 27 cacciabombardieri f-35, per un costo di oltre 3,5 miliardi di euro (https://www.disarmo.org/nof35/). Una cifra che si andava ad aggiungere ai circa 80 milioni di euro che spendiamo ogni giorno per mantenere in piedi la struttura militare(i dati si riferiscono allo studio del libro bianco della difesa e del documento programmatico pluriennale 2017-2019, per approfondimenti si veda: AA.VV., Per un futuro senza eserciti. Contro la guerra infinita e la militarizzazione sociale. Atti del Convegno antimilitarista, Milano 16 giugno 2018, Zero in Condotta, Milano).
Parallelamente, mentre le spese per le armi e le guerre aumentavano in modo costante, negli ultimi 10 anni veniva ridotta di 37 miliradi la spesa per la sanità: con una perdita di oltre 70.000 posti letto e 359 reparti (https://www.repubblica.it/…/coronavirus_lo_studio_in_10_an…/).
In dieci anni sono cambiati molti governi, ma la storia è sempre rimasta la stessa. Le priorità dei governanti sono sempre state altre: comprare strumenti di morte e riempire le strade di polizia. E anche adesso la soluzione che sembrerebbe prospettarsi non è certo quella di dirottare fondi dalla difesa alla sanità, ma quella di militarizzare le strade e sospendere a tempo indeterminato i diritti civili. A giustificazione di tali misure, lo spauracchio delle proteste avvenute in carcere, frutto di una situazione invivibile di sovraffollamento (resa ancora più tragica dalla chiusura delle visite), e non certo di un panico diffuso che potrebbe causare disordini non meglio identificati.( https://m.espresso.repubblica.it/…/coronavirus-esercito-pol….
La risposta militarista all’emergenza coronavirus sarebbe solo l’ultimo capitolo di una lunga storia. Nessun partito al potere ha infatti mai messo seriamente in discussione i soldi spesi per la difesa. Nessuno di loro ha neanche lontanamente ipotizzato che si potesse fare a meno di eserciti e di militari. Quanti lo gridavano nelle piazze, venivano additati come pazzi scriteriati. E a tutti è sembrato molto più sensato fare a meno dei posti letto in ospedale, dei macchinari e dei reparti. Con un solo giorni di spese militari si potrebbero coprire i costi annui di circa 90.000 posti letto, ma si continua a parlare di riempire le strade di militari.
Oggi questa crisi legata al coronavirus ci restituisce tutta l’urgenza della lotta antimilitarista, sbattendoci in faccia quali siano i veri bisogni di una società.
Oggi come allora non ci servono persone in divisa ma uomini in camice. Le risorse ci sono. A mancare è solo la volontà di cambiare rotta. E tale cambio non potrà arrivare da una petizione fatta allo stato. Nessun governo rinuncerà mai alle spese militari. Di fronte a quelli che dovrebbero essere bisogni primari (salute, istruzione, mezzi di sussistenza dignitosi…), ogni stato anteporrà sempre qualcos’altro (la difesa dei confini, delle banche, dell’economia…). Spetta a noi cambiare le cose, con l’azione diretta e non con inutili deleghe date a partiti e partitucoli.
Da sempre i governi fabbricano bisogni fittizi di sicurezza, a scapito delle cose che davvero ci servono. Se vogliamo uscire da questo circolo vizioso, dobbiamo imparare a immaginare una società radicalemente diversa, che ponga al centro le esigenze reali delle persone e non solo gli interessi di qualcuno. Che impari che si può vivere senza polizia e caserme, ma non senza dottori e ospedali.
Per fare questo dobbiamo lottare contro la macchina militare, che semina morte e prosciuga risorse, e insieme mettere in pratica fin da subito forme di mutuo appoggio, di solidarietà, di organizzaione dal basso. Pratiche che sappiano esautorare uno stato a cui non frega nulla della tutela della salute delle persone e che, solo quando le cose sono già alla deriva, interviene goffamente. E’ una sfida ambiziosa, ma è anche l’unica che ci permetterà di provare a costruire una società senza uomini armati per le strade, e dove non si debba più scegliere tra chi ha il diritto di vivere e chi deve essere lasciato morire.

CONSIDERAZIONE SUL LAVORO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

Eh si sembra proprio che gli operai siano immuni al Coronavirus, sono immuni proprio durante le 8 ore di lavoro. Finito il turno, devono ASSOLUTAMENTE fare rientro nelle proprie abitazioni e assicurarsi di uscire solo per la spesa. Non importa se la tua fabbrica non produce beni di prima necessità, non importa se si è in 50, 100, 200 sotto lo stesso capannone, non importa se non ci sono mascherine per tutti: quello che importa è produrre. Negli anni si è parlato spesso di sicurezza sul lavoro, della tutela dei lavoratori, bene oggi davanti a questa enorme sfida, gli ultimi ad essere tutelati sono proprio i lavoratori che pagano il prezzo più alto rischiando la propria salute in nome del profitto di pochi.

Solidarietà con gli scioperi spontanei nelle fabbriche!

!!!RIMANDATA!!! PRESIDIO + CHIACCHIERATA TRANSFEMMINISTA IV

!!ATTENZIONE!!
L’evento dell’8 marzo è rimandato a causa dell’ordinanza ministeriale per l’emergenza Coronavirus.
Non vogliamo che questo evento si trasformi in una scusa per azioni repressive, né che restino escluse compagne per motivi di cautela sanitaria.
Ci sentiamo tuttavia di far notare la macroscopica contraddizione di queste misure, che aboliscono e vietano il contatto umano e l’aggregazione culturale, di svago, sportiva e tuttavia tengono bene aperti luoghi di lavoro produttivo e i luoghi di consumo. Siamo al punto in cui per tutelare la salute pubblica chi chiedono di rinunciare al poco tempo libero e alle nostre lotte, e siamo tutt* dispost* a fare questo sacrificio. Però poi per tutelare il PIL ci mandano ad ammalarci nelle fabbriche, negli uffici e nei cantieri, e non abbiamo scelta, perchè senza soldi non si tira avanti e sono di nuovo i più vulnerabili a patire per primi e più duramente le conseguenze della mancanza di lavoro. E diciamoci la verità, in fondo siamo ormai abituat* al fatto che di lavoro si muore, e siamo tutt* un po’ dispost* a morire per lavorare.

 

Ci sentiamo inoltre di ribadire che nonostante il clima di emergenza, è di estrema urgenza continuare a combattere il patriarcato, in ogni città, in forma individuale se non collettiva. L’otto marzo è un giorno simbolico e la nostra lotta non si limita certo a questa giornata, ma è un giorno che non ci faremo togliere.


Portiamo in piazza la nostra chiacchierata transfemminista per ribadire che la sicurezza non ce la danno telecamere, ordinanze e tribunali, ma un’azione collettiva e solidale tra tutte le vittime del sistema patriarcale: donne, persone trans, individualità queer e lgbtqia+

PORTATI UNA SEDIA E UNISCITI A NOI!

SCARICA VOLANTINO

LA NOSTRA SICUREZZA NON È FATTA DI TELECAMERE

Per la nostra sicurezza non servono telecamere, divise e tribunali. Per la nostra sicurezza dobbiamo distruggere la cultura dello stupro e il patriarcato.

Di cosa stiamo parlando?

Noi donne, noi persone trans e LGBTQI+ sappiamo bene cos’è il patriarcato: fischi, scherni, insulti, palpate. Le aggressioni, le botte, gli stupri. La morte, per femminicidio e per suicidio in seguito a revenge porn o violenze, come è capitato nella nostra città alla giovane ragazza trans che si è tolta la vita nel 2017 in seguito ad una violenza sessuale in un parco cittadino.
Le telecamere c’erano, ma non è cambiato nulla.

Il patriarcato è quello che ci ha insegnato a rassegnarci e sentirci vittime impotenti, a mimetizzarci e nasconderci, a non frequentare la città buia, a non bere troppo. Andiamo in bagno in branco e camminiamo veloci fingendo di telefonare.

Impariamo a rispondere “sono fidanzata” ad una avance insistente invece di rispondere “vattene affanculo”, come se ciò che ci legittima a rifiutare quella proposta fosse solo che siamo già di un altro. Impariamo a cercare protezione in famiglia, ma troppo spesso scopriamo che è proprio il partner che ci mena e ci violenta, ci manipola, ci priva della nostra indipendenza e se proviamo a lasciarlo è anche peggio. Non è difficile ritrovarsi in una quotidianità fatta di abuso in cui è normale essere picchiate, minacciate e chiuse a chiave in casa, fino a doversi calare dal balcone per andare a lavoro spaccandosi i talloni, come è successo proprio qui ad una donna che ha subito per anni violenze da parte del partner.

Ad Asti solo nel 2019 ci sono stati 162 accessi di donne al pronto soccorso per violenza domestica. I numeri sono in crescita ma sappiamo che è solo la punta dell’iceberg, perché prima di arrivare al pronto soccorso sono decine e decine gli episodi che vengono nascosti.

Il patriarcato è quando denunciamo, quando ci facciamo refertare in pronto soccorso, e impariamo poi che non esiste misura cautelare in grado di proteggerci, e in tribunale dobbiamo andare per difenderci, non per testimoniare le violenze subite.
Si siamo sopravvissute, ma come eravamo vestite?

Abbiamo bevuto? Lo abbiamo invitato a casa? Lo abbiamo provocato? Abbiamo forse causato quel raptus in qualche modo? Forse era solo folle d’amore. Lo abbiamo tradito o volevamo lasciarlo?

Ci insegnano ad affidarci alle forze dell’ordine, poi però quando sono i carabinieri a violentare, in tribunale le vittime si sentono chiedere se provano una segreta attrazione per gli uomini in divisa, e se indossavano le mutande.

Non ci servono a niente strade piene di lampioni, telecamere e divise, perché la causa di tutta questa violenza non è nel buio dei marciapiedi e nella carenza di forze dell’ordine, è nel sistema patriarcale che ci definisce come proprietà di altri, lavoro domestico e corpi gratis a disposizione degli uomini.

Non vogliamo che della nostra sicurezza si prenda cura lo stato, con il suo apparato di forze dell’ordine, galere e confini.

Vogliamo essere libere e questa libertà ce la dobbiamo prendere noi, nessun altro ce la può dare. Creiamo reti solidali e distruggiamo la cultura dello stupro, distruggiamo il patriarcato.

Attraversiamo con i nostri corpi e le nostre storie tutti gli spazi pubblici e privati, rendiamo sicure le strade invadendole con le nostre voci, accogliamo ogni persona che ci sia sorella in questa oppressione e in questa lotta, e tutte insieme vomitiamo sulle norme eteropatriarcali.

Per questa libertà l’8 marzo saremo in piazza!

LABORATORIO AUTOGESTITO L.A. MICCIA
NON UNA DI MENO ASTI

CULTURE DEL DISSENSO 13-15 MARZO

Causa APOCALISSE ZOMBIE delirio coronavirus, abbiamo dovuto spostare gli appuntamenti della seconda parte di rassegna “Culture del dissenso”.
Ecco le nuove date:
VENERDI’ 13 MARZO
H 21:00
proiezione del docu-film “I figli dello stupore. La beat generation in Italia” di Francesco Tabarelli (2018).
DOMENICA 15 MARZO
H 16:00
Presentazione del libro di poesie: “Non costerò un centesimo”, Autoproduzioni Fenix (2019).
Incontro con l’autore GIANNI MILANO
Classe 1938 e originario di Mombercelli, Gianni è poeta, anarchico e pedagogista. Fautore di un insegnamento libertario, sarà per questo sospeso 5 anni dall’insegnamento elementare. Protagonista assoluto del movimento underground e beatnik italiano, incontrerà Allen Ginsberg e il Living Theatre, rimanendo in contatto con Fernanda Pivano. Autore di numerosi libri, affidati a piccole case editrici e autoproduzioni, è militante no tav e antimilitarista.

CULTURE DEL DISSENSO 21-22 FEBBRAIO

CULTURE DEL DISSENSO.
Indiani metropolitani, beatnik e punk.
Esperienze di lotta e di creatività non conforme dal lungo ’68.

VEN 21 FEBBRAIO – H 21

Il primo appuntamento di questa rassegna, che ci occuperà per tutta la seconda metà di febbraio, è la proiezione del film “Lavorare con lentezza”

Lavorare con lentezza è un film del 2004 diretto da Guido Chiesa e da lui stesso sceneggiato assieme al collettivo Wu Ming. Tra gli interpreti gli attori Claudia Pandolfi e Valerio Mastandrea.

Il film è ambientato nella Bologna degli anni settanta: durante gli anni dell’austerity, dell’inflazione al 21%, del terrorismo, delle stragi. Per altri, anni di gran divertimento. Le vicende di due ragazzi di periferia si mescolano a quelle dei movimenti studenteschi sulle onde di Radio Alice.

SAB 22 FEBBRAIO – ORE 18

Il secondo appuntamento di questa rassegna è la presentazione del libro “Ma chi l’ha detto che non c’è. 1977 l’anno del big bang”, edito da Agenzia X (2017).

Incontro con l’autore Gianfranco Manfredi e l’editore Marco Philopat.

Poliedrico e caleidoscopico come un albero dai cento fiori diversi, Gianfranco Manfredi ha scritto un libro sulla storia del big bang di quaranta anni fa. “Ma chi ha detto che non c’è” è uno zibaldone di riflessioni concetti che esplora le bellezze e angoli più oscuri di un anno converso, in un confronto serrato con vicende avvenute. Sono affreschi letterari che traggono ispirazione dalla sua famosa canzone, scritti in una prospettiva storica senza mai limitare lo guardo ai cliché o alle ideologie, senza perdere l’ironia e la tenerezza che caratterizzano l’intera opera di Manfredi. Sono percorsi inediti alla ricerca di ciò che si presume non ci sia, ma che in realtà sta nel fondo dei tuoi occhi, sulla punta delle labbra… Ma anche dentro la nube tossica di Seveso o nel funerale di Mao, nell’esplosione del punk o nella testa del reverendo Jim Jones, nelle contraddizioni tra la guerriglia urbana, l’ala creativa del movimento e la galassia della musica alt(r)a. Sta nella provocazione, nel lavoro della talpa, nel femminismo e in Porci con le ali, nella nascita dell’impero del porno e nella febbre del sabato sera. Sta nella battaglia antinucleare e nel blackout di New York, nelle radio libere, in Sandokan, in Ken Parker di Berardi-Milazzo e nel Pentothal di Andrea Pazienza. Sta in tanti di questi odori, forme e colori diversi riuniti in una radice comune da una stesura autoriale.

Culture del dissenso

Indiani metropolitani, beatnik e punk.
Esperienze di lotta e di creatività non conforme dal lungo ’68.

Una rassegna sulle culture e contro-culture che hanno popolato i movimenti a partire dal ’68 e attraverso tutti gli anni ’70, pensata a partire da una riflessione interna al nostro collettivo: molti di noi non hanno vissuto quegli anni e ci siamo res* conto di sapere davvero poco al di là dei fatti di cronaca e dei movimenti politici più in vista.

Venerdì 21/02/2020
h 21:00
proiezione del film “Lavorare con lentezza” di Guido Chiesa (2004).

Sabato 22/02/2020
h 17:00
presentazione del libro “Ma chi l’ha detto che non c’è. 1977 l’anno del big bang”, Agenzia X (2017). Incontro con l’autore Gianfranco Manfredi e l’editore Marco Philopat.

Venerdì 28/02/2020
h 21:00
proiezione del film “I figli dello stupore. La beat generation italiana” di Francesco Tabarelli (2018).

Domenica 01/03/2020
h 16:00
presentazione del libro di poesie “Non costerò un centesimo”, Autoproduzioni Fenix (2019). Incontro con l’autore Gianni Milano.