LETTURE #4 – ALICE DIACONO – Cose che se non ho imparato a fare…

Meditazione quasi zen per momenti hardcore – parte 2: “Cose che se non ho imparato a fare entro i ventotto anni non imparerò a fare mai più”, poesia letta dall’autrice Alice Radice Diacono. Dal volume “Veniamo dal basso come un pugno sotto il mento”, Battaglia Edizioni, Imola 2019.

Qui il testo direttamente sul blog dell’autrice! https://iltempodiunbidet.wordpress.com/2015/09/09/cose-che-se-non-ho-imparato-a-fare-entro-i-28-anni-non-imparero-a-fare-mai-piu/comment-page-1/

Frittazza di luppolo + contorno

Oggi sveliamo un altro arcano segreto dell’ormai passata era geologica nota come Apericene.

La frittazza di luppolo, ovvero la frittata fatta con la farina di ceci, che non mi piace chiamare farifrittata perchè sa di cosa farinosa e polverosa e non è così.

Partiamo dal luppolo, ormai noto ingrediente primaverile della cucina micciana. A differenza di molte altre erbe spontanee, le cime di luppolo sono più gustose, croccanti e fragranti quando sono più grosse. Di quanto ho raccolto ho quindi tritato le parti più piccole, mentre le cime lunghe le ho tenute per guarnire la frittazza.

FRITTAZZA:

Per una buona frittazza bisogna rispettare la proporzione tra farina di ceci e acqua, che è di 1:3 IN PESO, esattamente come per la farinata.

– 80 g di farina di ceci
– 240 g di acqua
– un pizzico di sale
– un giro d’olio

L’impasto è liquido e mescolandolo con la frusta eliminate la maggior parte dei grumi, se ne resta qualcuno non è una tragedia si dissolvono in cottura. Per un risultato super si può far riposare qualche ora o una notte, ma anche fatto sul momento dà il suo porco risultato. Aggiungiamo poi la parte di luppolo tritata.

Versiamo l’impasto in una padella con olio caldo. Di olio ce ne va abbastanza, non deve friggere ma comunque la farina di ceci ha bisogno di grassi. Il fornello è medio e il fuoco è al minimo.

Dopo aver accomodato uniformemente la frittazza aggiungiamo i luppoli grandi e gustosi sopra, si cuoceranno senza problemi. Copriamo col coperchio e lasciamo cuocere circa 10 minuti.

Quando la frittazza si stacca agevolmente dalla padella scuotendola e la superficie è ben rappresa, si può girare con l’aiuto di un piatto. La seconda parte di cottura si fa senza coperchio, scuotendo ogni tanto la frittazza e quando fa un bel rumore sabbioso e sfrigolante di croccante è pronta per essere rigirata direttamente in un piatto.

Mannaggiando al vapore che non permette di godere in foto della superba croccantezza dei luppoli, possiamo fare un contorno di spinaci freschi e ortiche, nella stessa padella perchè non è il caso di lavare poi troppi piatti. Soffriggere uno spicchio d’aglio, dei peperoncini, e poi mettere gli spinaci freschi o sbollentati in padella insieme ad un po’ di cimette di ortica.

Salare, coprire e far appassire a fuoco basso, volendo si può sfumare con un po’ di vino per un gusto più robusto, o se no il vino potete bervelo tutto voi. Sempre a piacere, si può aggiungere già nel soffritto qualche oliva e cappero o pomodori secchi, o tutto quanto insieme, o qualunque altra cosa vi passi per la testa. Tranne i gatti e i cocci di vetro, che anche no.

Quando si è tutto appassito girate un po’, e finite la cottura senza coperchio per non far rammollire tutto, la verdura è buona quando ha un po’ di consistenza!

 

Perché una battaglia non può sacrificarne un’altra

24 marzo 2020: “Padova, in quarantena col marito violento, massacrata a colpi di martello: è grave”.

Questa è solo l’ultima notizia di femminicidio di cui veniamo a conoscenza. La colpa? Il patriarcato: il virus più letale per quanto riguarda l’autodeterminazione delle donne. Queste settimane di isolamento e auto-quarantena da covid-19 non risparmiano la libertà delle donne vittime di violenza, costrette a rimanere chiuse in casa con i propri carnefici. In Italia, ogni 72 ore viene uccisa una donna. Negli ultimi anni i dati mostrano una diminuzione degli omicidi, mentre i femminicidi sono in aumento; i carnefici sono, per la maggior parte, mariti, partner o ex partner. Queste donne vengono uccise perché non si piegano, perché sono e vogliono rimanere libere.

Quest’anno l’8 marzo molt* di noi lo hanno festeggiato in casa. La lotta transfemminista che da qualche anno a questa parte riempie le strade e le città con i suoi colori e le sue voci, quest’anno ha dovuto fare i conti con i decreti che ci costringono nelle nostre case. La volontà iniziale di non farsi fermare in un giorno così importante è andata velocemente ad affievolirsi nel panico generale che ci ha obbligat* a isolarci per evitare il contagio nostro e dei nostri cari. Ma il famoso hashtag #restateacasa che gli abitanti dei social network e le celebrità si prodigano di diffondere il più possibile, non tiene conto di tutte quelle individualità che in casa trovano il proprio terreno di scontro: è proprio all’interno delle mura domestiche che avvengono la maggior parte delle violenze di genere e dei femminicidi. In queste settimane di emergenza non bisogna dimenticare che tante donne (sempre di più) sono costrette a vivere 24 ore al giorno al fianco dei propri potenziali assassini. L’isolamento è una delle caratteristiche più comuni delle relazioni abusanti, ed è già dimostrato come la violenza domestica aumenti durante i periodi di vacanza dal lavoro. Per tante donne andare a lavoro o poter semplicemente uscire di casa significa poter sfuggire anche solo per poco alle dinamiche di violenza domestica e di dominio nelle quali vivono tutti i giorni, e al momento questo non è possibile. L’imposizione dell’isolamento non fa che amplificare il rischio a cui queste persone sono esposte. Restare a casa e condividere costantemente lo spazio con i propri aggressori per molte donne non è l’opzione più sicura, e crea anzi le circostanze in cui la propria incolumità viene ulteriormente compromessa.

Senza possibilità di uscire, per tutte queste donne chiedere aiuto diventa sempre più difficile. Inoltre, in questa situazione emergenziale, le donne si vedono caricate di un ulteriore peso. La chiusura delle scuole e dei centri diurni per gli anziani o per le persone non autosufficienti sta aumentando infatti gli oneri di lavoro domestico e di cura non retribuito, che continua a ricadere principalmente sulle donne. I settori di lavoro con la più alta esposizione al virus poi sono principalmente femminili: le donne rappresentano il 70 per cento del personale nel settore sanitario e sociale a livello globale. All’interno di questo settore esiste un ulteriore divario retributivo medio di genere del 28 per cento.

 Se le forze di polizia affermano con fierezza che i furti nelle città sono in diminuzione in queste settimane, i numeri di violenze domestiche aumentano di giorno in giorno; li chiamano “litigi familiari”, ma a perdere sono ancora una volta le donne. In Italia, da quando è iniziata l’emergenza coronavirus c’è stato anche «un calo» nelle denunce per maltrattamenti. In Cina questi effetti “secondari” della pandemia a seguito dei blocchi imposti si sono già verificati: dal 6 marzo, secondo un’organizzazione non governativa cinese che lavora con le donne, il numero totale di casi di violenza domestica nella prefettura di Jingzhou, nella provincia di Hubei, è salito a oltre 300. E a febbraio il numero di casi è raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Secondo uno degli attivisti che ha fondato l’ong, «l’epidemia ha avuto un impatto enorme sulla violenza domestica».

In Ohio e Texas le cliniche che praticano aborti dovranno sospendere gli aborti chirurgici “non essenziali”, al fine di tenere disponibili le forniture mediche per far fronte all’epidemia. La misura ha spinto i gruppi anti-aborto a chiedere che il divieto venga esteso a livello nazionale.

Anche in questo caso le conseguenze sulle donne dell’emergenza coronavirus non sono dunque confinate in una determinata parte del mondo ma tendono a investire tutto il globo, mostrando in tutta evidenza quanto il patriarcato sia radicato all’interno del tessuto sociale e quanto una situazione emergenziale possa rendere tale dominio opprimente.

In questo periodo emergenziale non dobbiamo smettere di lottare affinché le storie di queste donne non vengano oscurate dalla battaglia contro il covid-19: la lotta non va in quarantena.

Fonti:

https://www.bergamonews.it/2020/03/22/se-restare-a-casa-e-un-incubo-lallarme-dei-centri-antiviolenza-sulle-donne/361321/

https://www.ilpost.it/2020/03/17/il-coronavirus-e-la-violenza-domestica/

https://ilmanifesto.it/in-ohio-e-texas-aborto-vietato-non-essenziale/

Salame al Cioccolato e Olio Extravergine d’Oliva

Ingredienti:

-Cioccolato fondente (400 gr)
-Olio extravergine d’oliva (125 ml)
-Acqua (75 ml)
-Zucchero (100 ml)
-Biscotti veg (q.b)

Sciogliere a bagnomaria il cioccolato. A parte, mescolare l’olio con l’acqua e lo zucchero. Una volta sciolto il cioccolato, unire la miscela liquida al cioccolato. Il composto risulterà piuttosto liquido.

Sbriciolare grossolaneamente i biscotti. La quantità varia in base alla marca dei biscotti. Dovrebbe risultare circa un piatto.

Far raffreddare il composto al cioccolato mezz’oretta in frigo per far rapprendere un poco. Aggiungerci quindi i biscotti.

Stendere il composto su carta da forno. L’aspetto non sarà proprio appetibile 🙂

Con l’ausilio di un cucchiaio dare al composto la forma di un filoncino.

Avvolgere stretto nella carta da forno. Riporre in frigo per circa 60 minuti.

Scartare la carta da forno. Cospargere bene di zucchero a velo e riporre in frigo per almeno altri 60 minuti.

Tirare fuori dal frigo almeno 30-60 minuti prima di servire, altrimenti il cioccolato risultera’ troppo duro e le fette si sgretolano.

MANGIARE!!!

UN MONDO DIVERSO

Nel settembre del 2019 15 esperti del Global Preparedness Monitoring Board (GPMB), nominati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), stilarono un documento intitolato “Un mondo a rischio” (https://apps.who.int/gpmb/assets/annual_report/GPMB_annualreport_2019.pdf ). In apertura di tale report si legge: “se è vero che «il passato è un prologo» per il futuro, allora esiste una reale minaccia di pandemia in rapido movimento e altamente letale da un patogeno respiratorio che ucciderà tra i 50 e gli 80 milioni di persone e cancellerà circa il 5% dell’economia mondiale. Una pandemia globale su tale scala sarebbe catastrofica, creando un caos diffuso. Il mondo non è preparato”.

La pandemia esplosa in queste settimane era già stata largamente annunciata ed era chiaro come le strutture esistenti non sarebbero state in grado di sopportarne il peso. Che cosa hanno fatto, a fronte di questo, i governi? Assolutamente nulla.

Che cosa stanno facendo ora? Con un grave ritardo e senza alcun serio coordinamento a livello quanto meno europeo, si sono prese iniziative le cui conseguenze (tanto a livello sanitario che a livello sociale) saranno da valutare nel medio e lungo periodo.

Il consiglio dei ministri italiano ha messo in atto ordinanze amministrative e decreti legge pesantemente restrittivi per la libertà dei singoli, senza alcun passaggio alle camere, senza alcun dibattito parlamentare, in nome della necessità di operare con urgenza.

Questi fatti ci rendono palesi almeno due dati fondamentali. In primo luogo l’inefficienza dei governi, i quali lungi dal tutelare in modo lungimirante i propri cittadini, hanno criminalmente fatto prevalere logiche del tutto estranee a quelle del benessere delle popolazioni. Questi organismi, quasi universalmente riconosciuti come necessari per la soddisfazione anche dei bisogni sanitari, hanno qui mostrato tutta la loro incapacità di tenere conto delle necessità reali e della salute delle persone.

In secondo luogo, le decisioni prese a livello istituzionale, ci mostrano ancora una volta come negli stati democratici (così come in ogni altra istituzione governativa) la sovranità non stia nelle mani del popolo che vota, bensì in quelle di chi è in grado di decidere sullo stato di eccezione. Sovrano non è necessariamente chi è stato eletto ma chi – in un dato momento – può stabilire quale sia una situazione di necessità e che cosa si debba fare in tale frangente. Sovrano è oggi chi può, in nome della sicurezza (dalle malattie, dal terrorismo…) sospendere la legge e i diritti civili, controllando e mobilitando le forze armate. Tali sospensioni della legge, oggi accettate in nome della salute pubblica, rischiano in futuro di divenire pericolosi precedenti per la privazione dei più elementari diritti individuali. Non si tratta qui di oscuri complottismi ma della comprensione dello scollamento esistente tra finalità dichiarate e conseguenze ottenute. Di come cioè un dispositivo messo in atto per un obbiettivo chiaramente identificabile (il contenimento del contagio), possa realizzare una serie di pratiche di controllo e di restrizione della libertà individuale. Tali pratiche coercitive diventano un bagaglio a cui attingere, un’attrezzatura spendibile in altri contesti che potranno di volta in volta essere definiti come emergenziali.

Di fronte a tutto questo si rende, ora più che mai, urgente la progettazione di una società che faccia a meno delle istituzioni statali, a conti fatti inutili nella difesa della nostra salute e pericolose rispetto all’esercizio delle nostre libertà. Tale progettazione utopica deve fungere da orizzonte di riferimento per una lotta concreta e quotidiana, che non si accontenti di piccole conquiste ma che realizzi una partecipazione diretta, collettiva e orizzontale alle decisioni che ci riguardano. Che sappia mettere in atto forme di organizzazione sociale non autoritarie e non infantilizzanti, dove sia stimolata la volontà di autonomia e di ragionamento individuali. Forme di autogestione, decentralizzate e federate, dove ognuno sia trattato da persona responsabile e artefice della propria esistenza, senza il bisogno di invocare le “soluzioni finali” di salvatori o di messia presunti onnipotenti.

Un mondo diverso, oggi più che mai, non è solo possibile ma necessario.

LETTURE #2 – ALICE DIACONO – IL PAKISTANO

Meditazione quasi zen per momenti hardcore: “Il pakistano”, poesia letta dall’autrice Alice Diacono. Dal volume “Veniamo dal basso come un pugno sotto il mento”, Battaglia Edizioni, Imola 2019.

 

Qui il testo dal blog dell’autrice, blog che consigliamo vivamente di seguire! IL PAKISTANO

 

NON FARE IL POLIZIOTTO!

Appello ai cittadini per evitare il CONTAGIO

Se vedete un venditore ambulante per strada, non chiamate il numero indicato dal governo per segnalarlo. Andate a comprargli qualcosa. Se notate che gli manca una maschera, non rimproveratelo, vedete se potete procurargliene una.

Non fare il poliziotto.

Se sentite che il vostro vicino ha dei sintomi, non guardate fuori dalla finestra per vedere se lo beccate che esce a fare la spesa. Chiedetegli se ha bisogno di qualcosa.

Non fare il poliziotto.

Se vedete gente per strada che cammina nel vostro quartiere, cercate di non sospettare il peggio, non chiamate il 112. Forse dovevano andare a lavorare. Non tutti hanno il privilegio di chiudersi in casa con il frigorifero pieno.

Non fare il poliziotto.

Se dovete uscire a fare la spesa, non guardate male chi avete intorno per paura di infettarvi. Salutate. Fate conversazione. Non è il vostro nemico.

Non fare il poliziotto.

Se incontri qualcuno che vive per strada, non attraversare l’altro lato della strada per paura. Se potete, uscite di casa con del cibo, una maschera in più, un po’ d’acqua in una tanica.

Non fare il poliziotto.

EVITIAMO LA DIFFUSIONE DEL POLIZIAVIRUS. È un virus che non andrà più via.

(Volantino ricevuto da compas spagnole e tradotto)

ERBE SELVATICHE – RISOTTO

Spuntano le prime spontanee commestibili! Queste quattro sono facili da riconoscere e crescono ovunque, persino in città.

LUPPOLO – anche detto LAVERTIN in Piemonte – proprio la nobile pianta della birra, parente prossima della canapa. Vive fino ad 80 anni e cresce che è una meraviglia negli incolti, al bordo delle strade, nei cortili e sui ruderi. In inverno la parte aerea secca, ma alle prime avvisaglie di primavera spuntano i teneri germogli, che si allungano in cerca di un supporto a cui avvilupparsi. Si possono mangiare sbollentati e conditi, spadellati con olio aglio e peperoncino, in frittate, zuppe, risotti e ripieni di torte salate o pasta.

ORTICA – rustica e pungente, le piante più vecchie e robuste non perdono vitalità neanche in inverno, le altre ributtano appena arrivano le prime giornate di sole. Ama i terreni acidi, è depurativa e piena di ferro, oltre che di astio, motivo per cui la amiamo senza riserve. Si coglie la cimetta tenera.

ROVO – Si, proprio quello delle more. I germogli teneri sono commestibili, sia crudi sia cotti. Vanno bene anche in insalata, ma bisogna apprezzarne il gusto particolare.

TARASSACO – o DENTE DI LEONE o PISACAN – le foglie si mangiano crude in insalata, o come verdura. Si possono anche cogliere i boccioli quando sono ancora chiusi e raso terra tra la rosetta di foglie e metterli sotto sale come i capperi.

Fate di tutto un bel cestino. Le erbe andranno poi sciacquate e asciugate.

Dopo averle ben asciugate, tritate grossolanamente col coltello tutto insieme.

Per fare il risotto come al solito: soffritto come vi piace (a noi piace cipolla, carota, zenzero e peperoncino, forse qui ci avevamo messo anche qualche fungo), riso da tostare nel soffritto e sfumare col vino (ma anche con la birra viene particolare).

E poi via con le erbe!

La cottura prosegue con brodo di verdura caldo, mescolando gentilmente. Siccome noi siamo un po’ casinari e cuciniamo a braccio, ci piace anche aggiungere degli avanzi della cena (fagioli e cavolo in questo caso), ma attenzione, per la buona riuscita della ricetta si può fare SOLAMENTE se sono conservati in un piatto che raffigura un Napoleone ridicolo.

Rispettate i tempi di cottura del riso e coccolate un po’ i gatti o gli umani o i cani o voi stessu durante l’operazione.

Spegnere quando il riso è ancora al dente e mantecare. Se non volete mantecare con la margarina perchè “i vegani gne gne gne” sappiate che la Ciccipolla SA DOVE TROVARVI.

LETTURE #1 – GIANNI MILANO – LA MICCIA

Come prima lettura proponiamo una poesia di Gianni Milano, in attesa che riesca finalmente a raggiungerci per presentare il suo libro! Potete immaginare la nostra sorpresa e delizia nello scorrere questi versi.

La Miccia – Gianni Milano

La miccia
prende fuoco
dalla muffa d’una cantina
dall’umido
dal buio
dal topo disturbato
dall’emarginazione
prende fuoco
nella mega-cantina
madre di tutti i ricettacoli
nascosti
madre delle grandi attese
abortite
madre degli sguardi
che non guardano più
prende fuoco
senza rumore
ma divora tempo
e determinata la miccia arriverà
a deflagrare
farà piovere sulla gente attonita
sorda ed automatica
carte e carte e carte
e bolli e bolli e bolli
sul nulla
della piccola vita
sulla polvere che l’oblio accumula
e l’esplosione smantella.

Un verso, a volte, è definitivo.

2016

da “non costerò un centesimo”, autoproduzioni fenix, 2019