CONSIDERAZIONE SUL LAVORO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

Eh si sembra proprio che gli operai siano immuni al Coronavirus, sono immuni proprio durante le 8 ore di lavoro. Finito il turno, devono ASSOLUTAMENTE fare rientro nelle proprie abitazioni e assicurarsi di uscire solo per la spesa. Non importa se la tua fabbrica non produce beni di prima necessità, non importa se si è in 50, 100, 200 sotto lo stesso capannone, non importa se non ci sono mascherine per tutti: quello che importa è produrre. Negli anni si è parlato spesso di sicurezza sul lavoro, della tutela dei lavoratori, bene oggi davanti a questa enorme sfida, gli ultimi ad essere tutelati sono proprio i lavoratori che pagano il prezzo più alto rischiando la propria salute in nome del profitto di pochi.

Solidarietà con gli scioperi spontanei nelle fabbriche!

!!!RIMANDATA!!! PRESIDIO + CHIACCHIERATA TRANSFEMMINISTA IV

!!ATTENZIONE!!
L’evento dell’8 marzo è rimandato a causa dell’ordinanza ministeriale per l’emergenza Coronavirus.
Non vogliamo che questo evento si trasformi in una scusa per azioni repressive, né che restino escluse compagne per motivi di cautela sanitaria.
Ci sentiamo tuttavia di far notare la macroscopica contraddizione di queste misure, che aboliscono e vietano il contatto umano e l’aggregazione culturale, di svago, sportiva e tuttavia tengono bene aperti luoghi di lavoro produttivo e i luoghi di consumo. Siamo al punto in cui per tutelare la salute pubblica chi chiedono di rinunciare al poco tempo libero e alle nostre lotte, e siamo tutt* dispost* a fare questo sacrificio. Però poi per tutelare il PIL ci mandano ad ammalarci nelle fabbriche, negli uffici e nei cantieri, e non abbiamo scelta, perchè senza soldi non si tira avanti e sono di nuovo i più vulnerabili a patire per primi e più duramente le conseguenze della mancanza di lavoro. E diciamoci la verità, in fondo siamo ormai abituat* al fatto che di lavoro si muore, e siamo tutt* un po’ dispost* a morire per lavorare.

 

Ci sentiamo inoltre di ribadire che nonostante il clima di emergenza, è di estrema urgenza continuare a combattere il patriarcato, in ogni città, in forma individuale se non collettiva. L’otto marzo è un giorno simbolico e la nostra lotta non si limita certo a questa giornata, ma è un giorno che non ci faremo togliere.


Portiamo in piazza la nostra chiacchierata transfemminista per ribadire che la sicurezza non ce la danno telecamere, ordinanze e tribunali, ma un’azione collettiva e solidale tra tutte le vittime del sistema patriarcale: donne, persone trans, individualità queer e lgbtqia+

PORTATI UNA SEDIA E UNISCITI A NOI!

SCARICA VOLANTINO

LA NOSTRA SICUREZZA NON È FATTA DI TELECAMERE

Per la nostra sicurezza non servono telecamere, divise e tribunali. Per la nostra sicurezza dobbiamo distruggere la cultura dello stupro e il patriarcato.

Di cosa stiamo parlando?

Noi donne, noi persone trans e LGBTQI+ sappiamo bene cos’è il patriarcato: fischi, scherni, insulti, palpate. Le aggressioni, le botte, gli stupri. La morte, per femminicidio e per suicidio in seguito a revenge porn o violenze, come è capitato nella nostra città alla giovane ragazza trans che si è tolta la vita nel 2017 in seguito ad una violenza sessuale in un parco cittadino.
Le telecamere c’erano, ma non è cambiato nulla.

Il patriarcato è quello che ci ha insegnato a rassegnarci e sentirci vittime impotenti, a mimetizzarci e nasconderci, a non frequentare la città buia, a non bere troppo. Andiamo in bagno in branco e camminiamo veloci fingendo di telefonare.

Impariamo a rispondere “sono fidanzata” ad una avance insistente invece di rispondere “vattene affanculo”, come se ciò che ci legittima a rifiutare quella proposta fosse solo che siamo già di un altro. Impariamo a cercare protezione in famiglia, ma troppo spesso scopriamo che è proprio il partner che ci mena e ci violenta, ci manipola, ci priva della nostra indipendenza e se proviamo a lasciarlo è anche peggio. Non è difficile ritrovarsi in una quotidianità fatta di abuso in cui è normale essere picchiate, minacciate e chiuse a chiave in casa, fino a doversi calare dal balcone per andare a lavoro spaccandosi i talloni, come è successo proprio qui ad una donna che ha subito per anni violenze da parte del partner.

Ad Asti solo nel 2019 ci sono stati 162 accessi di donne al pronto soccorso per violenza domestica. I numeri sono in crescita ma sappiamo che è solo la punta dell’iceberg, perché prima di arrivare al pronto soccorso sono decine e decine gli episodi che vengono nascosti.

Il patriarcato è quando denunciamo, quando ci facciamo refertare in pronto soccorso, e impariamo poi che non esiste misura cautelare in grado di proteggerci, e in tribunale dobbiamo andare per difenderci, non per testimoniare le violenze subite.
Si siamo sopravvissute, ma come eravamo vestite?

Abbiamo bevuto? Lo abbiamo invitato a casa? Lo abbiamo provocato? Abbiamo forse causato quel raptus in qualche modo? Forse era solo folle d’amore. Lo abbiamo tradito o volevamo lasciarlo?

Ci insegnano ad affidarci alle forze dell’ordine, poi però quando sono i carabinieri a violentare, in tribunale le vittime si sentono chiedere se provano una segreta attrazione per gli uomini in divisa, e se indossavano le mutande.

Non ci servono a niente strade piene di lampioni, telecamere e divise, perché la causa di tutta questa violenza non è nel buio dei marciapiedi e nella carenza di forze dell’ordine, è nel sistema patriarcale che ci definisce come proprietà di altri, lavoro domestico e corpi gratis a disposizione degli uomini.

Non vogliamo che della nostra sicurezza si prenda cura lo stato, con il suo apparato di forze dell’ordine, galere e confini.

Vogliamo essere libere e questa libertà ce la dobbiamo prendere noi, nessun altro ce la può dare. Creiamo reti solidali e distruggiamo la cultura dello stupro, distruggiamo il patriarcato.

Attraversiamo con i nostri corpi e le nostre storie tutti gli spazi pubblici e privati, rendiamo sicure le strade invadendole con le nostre voci, accogliamo ogni persona che ci sia sorella in questa oppressione e in questa lotta, e tutte insieme vomitiamo sulle norme eteropatriarcali.

Per questa libertà l’8 marzo saremo in piazza!

LABORATORIO AUTOGESTITO L.A. MICCIA
NON UNA DI MENO ASTI

CULTURE DEL DISSENSO 13-15 MARZO

Causa APOCALISSE ZOMBIE delirio coronavirus, abbiamo dovuto spostare gli appuntamenti della seconda parte di rassegna “Culture del dissenso”.
Ecco le nuove date:
VENERDI’ 13 MARZO
H 21:00
proiezione del docu-film “I figli dello stupore. La beat generation in Italia” di Francesco Tabarelli (2018).
DOMENICA 15 MARZO
H 16:00
Presentazione del libro di poesie: “Non costerò un centesimo”, Autoproduzioni Fenix (2019).
Incontro con l’autore GIANNI MILANO
Classe 1938 e originario di Mombercelli, Gianni è poeta, anarchico e pedagogista. Fautore di un insegnamento libertario, sarà per questo sospeso 5 anni dall’insegnamento elementare. Protagonista assoluto del movimento underground e beatnik italiano, incontrerà Allen Ginsberg e il Living Theatre, rimanendo in contatto con Fernanda Pivano. Autore di numerosi libri, affidati a piccole case editrici e autoproduzioni, è militante no tav e antimilitarista.

CULTURE DEL DISSENSO 21-22 FEBBRAIO

CULTURE DEL DISSENSO.
Indiani metropolitani, beatnik e punk.
Esperienze di lotta e di creatività non conforme dal lungo ’68.

VEN 21 FEBBRAIO – H 21

Il primo appuntamento di questa rassegna, che ci occuperà per tutta la seconda metà di febbraio, è la proiezione del film “Lavorare con lentezza”

Lavorare con lentezza è un film del 2004 diretto da Guido Chiesa e da lui stesso sceneggiato assieme al collettivo Wu Ming. Tra gli interpreti gli attori Claudia Pandolfi e Valerio Mastandrea.

Il film è ambientato nella Bologna degli anni settanta: durante gli anni dell’austerity, dell’inflazione al 21%, del terrorismo, delle stragi. Per altri, anni di gran divertimento. Le vicende di due ragazzi di periferia si mescolano a quelle dei movimenti studenteschi sulle onde di Radio Alice.

SAB 22 FEBBRAIO – ORE 18

Il secondo appuntamento di questa rassegna è la presentazione del libro “Ma chi l’ha detto che non c’è. 1977 l’anno del big bang”, edito da Agenzia X (2017).

Incontro con l’autore Gianfranco Manfredi e l’editore Marco Philopat.

Poliedrico e caleidoscopico come un albero dai cento fiori diversi, Gianfranco Manfredi ha scritto un libro sulla storia del big bang di quaranta anni fa. “Ma chi ha detto che non c’è” è uno zibaldone di riflessioni concetti che esplora le bellezze e angoli più oscuri di un anno converso, in un confronto serrato con vicende avvenute. Sono affreschi letterari che traggono ispirazione dalla sua famosa canzone, scritti in una prospettiva storica senza mai limitare lo guardo ai cliché o alle ideologie, senza perdere l’ironia e la tenerezza che caratterizzano l’intera opera di Manfredi. Sono percorsi inediti alla ricerca di ciò che si presume non ci sia, ma che in realtà sta nel fondo dei tuoi occhi, sulla punta delle labbra… Ma anche dentro la nube tossica di Seveso o nel funerale di Mao, nell’esplosione del punk o nella testa del reverendo Jim Jones, nelle contraddizioni tra la guerriglia urbana, l’ala creativa del movimento e la galassia della musica alt(r)a. Sta nella provocazione, nel lavoro della talpa, nel femminismo e in Porci con le ali, nella nascita dell’impero del porno e nella febbre del sabato sera. Sta nella battaglia antinucleare e nel blackout di New York, nelle radio libere, in Sandokan, in Ken Parker di Berardi-Milazzo e nel Pentothal di Andrea Pazienza. Sta in tanti di questi odori, forme e colori diversi riuniti in una radice comune da una stesura autoriale.

Culture del dissenso

Indiani metropolitani, beatnik e punk.
Esperienze di lotta e di creatività non conforme dal lungo ’68.

Una rassegna sulle culture e contro-culture che hanno popolato i movimenti a partire dal ’68 e attraverso tutti gli anni ’70, pensata a partire da una riflessione interna al nostro collettivo: molti di noi non hanno vissuto quegli anni e ci siamo res* conto di sapere davvero poco al di là dei fatti di cronaca e dei movimenti politici più in vista.

Venerdì 21/02/2020
h 21:00
proiezione del film “Lavorare con lentezza” di Guido Chiesa (2004).

Sabato 22/02/2020
h 17:00
presentazione del libro “Ma chi l’ha detto che non c’è. 1977 l’anno del big bang”, Agenzia X (2017). Incontro con l’autore Gianfranco Manfredi e l’editore Marco Philopat.

Venerdì 28/02/2020
h 21:00
proiezione del film “I figli dello stupore. La beat generation italiana” di Francesco Tabarelli (2018).

Domenica 01/03/2020
h 16:00
presentazione del libro di poesie “Non costerò un centesimo”, Autoproduzioni Fenix (2019). Incontro con l’autore Gianni Milano.

Mai più CPR – Mai più lager. Presidio

SABATO 8 FEBBRAIO 2020 Via Garibaldi – Asti – Ore 10:30

Presidio informativo contro tutti i CPR

Di seguito il testo del volantino:

SOLIDARIETA’ SENZA CONFINI
Il 18 gennaio Vakhtang è stato ammazzato di botte dalla polizia. Vakhtang era un migrante di 37 anni, originario della Georgia. Era rinchiuso in un CPR di Gradisca perché sprovvisto di documenti.

È stata fatta ogni genere di illazione su questa storia. Perché di CPR non si deve parlare. Perché non si deve raccontare che cosa sono quei luoghi. Perché non si può dire che lì dentro si muore. Almeno non in prossimità del giorno della memoria. Non quando tutti i politici si prodigano in grandi discorsi sul rispetto della vita umana e sulla necessità di non ripetere gli orrori del passato.
I CPR sono i lager della democrazia. I Centri di Permanenza per il Rimpatrio, esattamente come i campi di concentramento nazi-fascisti, sono galere in cui si finisce non per qualcosa che si è fatto, ma per quello che si è.

I detenuti dei CPR sono persone straniere divenute irregolari sul territorio italiano per visti scaduti, per aver perso il lavoro (e con questo il permesso di soggiorno) o per aver ricevuto esito negativo alla richiesta di asilo. Immigrati che senza aver provocato danno a niente e a nessuno vengono rinchiusi fino a 180 giorni.

Istituiti con la Legge Turco-Napolitano del 1998, questi luoghi hanno cambiato spesso nome (CPT, CIE) senza mai cambiare nella sostanza. Sbandierate come efficienti macchine per l’espulsione, nel corso di vent’anni, il loro tasso di rimpatrio si è attestato attorno al 50% dei reclusi. Circa la metà sono deportati al loro Paese, gli altri rilasciati con un “foglio di via”. Questi dati dimostrano con chiarezza come i CPR non servano a contrastare il soggiorno clandestino. La loro funzione è tutt’altra: profitto per le cooperative e aziende che ci lavorano dentro, consenso per i partiti che fanno propaganda elettorale sui migranti. Il loro funzionamento poi contribuisce a mantenere la comunità straniera in una condizione di inferiorità legale, terrore, ricattabilità e sfruttamento. Le aziende si arricchiscono, i politici prendono poltrone e i rinchiusi nei CPR muoiono.

Quella di Vakhtang non è una storia isolata. A luglio un altro ragazzo bengalese di 32 anni è morto nel CPR di Torino per non aver ricevuto cure mediche. Questi fatti sono lo specchio fedele delle condizioni in cui si trovano i detenuti, abbandonati a sé stessi e costretti a subire ogni giorno abusi e violenze di ogni tipo.

Contro questi veri e propri lager della democrazia è necessario prendere posizione. E’ necessario rompere il silenzio. E per farlo bisogna innanzitutto uscire dalla logica razzista che tratta l’immigrazione come un’emergenza. Le persone viaggiano da sempre e in ogni luogo. E tutti devono poterlo fare liberamente. Senza barriere e galere. Senza mettere a repentaglio la propria vita. Questa libertà non può essere un privilegio dei soli cittadini europei.

Chiudiamo le galere dei senza documenti. Per un mondo senza frontiere!

LABORATORIO AUTOGESTITO LA MICCIA

Saluto ad un ribelle senza congedo

Il 28 gennaio è morto Giovanni Gerbi, partigiano di Asti. Classe 1929, nome di battaglia “Reuccio”, Giovanni si unisce alla 79° brigata Garibaldi nel settembre del 1944. Lo fa di slancio, scappando dal collegio e come tanti senza un preciso orientamento politico. Nel dicembre dello stesso anno è coinvolto in alcuni combattimenti nel canellese e viene catturato. Tradotto alle Nuove di Torino è liberato dopo qualche mese. Uscito dal carcere si unisce di nuovo ai partigiani ed entra nel marzo del 1945 nella 99° brigata Garibaldi, con la quale parteciperà alla liberazione di Asti e di Torino.

Nell’estate del 1946, a 17 anni, prende parte all’insurrezione di Santa Libera. Tra il 20 e il 27 agosto un gruppo di partigiani di Asti, amareggiati per l’amnistia Togliatti e per le condizioni di miseria e di povertà che affliggevano l’Italia alla caduta del regime, riprende in mano le armi e si ritira sulle colline, in una frazione di Santo Stefano Belbo (CN). Gli insorti chiedono: la liberazione di tutti i partigiani rinchiusi in carcere; il pagamento immediato dei debiti contratti dalle formazioni partigiane durante la guerra e tutta una serie di misure volte a contrastare le condizioni di estrema povertà in cui versavano numerosi combattenti che, alla fine del conflitto, si erano ritrovati disoccupati e con poco o nulla in mano.

Questa ribellione è la scintilla che fa esplodere il malcontento partigiano e in buona parte dell’Italia settentrionale si hanno agitazioni e proteste simili.

A seguito di una settimana di trattative con il governo alcune delle richieste vengono accolte: impunità, estensione delle pensioni di guerra ai partigiani e riconoscimento dei gradi militari per i combattenti ai fini amministrativi. Gli insorti rientrano ad Asti accolti da una folla festante.

Subito dopo la smobilitazione il gruppo promotore della ribellione costituisce un gruppo clandestino: la volante “808”, dal nome di un potente esplosivo, la quale raccoglie armi e dà la caccia ai fascisti ancora a piede libero. Giovanni ne fa parte.

Nel luglio del 1948 Palmiro Togliatti è vittima di un attentato. Il gruppo degli insorti di due anni prima è intenzionato a riprendere le armi e a tornare a Santa Libera. La polizia interviene e Giovanni, insieme agli altri partigiani, è costretto a darsi alla macchia. Dopo un periodo di latitanza e insieme ad altre 5 persone è condannato a 8 mesi di reclusione.

Il 18 aprile del 1950 viene ancora una volta fermato e denunciato per alcune scritte fatte sotto i portici di Piazza San Secondo: “Celere = brigate nere”, DC = fascismo”, “I giovani non faranno mai la guerra”. Pochi giorni dopo è coinvolto in alcuni tafferugli scoppiati durante una manifestazione contro il divieto delle celebrazioni per il 25 aprile imposto dell’allora ministro degli interni Scelba. Il processo per questi fatti si conclude nel 1952 e Giovanni viene condannato a 1 anno di reclusione.

Operaio della Waya-Assauto, Reuccio negli anni occuperà posti di rilievo all’interno del PCI e della FIOM, fino al 1984 anno in cui viene espulso dal partito. Vicepresidente dell’ANPI dal 2001, sarà esautorato anche da questo nel 2005. In questo periodo, che si dipana dalla fine degli anni ’80 fino ai primi anni 2000, Giovanni matura un tardivo ma radicale ripensamento della propria esperienza politica, portandosi su posizioni apertamente ostili alla politica del PCI e dello stalinismo. Reuccio continua la sua militanza frequentando attivamente occupazioni, centri sociali e gruppi anarchici. In questo periodo si farà portavoce di un antifascismo che non si sente esaurito negli esiti della Costituzione. Un antifascismo rivoluzionario che “oltre a lottare contro i fascisti [voleva] costruire una NUOVA SOCIETA’ di uomini liberi, senza padroni” (G. Gerbi, 2014).

Nel dare l’ultimo saluto a Giovanni, vogliamo ricordare tutti i ribelli senza congedo che combatterono per un cambio di rotta radicale della società.

Alimentiamo la Prima Linea – benefit lotte in Cile

DOMENICA 16 FEBBRAIO DALLE 16:30 Incontro con Urbano Taquias del comitato lavoratori cileni esiliati.

A seguire apericena. Tutto il ricavato sarà destinato a Prima Linea: organizzazione cilena di autodifesa e sostentamento del movimento.

Dal 18 ottobre in tutto il Cile la gente è quotidianamente in piazza: cortei, presidi, sit-in contro il governo e gli abusi della polizia. Da quando è iniziata questa lotta 34 sono stati i manifestanti uccisi durante gli scontri, 2300 gli arrestati, centinaia le donne violentate nelle caserme, migliaia i feriti, di cui 400 le persone che hanno perso uno o due occhi a causa dei lanci ad altezza d’uomo della polizia. Un popolo intero in rivolta per un cambiamento di rotta radicale della società.

CHIACCHIERATA FEMMINISTA VOL III

Femminismi dagli anni ’70 a oggi: contraccezione, aborto, autodeterminazione, autonomia individuale, dominio patriarcale. 50 anni di lotte e conquiste: a che punto siamo oggi, e come si stanno evolvendo le lotte femministe?

Bevande calde, birrette fresche e sgranocchi.

Aperto a tuttu gli esseri umani di ogni genere, orientamento, età, forma e colore. Venite numeros* a portare le vostre esperienze e curiosità, domande e risposte, libri da consigliare, letture, canzoni, anche solo ad ascoltare e passare un pomeriggio piacevole e un po’ diverso!

Ricordiamo che L.A. Miccia è uno spazio libero e antisessista: fasci, machi, bulli, omofobi, transfobici e razzisti non sono benvenut*.

 

L.A. MICCIA COMPIE UN ANNO!!

SABATO 25 GENNAIO 2020

L.A. MICCIA COMPIE UN ANNO!!

Ad un anno esatto dall’apertura ufficiale dello spazio autogestito La Miccia, vogliamo festeggiare col botto!

 

DALLE 19: cena di autofinanziamento (su prenotazione)

DALLE 21: Filomena *Filo* Sottile, punkastorie-anarkekka-scavalcamontagne presenta… “IL DECORO ILLUSTRATO”:

“Tragedia!
Se, come dice Mark Fisher, è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo, se cioè manca la possibilità di pensare un diverso sistema economico e una diversa organizzazione sociale, di che si occupa davvero la politica? Di decoro.

Si occupa di fioriere, aiuole recintate, di panchine antibivacco, di scritte sui muri, di videosorveglianza, di controllo e soprattutto di selezionare chi può stare in città e chi non se lo merita. Sotto la maschera compita e sorridente della buona educazione, del buonsenso, dell’ordine c’è il cipiglio severo di chi si è autonominato “persona per bene” e lo sguardo paranoico di chi, dall’alto del suo privilegio, continua a condurre la lotta di classe contro i poveri.

Filomena “Filo” Sottile questa volta sviscera il libro La buona educazione degli oppressi di Wolf Bukowski e si presenta nei duplici panni della punkastorie e della guida turistica alla città decorosa.”

La CENA è su prenotazione 😉 per info: whatsapp o tel 3202254626
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