DISERTORI DELLE VOSTRE GUERRE – PARTIGIANI SEMPRE!

Grazie a tuttu per la bellissima giornata di ieri. Ci auguriamo che possa essere l’inizio di un percorso di lotta insieme.


Corteo antifascista contro tutte le guerre e contro tutti gli eserciti, solidali con tuttx lx disertorx.

Partenza da Piazza del Cavallo nei pressi della casa del partigiano anarchico e disertore Tartaglino, per arrivare al boschetto dei Partigiani, dove la giornata continuerà con vari dj set, banchetti, distro e Bar.

ASSEMBLEA ANTIFA ASTI


TESTO DEL VOLANTINO DISTRIBUITO
L’Italia è in guerra: 40 missioni militari che vedono impegnate le truppe italiane in Europa, Africa e Medioriente. Ben 18 di queste operazioni sono concentrate in Africa nel triangolo che va dalla Libia al Sahel sino al golfo di Guinea. Sono lì per fare la guerra ai migranti diretti in Europa e per sostenere gli interessi estrattivi dell’ENI. Il conflitto imperialista tra la NATO, che mira a continuare l’espansione ad est e la Russia che – dopo decenni di arretramento – ha deciso di passare al contrattacco, ha dato ancora più forza alla retorica militarista. Truppe italiane sono attualmente schierate in Lettonia e Romania, a ridosso del conflitto ucraino. Dall’inizio dell’invasione russa abbiamo assistito alla messa in scena di un “pacifismo armato”, chiaramente schierato con uno dei due imperialismi che si stanno sfidando sulla pelle di chi vive in Ucraina ed è costretto
ad affrontare morte, bombe, paura e coscrizione obbligatoria. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza. In questo modo è stato possibile inviare armi in Polonia per il governo Zelensky e aumentare la già folle spesa militare del nostro Paese. Essere partigiani oggi significa rifiutare di farsi arruolare in questo scontro, contrastare l’invio di armi al governo ucraino, lottare per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, lottare contro tutte le frontiere, complici con tutte le persone in viaggio sia che scappino da una guerra o che cerchino una vita diversa, contro la spesa bellica e per l’impiego di risorse in quello di cui davvero c’è bisogno: ospedali, scuole, trasporti. Essere partigiani, oggi come allora, significa anzitutto essere disertori. Come fu Giacomo Tartaglino: partigiano anarchico nato a Mongardino nel 1878. Egli fu in gioventù disertore della Prima Guerra mondiale e aiutò centinaia di disertori come lui a trovare rifugio in Svizzera. Tale attività gli costò una condanna a morte in contumacia. Ritornato in Italia dopo amnistia, subì per lunghi anni la repressione fascista e le conseguenze disastrose dell’imperialismo mussoliniano. Nel luglio del ’44, prese le armi e andò in montagna fra i garibaldini, con il nome di battaglia “Nedo”. Nel dopoguerra aderirà alla neonata Federazione Anarchica Italiana (FAI), facendosi promotore del gruppo “Pietro Ferrero”, con sede in via Mazzini 6.
La memoria di partigiani come Tartaglino non sta nelle stantie commemorazioni istituzionali. Non sta a fianco degli esponenti di partiti che fino a ieri leccavano il culo a Putin e oggi piangono per la guerra. Non sta a fianco dei
guerrafondai che si oppongono alla guerra spedendo armi. La Resistenza vive nelle lotte di chi oggi combatte le cause reali della guerra, con chi pratica forme di antimilitarismo attivo: nei porti, contro le fabbriche d’armi, contro le basi militari. Per un mondo senza frontiere. Per una solidarietà senza confini.

Quando diciamo che la guerra parte da “casa nostra” non scherziamo. Questo è un convoglio passato proprio dalla nostra stazione, non sappiamo qual era la sua destinazione, ma sappiamo per certo che sono mezzi che andranno in uno scenario di guerra!
Quest’anno la spesa sanitaria è diminuita di 5 miliardi di euro, le spesa militare e gli investimenti sulle armi non accennano a diminuire, se vogliamo opporci alle guerre dobbiamo ribellarci contro chi ci governa, allo Stato di emergenza bellico, all’aumento della spesa militare, all’invio di armi al governo Ucraino. Lottiamo per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, per la chiusura e riconversione dell’industria bellica, Per fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dalla nostra città.
Lunedi 25 aprile ore 15:30 da piazza del Cavallo scendiamo in strada
Contro tutte le guerre !

Disertori delle vostre guerre

Cos’è veramente utopistico? Lo sforzo di chi cerca di attuare “una pace duratura fra i popoli dopo aver abbattuto le vere cause della guerra”?
Oppure è utopistico illudersi “di arrivare ad un federalismo europeo e mondiale in piena rivalità di interessi capitalistici e di tendenze spiccatamente egemoniche dei diversi Stati”? Questo si domandava il gruppo anarchico astigiano “Pietro Ferrero” nel 1950 (Era Nuova, 15/05/1950).

La nascita dell’Unione Europea come la conosciamo oggi era ancora ben lontana ma chi aveva vissuto gli orrori di due guerre lo sapeva bene che non si può realizzare nessuna pace se continuano a esistere eserciti pronti a combattere, caserme colme di soldati, fabbriche d’armi a pieno regime, confini militarizzati, nazionalismi, interessi capitalistici e Stati. E lo sapeva bene Giacomo Tartaglino, animatore del gruppo libertario astigiano, lui che aveva disertato la Prima Guerra mondiale, rischiando la vita e aiutando centinaia di disertori come lui a trovare rifugio in Svizzera. Lui che per vent’anni aveva subito la repressione fascista e le conseguenze disastrose dell’imperialismo mussoliniano. Lo sapeva bene lui che, nel luglio del ’44, a 65 anni, aveva preso le armi ed era andato in montagna.

Oggi, a distanza di più di 70 anni le cose non sono cambiate. I bagliori della guerra sono tornati a illuminare i cieli d’Europa. L’Ucraina, invasa dalle forze militari russe, piange i suoi morti. Gli stati europei e la NATO minacciano ritorsioni ancor più sanguinose e iniziano una corsa ancora più sfrenata agli armamenti.

L’Europa “civilizzata” ha nuovamente fallito nella sua missione; la diplomazia degli Stati si è rivelata ancor più inefficace. Chi aveva affidato ai governi la speranza in soluzioni pacifiche, chi ancora crede nella buona volontà dei governanti e nell’efficacia della preghiera, è stato crudelmente smentito dai fatti.

Finché esisteranno armi ed eserciti si troveranno assassini in doppio petto o in divisa che proveranno a usarli. Finché esisteranno alleanze militari contrapposte, vi sarà il rischio di possibili escalation atomiche. Finché prevarrà il sistema degli Stati, non cesserà tra di essi la competizione per l’egemonia militare, politica ed economica.
Finché non ci libereremo del nazionalismo e di un’economia basata sullo sfruttamento feroce di risorse e di persone, allora avranno spazio i guerrafondai di ogni risma. Finché non elimineremo le cause strutturali delle guerre, le richieste di pace non saranno altro che ipocrite illusioni.

L’indignazione non basta. Per fermare la guerra bisogna incepparne i meccanismi.
Boicottiamo gli eserciti, i generali e i loro complici. Opponiamoci alle sanzioni che colpiscono solo i più poveri. Chiudiamo le industrie d’armi che sono le uniche che stanno facendo profitti in questo scenario di sangue. Chiudiamo le basi militari presenti sul nostro territorio. Smantelliamo le spese militari. Non un soldo, non un uomo per le loro sporche guerre.
Solidarietà alle popolazioni vittime della guerra e in fuga dai massacri. Solidarietà ai popoli russo e ucraino costretti a uccidersi a vicenda. Contro l’invasione russa e contro il nazionalismo ucraino. Contro Putin e contro la NATO. Sosteniamo i compagni anarchici e pacifisti russi che, scesi in questi giorni in piazza contro la guerra, vengono caricati, malmenati, incarcerati e repressi dalla polizia di Putin.

Scarica in PDF: Volantino Stop Wars

FEMMINISTE ANARCHICHE RIVOLUZIONARIE

Donne anarchiche in Spagna dalla Repubblica alla Rivoluzione, dall’esilio alla resistenza al franchismo.

La storia delle donne che presero in mano il loro destino nel vortice della più grande rivoluzione sociale di tutti i tempi. L’attualità di una lotta che seppe radicarsi tanto nella sfera sociale e politica quanto nella quotidianità del processo di emancipazione femminile. Un percorso per restituire visibilità a queste vere e proprie pioniere che si ribellarono al ruolo subordinato delle donne spagnole, impegnandosi in prima persona nell’abolizione del sistema capitalistico e autoritario, per una società egualitaria sul piano economico, sociale e di genere.

Ne abbiamo parlato con la storica Eulalia Vega, professoressa di Storia contemporanea all’Università di Lleida (Catalogna) e di Trieste.

Organizzato da: Laboratorio anarchico Perla Nera AL, L.A. Miccia AT, FAT Torino, Wild CAT Torino

Violenza contro le donne: media e istituzioni figli sani del patriarcato

Oggi è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Giornali, televisioni e social si riempiono di slogan contro la violenza sulle donne, descritta attraverso la solita narrazione di singoli e inspiegabili raptus di follia, gesti disperati ed estremi di amore e gelosia. Amare troppo qualcuno. Amarlo fino a fargli del male, fino ad ucciderlo ma in fondo amarlo. Giustificazioni che offrono attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. 
Ma le 6 milioni e 788 mila donne che hanno subito almeno una volta violenza (fisica o sessuale) nella propria vita non sono vittime incidentali di una violenza estemporaneaQuesti dati rendono evidente che la violenza sulle donne è strutturale all’interno di questa società patriarcale in cui il dominio dell’uomo sulla donna è la regola e non l’eccezione. 
Questi numeri e le moltissime testimonianze della violenza contro le donne descrivono un vero bollettino di guerra, una guerra contro le donne che consapevolmente o meno decidono di uscire dalla logica patriarcale, che osano mettere fine ad una relazione o vivere liberamente la propria indipendenza e sessualità.
L’oppressione patriarcale non è esercitata solo dai partner, dalle famiglie da singoli individui, ma è agita anche dalle istituzioni.
In quest’anno anomalo in cui moltissime donne sono costrette in casa per lunghi periodi con i propri aguzzini, una delle situazioni in cui si riscontrano più difficoltà è l’accesso libero, sicuro ed anonimo all’interruzione di gravidanza. Pensiamo ad esempio a chi deve, per la propria sicurezza, tenere nascosta tale decisione alla famiglia e alle difficoltà di trovare spazio in strutture ospedaliere per un ricovero. Eppure ci sono esponenti delle istituzioni che trovano ancora il tempo e le energie per dedicarsi ad ostacolare la libertà di scelta e l’accesso all’IVG.
Basti pensare alla circolare emanata il 2 ottobre dalla Regione Piemonte, in cui viene fatto esplicito divieto di somministrare la pillola abortiva RU 486 nei consultori, in opposizione a quanto stabilito in agosto dal ministero della sanità. In questo modo in Piemonte l’aborto farmacologico potrà essere effettuato soltanto nelle strutture ospedaliere e con ricovero fino a tre giorni, decisione che viene giustificata con la tutela della salute delle donne, usando la stessa legge 194 del 1978 come grimaldello per limitare l’accesso all’interruzione di gravidanza.
Non solo. Nella stessa circolare viene permesso alle associazioni antiabortiste cattofasciste pro-vita di fare propaganda negli ospedali istituendo sportelli, con il preciso scopo di convincere le donne a portare a termine la gravidanza.
L’ennesimo attacco alla libertà femminile da parte di chi vorrebbe riproporre una visione essenzialista dei generi, che individua nella maternità un destino da cui le donne non dovrebbero sottrarsi, tornando docili nella gabbia familiare. L’ennesimo tentativo di cancellare i percorsi di liberazione femminile ponendo le donne sotto tutela, soggetti deboli, incapaci di decidere, bisognosi di un sostegno.
Di fronte a tutto questo è necessario riprendere percorsi di lotta, di solidarietà e di azione diretta fra tutti coloro che rifiutano il modello patriarcale. Non abbiamo bisogno di creare nuove leggi che un giorno qualche signore al potere possa rigirare al proprio scopo, come in questo caso: abbiamo urgenza invece di porre le condizioni affinchè nessuno metta mai più a repentaglio la libertà di scelta e la vita delle donne, perché nessuno possa ricattarci, umiliarci, piegarci. Le nostre vite ci appartengono e sta a noi difenderle. Non solo un giorno all’anno con qualche slogan, ma con i nostri corpi, denunciando le sistematiche narrazioni tossiche fatte da giornali e tv, cacciando i cattofascisti dagli ospedali, riprendendoci con la nostra presenza le strade e i consultori, spezzando le gabbie familiari fatte di omertà e di oppressione, dando voce a chi non ne ha, a chi si sente imprigionatx in relazioni soffocanti e senza via d’uscita. Distruggere il patriarcato non è solo necessario, è possibile.
Se queste riflessioni ti interessano, qui ad Asti c’è uno spazio autogestito dove poterne parlare e discutere liberamente. Creiamo reti solidali, autoorganizziamoci!  

IL SILENZIO DEGLI AGNELLI

Il numero di agnelli uccisi per la pasqua è in diminuzione costante e da dieci anni a questa parte si è praticamente dimezzato, passando da 730.000 nel 2008 a meno di 380.000 animali nel 2018, con un calo del 10% solo nel 2017. (https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/03/29/agnelli-macellati-per-pasqua-i-numeri-diminuiscono-ma-restano-i-maltrattamenti-nei-macelli/4259373/ )
Quest’anno è stimato un ulteriore calo del 35% nel consumo di agnello durante le celebrazioni pasquali a causa delle restrizioni sanitarie imposte dal governo per il controllo dell’epidemia di Covid-19: ristoranti chiusi, grandi pranzi famigliari impossibili da realizzare e difficoltà economiche in aumento. (https://www.wired.it/economia/consumi/2020/04/10/agnelli-pasqua-coronavirus/ )
Senza dubbio tra le cause della continua diminuzione nel consumo di carne di agnello ci sono le campagne di sensibilizzazione animaliste ed antispeciste, che riempiono le città e il web di manifesti ed immagini degli agnelli in vita, che guardano dritti in camera da soffici prati verdi. Vero simbolo di innocenza e tenerezza, che a ben vedere è proprio il motivo per cui il loro sacrificio è legato alla pasqua: l’agnello rappresenta infatti il cristo che si sacrifica per l’umanità, in questa delirante tradizione gastronomico-religiosa. 
Purtroppo però il meccanismo simbolico è ancora in azione: decidendo di non mangiare agnello, di “salvare l’innocente”, spesso si esorcizza il senso di colpa e ci si sente redenti e tranquilli. Eppure tutti gli animali che finiscono nei nostri piatti sono cuccioli. I bovini vengono macellati tra i 10 e i 24 mesi, su una aspettativa di vita di circa 20 anni in natura. I maiali raggiungono il peso per la macellazione tra i 6 e i 12 mesi, quando potrebbero vivere fino a 15 anni, come i cani. Polli e conigli, che in media vivono per almeno 8 anni, trovano la morte tra i due e i tre mesi, o i 40 giorni per i polli da carne a rapido accrescimento (broiler). Unica eccezione, le femmine che prima vengono usate per la riproduzione e la produzione di latte e uova: ovvero mucche, galline e scrofe, che vengono macellate in media ad 1\4 della loro naturale aspettativa di vita. Se fossero umane, avrebbero più o meno vent’anni. Paradossalmente la loro sofferenza è maggiore rispetto agli animali macellati in più giovane età. (https://www.essereanimali.org/2017/08/mangiamo-cuccioli/ )
Con questa riflessione non intendiamo certo sminuire l’inutile e terribile sofferenza degli agnelli, documentata come ogni anno in una video indagine dall’associazione Essere Animali, che si occupa di inchieste e sensibilizzazione sulla condizione animale negli allevamenti e nei macelli. (https://www.essereanimali.org/2018/03/filmato-violenta-macellazione-agnelli-pasqua/ )
Né ci interessa ergerci a giudici e colpevolizzare quelle che per molti sono semplicemente abitudini alimentari, espressione di un problema sistemico della nostra civiltà, che si basa su un privilegio specista.
Intendiamo però lanciare come sempre semi di riflessione, come granelli di polvere da sparo pronti a innescare il pensiero critico, il ragionamento, il cambiamento. Nella speranza che possano propagarsi rizomaticamente, come auspicato da Amedeo Bertolo (https://lamicciaasti.noblogs.org/post/2020/04/02/consigli-di-lettura-1/ ),
sgretolando a poco a poco il calcestruzzo di un sistema che si basa sull’oppressione. Di specie, così come su quella di genere, razza e classe.