La memoria dei partigiani vive nelle lotte!

25 aprile ad Asti
Piazza Cairoli (piazza del cavallo)
H15:00.

Vi racconteremo la storia – inedita – di Nedo, un partigiano anarchico della nostra città! A seguire interventi musicali, la distro del Felix e tanta bella compagnia!

L’evento è all’aperto con spazio sufficiente per garantire la distanza e calda raccomandazione ad usare dispositivi di protezione individuale. Accertiamoci sempre del consenso nella vicinanza, prendiamoci cura di chi ci sta accanto.

Cacciamo i catto-fascisti dagli ospedali!

intervento della miccia al presidio di ieri

Il 2 ottobre 2020 la Regione Piemonte, presieduta dal forzista Cirio, ha emanato una circolare che limita l’uso del farmaco RU 486 per l’interruzione volontaria di gravidanza alle sole strutture ospedaliere, in opposizione a quanto stabilito in agosto dal ministero della sanità che ne aveva ampliato l’uso anche nei consultori. Un divieto esplicito che si accompagna, nella stessa circolare, ad un’iniziativa grottesca: l’apertura degli ospedali alle associazioni antiabortiste pro-life.
Oggi la regione dà seguito alla circolare inviando alle Asl le indicazioni per avviare collaborazioni con queste associazioni per la “tutela della vita fin dal concepimento”. Conosciamo bene questi gruppi e la loro narrazione, li abbiamo visti a Verona con i loro feti di plastica, li conosciamo  e rifiutiamo la loro interferenza sulle decisioni che riguardano solo noi e i nostri corpi. Ci propongono la loro retorica bugiarda e ipocrita “in difesa della vita” mentre lavorano alacremente proprio per negarci la vita e la libertà, cercando di privare ciascuna di noi di quella che deve essere una libera scelta. 
Condannare le donne alla maternità come obbligo è omicida perchè significa ricacciarci tra le grinfie dell’aborto clandestino. E questo proprio grazie ai cattofascisti del movimento pro vita che, ben lungi dal difendere la vita, hanno sulla coscienza le esistenze di migliaia di donne massacrate dall’aborto clandestino, dai decotti al prezzemolo, dalle grucce, dalla povertà, dall’impossibilità di scegliere. 
Questo vile attacco alla libertà delle donne è possibile proprio nel nome della legge 194 del 1978, che stabilisce le procedure legali per l’aborto. Una  usata come grimaldello per rendere più difficile quando non impossibile la scelta delle donne.
In Piemonte la 194 viene infatti usata come giustificazione per limitare l’aborto farmacologico e per dare spazio ai catto-fascisti: nella circolare emanata dalla giunta Cirio, le misure restrittive adottate sono giustificate proprio come attuazione della 194.
Sembra una contraddizione, ma è quotidianità. A fronte di tutto questo possiamo bene vedere le leggi per quello che sono: rappresentazioni ritualizzate dei rapporti di forza presenti all’interno della società. Lettere morte di movimenti vivi che hanno cercato e cercano tuttora di realizzare un’emancipazione totale della società e non solo piccoli miglioramenti parziali. Lotte che avendo incominiato a gustare un po’ di libertà erano intenzionate a prendersela tutta. Tante leggi, a posteriori definite “conquiste”, non sono state infatti altro che limitate concessioni a movimenti che miravano a ben di più. 
Oggi i percorsi della libertà femminile sono sotto il costante attacco di chi vorrebbe riproporre una visione patriarcale dei generi e di chi individua nella maternità un destino da cui le donne non devono sottrarsi, tornando docili nella gabbia familiare. La negazione delle identità non conformi e l’asservimento delle donne libere sono due facce della stessa medaglia, indispensabili alla riaffermazione della famiglia come nucleo politico ed etico del patriarcato alle nostre latitudini. La famiglia è la fortezza intorno alla quale i raggruppamenti identitari e sovranisti pretendono di ri-fondare un ordine politico e sociale gerarchico ed escludente, fondato sul privilegio e sull’oppressione di chi ne è escluso.
La giunta Cirio mira a cancellare i percorsi della libertà femminile, ponendo le donne sotto tutela: ci descrivono come soggetti deboli, incapaci di decidere per noi stesse e quindi bisognose di una guida che ci faccia desistere dall’insano proposito di essere libere.
Questo sostegno, nel caso della Regione Piemonte, arriverebbe dalle associazioni pro-vita. Enti che agiscono da decenni come soggetti privati ma oggi entrano nelle strutture sanitarie con il finanziamento della Regione e in osservanza alla legge 194.
“Il presidente della Regione e gli assessori alla Sanità e agli Affari legali precisano che tali indirizzi rispondono alla volontà, unanimemente condivisa dalla Giunta regionale e dai presidenti dei gruppi consiliari di maggioranza, di garantire il pieno rispetto delle disposizioni della legge 194 poste a garanzia della piena libertà di scelta della donna se interrompere volontariamente la gravidanza o se proseguirla”.
Nella neolingua del governo regionale piemontese, per difendere “la libertà di scelta della donna”, si finanziano gli sportelli delle associazioni antiabortiste.
Il vero nodo è la legge 194, la legge che, dopo la depenalizzazione dell’aborto, pose seri limiti alla libertà di scelta delle donne. La 194 è una gabbia normativa, che i nemici della libertà femminile hanno imparato ad usare.
Due anni fa l’Avvenire indicava nell’obiezione la strada maestra per rendere impossibile scegliere di abortire. In Piemonte oltre il 60% dei medici si dichiara obiettore. In molte zone d’Italia si arriva al 100%. Questa strategia è comune e diffusa in tutti gli ambienti reazionari come il modo più funzionale per ostacolare libertà come l’aborto o la transizione di genere: non negarne legalmente l’esistenza, almeno non ancora, ma renderle di fatto difficili da esercitare e quanto più possibile impraticabili.
Non vogliamo limitare la libertà dei medici di rifiutare di agire contro la propria coscienza, d’altra parte esistono decine di specializzazioni in cui un medico può formarsi senza mai sfiorare un aborto. Ma pretendiamo che si diano le condizioni perché nessuno limiti la libertà di scelta delle donne, perché nessuno metta a repentaglio le nostre vite, perché nessuno possa ricattarci, umiliarci, piegarci. 
Eravamo fuorilegge, siamo state messe sotto l’ombrello della legge: è tempo che si lotti per essere davvero libere. Senza legge.
Basta allo stigma e al ricatto sui nostri corpi, basta ai sensi di colpa patriarcali  con cui le associazioni pro-vita vogliono manipolarci. Cacciamo i catto-fascisti dagli ospedali! 
Lottiamo per spazzare via il patriarcato dalle nostre vite! 
Fuori preti e governi dalle nostre mutande!
Laboratorio Autogestito la Miccia
Abort the pope – grafica di postromanticqueerwave.noblogs.org

VAGLI A SPIEGARE CHE È PRIMAVERA – CONOSCERE IL CARCERE PER ABBATTERLO

Domenica 18 Aprile – H. 16 – Corso Alfieri (davanti Unicredit) – Asti

A un anno dalla rivolta nelle carceri italiane, primo appuntamento del percorso di informazione e lotta contro le prigioni.

Vagli a spiegare che è primavera
Un anno fa, nel marzo 2020, il governo risponde all’emergenza pandemica innalzando ancora di più le mura del contenimento carcerario. 
Il 22 febbraio 2020 il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria emana una circolare in cui si dispone che tutti gli operatori penitenziari, volontari e familiari dei detenuti residenti nelle zone rosse non entrino negli istituti penitenziari. Nei giorni seguenti gli istituti penitenziari avviano una politica di chiusura forzata al mondo esterno, sospendendo i colloqui e i regimi di semi-libertà. La risposta dei detenuti nelle carceri di mezza Italia è l’unica possibile. Radicale come estreme sono le condizioni in cui si trovano.
Tra l’8 e il 9 marzo scoppiano rivolte in oltre 70 istituti penitenziari a cui si aggiungono manifestazioni in altri 30 istituti su un totale di 189 prigioni sul territorio nazionale. 
I motivi delle rivolte riguardano il blocco dei colloqui con i parenti e la richiesta di maggiori garanzie rispetto alla gestione dell’emergenza sanitaria, in contesti dove il sovraffollamento è ormai un dato cronico. Alla fine di febbraio 2020 le carceri ospitavano 61.230 detenuti a fronte di 50.931 posti disponibili. Un tasso di affollamento del circa 120%, reso ancora più insostenibile dalla pandemia.
Mentre il governo stabiliva come far fronte all’emergenza sanitaria vietando gli assembramenti e imponendo la distanza minima di un metro tra le persone, i/le detenut* erano costrett* a stare ammassat* e ad essere espost* al continuo rischio di contagio per la presenza del personale penitenziario che entrava ed usciva dalle prigioni. 
Il bilancio di quei giorni è un bollettino di guerra: 13 morti, fatti passare dalle istituzioni pubbliche e dai mass media come “overdosi da metadone”, a seguito di frettolose autopsie e sbrigative cremazioni. Insomma se i detenuti muoiono durante le   rivolte   sono   dei   tossici   senza   speranza, talmente  poco  esperti  e  avvertiti  da  morire  di  overdose  da  metadone. Se invece sono  ammessi  alle misure  alternative  in  epoca  di  pandemia,  sono per forza esponenti  di  associazioni  criminali  di  stampo  mafioso  che  usano  le  rivolte  come  ricatto  allo stato.  Risulta incomprensibile come questo sia potuto accadere quando tutt* sanno che l’overdose da metadone è facilmente curabile: in dotazione da vent’anni in tutte le ambulanze, e ovviamente in tutte le carceri, c’è la fiala (miracolosa) chiamata Narcan, che riporta in vita i morituri. Ma, evidentemente, non venne usata; né a Modena, né durante i trasferimenti. 
Nei giorni successivi alla rivolta, una quarantina di detenuti verranno trasferiti dal carcere di Modena a quello di Ascoli. Tra loro Sasà (Salvatore Piscitelli) che morirà di lì a poco, nella più totale indifferenza delle guardie. Per rompere il silenzio cinque detenuti, tra cui il compagno di cella di Sasà, decideranno di presentare un esposto per portare a galla  una verità fatta di corpi offesi, uccisi e umiliati. Per strappare il bavaglio di silenzio legato attorno a quest’ennesima mattanza di stato.  
Ad un anno da questi episodi vogliamo dare nuovamente voce alle situazioni disumane che si vivono nelle carceri. Perchè il silenzio su quelle morti è assordante. Perchè ad un anno dalle rivolte nulla è cambiato e mentre noi cerchiamo di mantenerci al sicuro da questa pandemia le situazioni di rischio e sovraffollamento per chi sta in carcere non si sono modificate nella sostanza. Ad agosto 2021 i/le detenut* eccedent* la  capienza regolamentare dichiarata dal Ministero risultavano essere 3.347, con un tasso  di  sovraffollamento  del 105,93%. Le condizioni generali risultano poi significativamente peggiorate e non a caso quest’anno si è riscontrato il più alto tasso di suicidi dell’ultimo ventennio: 61 persone. 
Anche nel carcere di Asti ci sono state due proteste negli ultimi mesi a causa del dilagare del covid all’interno delle sezioni. Dopo il primo focolaio l’amministrazione ha pensato bastasse vaccinare alcuni detenuti ma dopo poche settimane la situazione è peggiorata nuovamente.
Perchè anche qui la pandemia non ha fatto altro che peggiorare situazioni già da tempo insostenibili. Perchè la crisi pandemica non ha fatto altro che svelare in tutta la sua evidenza una crisi che è dell’istituzione stessa carceraria. Di un carcere che ci dicono serva per riabilitare ma che produce nel 68.45% dei casi recidive. Un carcere che ci dicono che ospiti pericolosi mostri ma che è pieno per il 93 % di reati per droga e reati contro il patrimonio (furti o truffe). Reati dovuti nella stragrande maggioranza dei casi all’emarginazione e all’impossibilità di vivere diversamente in una società fondata sulla diseguaglianza economica più feroce.
La crisi di un carcere che a ben vedere non rappresenta altro che lo strumento di una guerra al crimine che nasce come discorso sicuritario contro gli abitanti dei cosiddetti quartieri “indecorosi”: i tossicodipendenti, le prostitute, gli homeless, gli immigrati e tutti coloro che vengono identificati come portatori di una pandemia di delitti minori. Queste persone diventano il capro espiatorio di quel senso di insicurezza e precarietà che invade la nostra società e che affonda le proprie radici ben altrove. In una vita resa sempre più precaria e sfruttata da governi e padroni, da politicanti e sfruttatori che ci fanno versare lacrime e sangue, alimentando la guerra fra poveri.
Il carcere, in tutto questo, non diventa altro che una discarica sociale, un grande contenitore in cui raccogliere e rimuovere problematiche che non trovano risposte adeguate. Una macchina mostruosa di esclusione e di sofferenza che non è possibile in alcun modo riformare ma solo abbattere una volta per tutte. Come si abbatterono i manicomi: istituzioni totali altrettanto mostruose e degradanti, le cui mura caddero solo dopo lunghe lotte e nonostante il timore instillato da chi voleva la malattia mentale imprigionata, isolata e punita. I veri criminali siedono in parlamento e nei consigli di amministrazione. Sono loro a costringere migliaia di persone alla fame e alla cosiddetta “delinquenza”. Un’altra società, che sappia fare a meno di prigioni e galere, che si fondi sull’uguaglianza, la solidarietà e il mutuo appoggio è oggi più che mai possibile. Oggi più che mai necessaria.

PRESIDIO TRANSFEMMINISTA

Quale sicurezza?

Fischi, scherni, insulti, palpate. Le aggressioni, le botte, gli stupri. La morte, per femminicidio o per suicidio in seguito alla diffusione di video intimi senza consenso o a violenze fisiche.Ogni donna, persona trans e LGBTQI+ ha vissuto sulla propria pelle la cultura dello stupro con cui si manifesta il patriarcato. Anche qui è capitato: nel 2017 Lydia, una giovane ragazza trans si è tolta la vita in seguito ad una violenza sessuale in un parco cittadino.Le telecamere c’erano, ma non è cambiato nulla. L’aggressore è stato condannato, ma ha davvero capito ciò che ha fatto?Il patriarcato è quello che ci ha insegnato a rassegnarci e sentirci vittime impotenti, a mimetizzarci e nasconderci, a non frequentare la città buia, a non bere troppo.Andiamo in bagno in branco e camminiamo veloci fingendo di telefonare. Impariamo a rispondere “sono fidanzata” ad una avance insistente invece di rispondere “vattene affanculo”, come se ciò che ci legittima a rifiutare quella proposta fosse solo che siamo già di qualcuno. Impariamo a cercare protezione nella famiglia, questa istituzione onnipresente che costituisce proprio la dimensione minima e necessaria del patriarcato.Infatti non per caso è proprio in famiglia che avvengono la maggior parte degli abusi, quando ci prendiamo troppe libertà o facciamo coming out. Troppo spesso è il partner che ci mena e ci violenta, ci manipola, ci priva della nostra indipendenza e se proviamo a lasciarlo è anche peggio. Non è difficile ritrovarsi in una quotidianità fatta di abuso in cui diventa normale essere sminuite, picchiate, minacciate e chiuse a chiave in casa, fino a doversi calare dal balcone per andare a lavoro spaccandosi i talloni, come è successo proprio qui ad Asti ad una donna che ha subito per anni violenze da parte del partner.Il patriarcato è quando denunciamo, quando ci facciamo refertare in pronto soccorso, e impariamo poi che non esiste misura cautelare in grado di proteggerci, e quando infine dobbiamo andare in tribunale ci troviamo non a testimoniare le violenze subite, ma a dover difendere la nostra condotta.Sì siamo sopravvissute, ma come eravamo vestite?Abbiamo bevuto? Lo abbiamo invitato a casa? Lo abbiamo provocato? Abbiamo forse causato quel raptus in qualche modo? Forse era solo folle d’amore. Lo abbiamo tradito o volevamo lasciarlo? Una narrazione tossica in cui i media sguazzano senza ritegno.Ci insegnano ad affidarci alle forze dell’ordine. Quando però sono i carabinieri a violentare, in tribunale le vittime si sentono chiedere se provano una segreta attrazione per gli uomini in divisa e se indossavano le mutande.Ad Asti solo nel 2019 ci sono stati più di 160 accessi di donne al pronto soccorso per violenza domestica. I numeri sono in crescita ma sappiamo che è solo la punta dell’iceberg, perché prima di arrivare al pronto soccorso sono decine e decine gli episodi che vengono nascosti.Durante il 2020 la pandemia non ha cambiato nulla nella sostanza: pur in un anno così anomalo più di 60 donne hanno dovuto rivolgersi al pronto soccorso. Nonostante il calo drastico degli omicidi in generale, le donne vittima di femminicidio sono passate dal 30% al 60% del totale, 15 solo in piemonte. Contemporaneamente perdiamo indipendenza economica ad un ritmo vertiginoso: di 101 mila posti di lavoro persi nell’ultimo anno, 99 mila erano lavoratrici donne.Non ci servono a niente strade piene di lampioni, telecamere e divise, perché la causa di tutta questa violenza non è nel buio dei marciapiedi e nella carenza di forze dell’ordine, è in un sistema che ci definisce come proprietà di altri, lavoro domestico e corpi gratis a disposizione di un sistema di potere patriarcale.Per questo non vogliamo che della nostra sicurezza si prenda cura lo Stato, con il suo apparato di forze dell’ordine, galere e confini, dispositivi schierati contro le nostre libertà.Nel nostro quotidiano possiamo smettere di lasciarci definire solo come vittime e agire. Possiamo partire dal riconoscimento degli abusi e delle forme in cui la violenza si manifesta ben prima di diventare eclatante, dalla creazione di reti solidali, centri di ascolto, possiamo sperimentare pratiche collettive e individuali di resistenza a queste dinamiche.Vogliamo essere libere, liberi e liberu e abbiamo ormai imparato che l’unica via di fuga da questo sistema è nelle nostre mani.

Per la nostra sicurezza dobbiamo distruggere la cultura dello stupro e il patriarcato.

LABORATORIO AUTOGESTITO LA MICCIA

CHIACCHIERATA TRANSFEMMINISTA – Verso l’8 Marzo

DOMENICA 28 FEBBRAIO @ BOSCHETTO DEI PARTIGIANI – ASTI. In caso di pioggia EX FERRIERE.

Troviamoci per confrontarci e parlare di cultura dello stupro, di patriarcato, di come ci mette a rischio e di come possiamo reagire quotidianamente, personalmente, senza delegare.

CULTURA DELLO STUPRO, VIOLENZA E COME POSSIAMO USCIRNE

Ogmi donna, persona trans e LGBTQI+ ha vissuto sulla propria pelle la cultura dello stupro con cui si manifesta il sistema di potere che chiamiamo patriarcato (o etero-cis-patriarcato) e come agisce nel quotidiano: fischi, scherni, insulti, palpate. Le aggressioni, le botte, gli stupri. La morte, per femminicidio o per suicidio in seguito alla diffusione di video intimi senza consenso o a violenze fisiche. Anche qui è capitato: nel 2017 Lydia, una giovane ragazza trans si è tolta la vita in seguito ad una violenza sessuale in un parco cittadino.
Le telecamere c’erano, ma non è cambiato nulla. L’aggressore è stato condannato, ma ha davvero capito ciò che ha fatto?
Il patriarcato è quello che ci ha insegnato a rassegnarci e sentirci vittime impotenti, a mimetizzarci e nasconderci, a non frequentare la città buia, a non bere troppo. 
Andiamo in bagno in branco e camminiamo veloci fingendo di telefonare. Impariamo a rispondere “sono fidanzata” ad una avance insistente invece di rispondere “vattene affanculo”, come se ciò che ci legittima a rifiutare quella proposta fosse solo che siamo già di qualcuno. Impariamo a cercare protezione nella famiglia, questa istituzione onnipresente che costituisce proprio la dimensione minima e necessaria del patriarcato. 
Infatti non per caso è proprio in famiglia che avvengono la maggior parte degli abusi, quando ci prendiamo troppe libertà o facciamo coming out. Troppo spesso è il partner che ci mena e ci violenta, ci manipola, ci priva della nostra indipendenza e se proviamo a lasciarlo è anche peggio. Non è difficile ritrovarsi in una quotidianità fatta di abuso in cui diventa normale essere sminuite, picchiate, minacciate e chiuse a chiave in casa, fino a doversi calare dal balcone per andare a lavoro spaccandosi i talloni, come è successo proprio qui ad Asti ad una donna che ha subito per anni violenze da parte del partner. 
Il patriarcato è quando denunciamo, quando ci facciamo refertare in pronto soccorso, e impariamo poi che non esiste misura cautelare in grado di proteggerci, e quando infine dobbiamo andare in tribunale ci troviamo non a testimoniare le violenze subite, ma a dover difendere la nostra condotta.
Sì siamo sopravvissute, ma come eravamo vestite?
Abbiamo bevuto? Lo abbiamo invitato a casa? Lo abbiamo provocato? Abbiamo forse causato quel raptus in qualche modo? Forse era solo folle d’amore. Lo abbiamo tradito o volevamo lasciarlo? Una narrazione tossica in cui i media sguazzano senza ritegno.
Ci insegnano ad affidarci alle forze dell’ordine. Quando però sono i carabinieri a violentare, in tribunale le vittime si sentono chiedere se provano una segreta attrazione per gli uomini in divisa e se indossavano le mutande.
Ad Asti solo nel 2019 ci sono stati più di 160 accessi di donne al pronto soccorso per violenza domestica. I numeri sono in crescita ma sappiamo che è solo la punta dell’iceberg, perché prima di arrivare al pronto soccorso sono decine e decine gli episodi che vengono nascosti. Durante il 2020 la pandemia non ha cambiato nulla nella sostanza: pur in un anno così anomalo più di 60 donne hanno dovuto rivolgersi al pronto soccorso. Nonostante il calo drastico degli omicidi in generale, le donne vittima di femminicidio sono passate dal 30% al 60% del totale, 15 solo in piemonte. Contemporaneamente perdiamo indipendenza economica ad un ritmo vertiginoso: di 101 mila posti di lavoro persi nell’ultimo anno, 99 mila erano lavoratrici donne.
Non ci servono a niente strade piene di lampioni, telecamere e divise, perché la causa di tutta questa violenza non è nel buio dei marciapiedi e nella carenza di forze dell’ordine, è in un sistema che ci definisce come proprietà di altri, lavoro domestico e corpi gratis a disposizione di un sistema di potere patriarcale. 
Per questo non vogliamo che della nostra sicurezza si prenda cura lo stato, con il suo apparato di forze dell’ordine, galere e confini, dispositivi schierati contro le nostre libertà.
Nel nostro quotidiano possiamo smettere di lasciarci definire solo come vittime e agire. Possiamo partire dal riconoscimento degli abusi e delle forme in cui la violenza si manifesta ben prima di diventare eclatante, dalla creazione di reti solidali, centri di ascolto, possiamo sperimentare pratiche collettive e individuali di resistenza a queste dinamiche. 
Vogliamo essere libere, liberi e liberu e abbiamo ormai imparato che l’unica via di fuga da questo sistema è nelle nostre mani. Per la nostra sicurezza dobbiamo distruggere la cultura dello stupro e il patriarcato.

In questa chiacchierata vorremmo partire da regole condivise da tuttx sullo spazio di parola, per cercare di autogestirci nel modo più inclusivo possibile. Queste sono le nostre proposte, se ne avete altre comunicatecele ????
Ne discuteremo brevemente prima di iniziare per assicurarci che siano condivise e rispettose di tutte le persone che parteciperanno:
♡ Nel rispetto di tutte le individualità, non diamo per scontato il genere e il pronome da assegnare alle altre persone
♡ Cerchiamo di gestire i tempi nel rispetto di tuttx soprattutto se siamo in tantə.
♡ Cerchiamo di non interrompere e non parlarci addosso.
♡ Tuttx devono poter parlare se lo desiderano, ci sarà quindi una moderatrice che darà parola a chi la chiede.
♡ Ricordiamo che questa è una chiacchierata inclusiva.
♡ Toccheremo certamente argomenti che ci accendono, ma cerchiamo di non dirigere rabbia e indignazione verso lx altrx partecipanti alla chiacchierata.
Aperto a persone di ogni genere, orientamento, età, forma e colore. 
Ricordiamo che L.A. Miccia è un collettivo libero, antifascista e transfemminista: fasc*, mach*, bull*, omofob*, transfobic* e razzist* non sono benvenut*.

Guerra al Covid o guerra ai poveri?

PUNTO INFO ANTIMILITARISTA
Sabato 30 Gennaio @ Corso Alfieri (altezza banca Unicredit) Asti
H 10:30
Verso la giornata del 13 febbraio a Torino

Il governo aumenta la spesa di guerra, finanzia la diplomazia in armi dell’Eni in Africa, accelera sul Tav e le altre grandi opere.
A dieci mesi dall’inizio della pandemia nulla è stato fatto per porre rimedio alle scelte criminali dei governi.
Negli ultimi 10 anni sono stati tagliati 43.000 posti di lavoro nella sanità. In Italia ci sono 3,2 posti letto ogni mille abitanti, contro i 4,7 della media europea. In Italia i posti letto sono calati del 30 per cento tra il 2000 e il 2017.
Il governo si è gingillato tra banchi a rotelle e ponte sullo stretto ma solo le briciole sono state stanziate per assumere medici, infermieri, assistenti sanitari, per aprire nuovi reparti, per la prevenzione e la cura nel territorio, per le USCA, le unità di assistenza domiciliare.
I sanitari che rendono pubbliche le condizioni in cui sono obbligati a lavorare sono sottoposti a provvedimenti disciplinari e rischiano il posto.
I soldi del recovery found non verranno utilizzati per tutelare la nostra salute, ma per sostenere le industrie, la lobby del cemento e del tondino, l’industria bellica e l’apparato militare.
Oggi la sanità è al collasso: i posti letto scarseggiano, non ci sono strutture e personale per curare adeguatamente tutti.
Per chi se le può permettere ci sono le cliniche private, la prevenzione, le cure. Per gli altri la vita è oggi più che mai un terno al lotto. Ma a decidere non è mai il destino. Decidono i governi.
I responsabili siedono sui banchi del parlamento, nei consigli regionali e nelle segreterie di tutti i partiti. Tutti hanno governato, trasformando la salute in business.
Nel 2020 sono stati stanziati circa 26,3 miliardi in spese militari, un miliardo e mezzo in più rispetto al 2019. Calcolate quanti posti letto, quanti ospedali, quanti tamponi, quanta ricerca si potrebbe finanziare con questi 26 miliardi e rotti di euro. Avrete la misura della criminalità di questo e di tutti i governi di questi anni.
La bozza di piano pandemico del governo per il 2021 rende “normale” l’orrore della scelta tra chi vive e chi muore in caso “le risorse non siano sufficienti”. Anziché migliorare il servizio sanitario, si decide che i più deboli e anziani non meritino la spesa. Lo stesso piano stabilisce che i responsabili di “fughe di notizie” vengano censurati: la verità sulla gestione della pandemia non deve essere resa pubblica.
Chi è povero, malato, anziano non merita di vivere. La sua vita è un costo insostenibile per chi sceglie di spendere per rinforzare l’apparato bellico che sostiene l’imperialismo tricolore e gli interessi di multinazionali come ENI e Leonardo.
I militari, promossi a poliziotti durante la pandemia, sono nelle nostre strade per affiancare le altre forze dell’ordine nella repressione di ogni insorgenza sociale.
Sono per le strade dei quartieri dove arrivare a fine mese è sempre più difficile, dove si allungano le file di poveri, senza casa, senza reddito, precari.
La crisi pandemica che ha colpito la maggior parte dei paesi europei ha prodotto una crisi sociale senza precedenti, che sta innescando momenti di rivolta sociale.
Se non ci sono i soldi per il fitto e le bollette, la tutela della salute diventa un lusso che pochi possono permettersi. Per mettere insieme il pranzo con la cena, molti si sono dovuti adattare ad una miriade di lavori precari sottopagati, senza reali tutele dal rischio di contagio.
La chiamano pandemia ma è una sindemia, perché il virus colpisce e uccide soprattutto i più poveri, quelli che più degli altri sono colpiti da malattie croniche, che dipendono dallo stile di vita, dall’esposizione all’inquinamento, dal cibo spazzatura, dal mancato accesso a prevenzione e cura.
Il coprifuoco serale, inutile per contenere il virus, è mera ginnastica d’obbedienza, uno dei tanti dispositivi disciplinari sperimentati in vista di possibili insorgenze sociali. La produzione non si deve mai fermare, costi quel che costi, mentre le nostre vite sono sempre più compresse.
Il governo teme le rivolte e elargisce elemosine a scadenza agli imprenditori colpiti dalle chiusure. Ma per i tanti che lavoravano in nero o con contratti di poche settimane non c’è né cassa integrazione, né “ristori”.
Il governo si è preso pieni poteri e utilizza strumenti fuori dall’ordinario. Lo stato d’emergenza è diventato permanente, per avere mano libera nella repressione delle lotte.
I tanti provvedimenti repressivi messi in campo nell’ultimo decennio per dare scacco agli indesiderabili, ai corpi in eccesso, ai sovversivi non sono sufficienti per un governo che ha deciso di mettere sotto controllo militare l’intera popolazione.
Presto finiranno blocco degli sfratti e cassa integrazione, presto non ci saranno più salvagente, presto gli ultimi saranno chiamati a pagare un prezzo ancora più alto per la crisi pandemica.
Per il governo le nostre vite non valgono fuori dalla gabbia del produci, consuma, crepa.
Le restrizioni imposte dal governo non basteranno a fermare il virus. Un virus che continuerà a correre finché la logica del profitto e della guerra sarà più importante delle nostre vite.
Fermarli dipende da ciascuno di noi. Salute e giustizia sociale vanno di pari passo.
Le fabbriche d’armi, le caserme, i poligoni di tiro, le basi militari sono a due passi dalle nostre case.
Gettare sabbia negli ingranaggi del militarismo è possibile ed urgente.

Federazione Anarchica Torinese
Assemblea Antimilitarista – Torino
Laboratorio Anarchico Perlanera – Alessandria
Laboratorio Autogestito La Miccia – Asti

NON È ANDATO TUTTO BENE

Siamo a dicembre. Sono passati 8 mesi dall’inizio della pandemia. Che cosa è stato fatto per porre rimedio alle scelte criminali dei governi degli ultimi 30 anni?
In 10 anni sono stati tagliati 43.000 posti di lavoro nella sanità. In italia i posti letto sono calati del 30% tra il 2000 e il 2017. Stando all’ultima classifica stilata da ItaliaOggi e Università la Sapienza, Asti si trova al 103° posto su 107 città italiane per quel che riguarda il parametro della Salute: un risultato disastroso in un quadro nazionale già di per sè molto preoccupante.
Con la scusa dello “spreco di risorse” si sono chiusi i piccoli ospedali sparsi sul territorio che in piena pandemia sarebbero serviti come filtri per le strutture ospedaliere più grandi. Esemplare in questo senso il caso dei “vecchi” ospedali di Alba e Bra, smantellati in favore della nuova unica struttura di Verduno. Un enorme affare per i privati e la curia, un grave danno alla salute dei cittadini che si vedono privati in questo modo di due importantissimi presidi sanitari territoriali. 
A tali scelte locali si aggiungono le decisioni nazionali in materia di spesa pubblica. Il governo in questo periodo d’emergenza invece di stanziare i fondi necessari per un’assunzione significativa di medici, infermieri, assistenti sanitari, per aprire nuovi reparti per la prevenzione e la cura del territorio, ha continuato a investire grandissime quantità di denaro in spese militari. Nel 2020 sono stati stanziati circa 26,3 miliardi nell’ambito della Difesa, un miliardo in più rispetto al 2019. A tali cifre si aggiungeranno gli stanziamenti provenienti dal Recovery Fund: dei 209 miliardi destinati all’Italia ben 30 miliardi andranno nell’acquisto di applicazioni militari, caccia bombardieri, elicotteri e altri strumenti di morte. 
E per non farci mancare niente ecco che nel pacchetto di aiuti europei salta fuori anche la linea TAV Torino-Lione: un’opera inutile, costosissima, dannosa per l’ambiente e per la salute,fortemente contrastata dalla popolazione residente. L’ultimo tentativo, in ordine temporale, di far confluire soldi nelle tasche di Confindustria, che da tempo fa pressioni per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali inutili.
A tale riguardo il confronto con altri paesi europei è impietoso. Solo 9 miliardi in Italia sono destinati alla sanità, contro i 35 miliardi della Germania, mentre sempre nel nostro Paese ben 27 miliardi sono destinati alle infrastrutture.
Ecco come spenderemo gli aiuti che dovrebbero servire per la sanità, la scuola e i trasporti pubblici davvero utili.
Ecco qual è l’agenda dei governi: tagli alla sanità, investimenti nell’industria bellica e palate di soldi in grandi opere inutili. La nostra salute per questi criminali non conta nulla. 
Di fronte a tutto questo cambiare rotta è più che mai urgente. Non per tornare alla normalità di prima ma per un mondo radicalmente diverso dove al centro stiano le vite delle persone e non le merci, gli interessi di tutt* e non di poch*. Cambiare le cose è possibile ma solo partendo dal basso, solo attraverso l’azione diretta, il mutuo appoggio e la solidarietà.
Non deleghiamo le nostre lotte all’ennesimo politico di turno, agiamo in prima persona! Auto-organizziamoci! Per un mondo dove la salute non sia un privilegio ma un bene di tutt*. Per una società senza più guerre nè eserciti! La possibilità che “vada tutto bene” dipende da noi.

*Volantinaggio e info-point Asti 19 Dicembre 2020*

Chiacchierata Transfemminista – Corpi e stereotipi nella società dell’immagine

25 ottobre – 16:30 presso Circolo Arci Sciallo, Parco Monterainero, Asti

Strizzare i rotolini, contare le calorie, misurare i centimetri, strappare i peli, farli crescere, colorare la pelle e i capelli, scegliere tra un’infinità di vestiti, e poi soprattutto come camminare, come sedersi, come rispondere o non rispondere ai messaggi, come guardare o non guardare le persone. 
Sono norme sociali che conosciamo così bene da seguirle senza neanche pensarci, consuetudini che investono ogni aspetto della nostra vita in modo diverso a seconda del genere, del colore della pelle, della taglia e dell’età. Queste regole non scritte ci vengono proposte fin dalla più tenera età già in ambito famigliare, e ossessivamente ripetute a scuola, nella società, e dai media con i loro innumerevoli tentacoli fatti di comunicazioni stereotipate e pubblicità martellanti. 
Modelli e stereotipi binari a cui dobbiamo adeguarci e per cui certi corpi saranno sempre non conformi e impossibili da accettare: persone con disabilità, persone queer e trans, persone grasse. Il prezzo da pagare è lo stigma, l’isolamento e una maggiore vulnerabilità rispetto al bullismo, alla violenza e alle aggressioni sessuali.
Naturalmente non c’è nulla di male nel decidere di aderire ad un certo modello estetico, che sia o meno uno stereotipo, ma vogliamo avere la libertà di scegliere liberamente e per questo è necessario comprendere l’origine di questi stereotipi di genere, maschili e femminili, e dello stigma che investe chi vi si allontana per qualsiasi ragione.
Capire ad esempio perché il modello estetico più idealizzato e commercializzato per una donna rispecchia sempre il suo supposto ruolo sessuale o riproduttivo, una bellezza ideale che ben si rispecchia nell’orrido modo di dire patriarcale e sessista “madonna o puttana”. Anche gli uomini hanno modelli di riferimento altrettanto stereotipati e distorti: un ideale che punta ad una virilità tossica, insensibile, priva di ogni vulnerabilità ed empatia: “l’uomo che non deve chiedere mai”, e l’altrettanto patriarcale galanteria iper protettiva che con i suoi gesti premurosi confina la donna in una condizione di debolezza e dipendenza.
Attraversare questa giungla estetica di simboli, norme e segni è pericoloso, umiliante, a volte mortale. Avere una mappa e buona compagnia può fare la differenza. Per questo vogliamo parlarne insieme!
Portiamo le nostre esperienze, le letture che ci appassionano, le idee per costruire una cultura diversa.

In questa chiacchierata vorremmo partire da regole condivise da tuttx sullo spazio di parola, per cercare di autogestirci nel modo più inclusivo possibile. Queste sono le nostre proposte, se ne avete altre comunicatecele ????
Ne discuteremo brevemente prima di iniziare per assicurarci che siano condivise e rispettose di tutte le persone che parteciperanno:
♡ Nel rispetto di tutte le individualità, non diamo per scontato il genere e il pronome da assegnare alle altre persone
♡ Cerchiamo di gestire i tempi nel rispetto di tuttx soprattutto se siamo in tantə.
♡ Cerchiamo di non interrompere e non parlarci addosso.
♡ Tuttx devono poter parlare se lo desiderano, ci sarà quindi una moderatrice che darà parola a chi la chiede.
♡ Ricordiamo che questa è una chiacchierata inclusiva.
♡ Toccheremo certamente argomenti che ci accendono, ma cerchiamo di non dirigere rabbia e indignazione verso lx altrx partecipanti alla chiacchierata.
Aperto a persone di ogni genere, orientamento, età, forma e colore. 
Ricordiamo che L.A. Miccia è uno spazio libero, antifascista e transfemminista: fasc*, mach*, bull*, omofob*, transfobic* e razzist* non sono benvenut*.

Smontiamo la gabbia! Ors* liber*! Corteo verso il Casteller

Smontiamo la gabbia.

Domenica 18 ottobre
H 11:00
Stazione di Villazzano – Trento

❗La tutela della salute delle persone che attraversano la piazza ha priorità assoluta. Indossa la mascherina e mantieni la distanza di un metro dalle altre persone.

La manifestazione durerà tutta la giornata, portati il pranzo al sacco, l’acqua, la mascherina, scarpe da montagna e indumenti adatti in caso di pioggia.

Fra il 1999 e il 2002 viene realizzato in provincia di Trento il Progetto Life Ursus finanziato dall’Unione Europea, con finalità di ripopolamento degli orsi bruni, all’epoca sostanzialmente estinti nell’arco alpino. Evidentemente, qualche ors* nei boschi fa bene al turismo e alle casse provinciali, deve aver pensato qualcuno. Ma bastano pochi anni e ci si rende conto che la presenza dell’orso Yoghi non è compatibile con un modello di turismo consumista e invasivo, nel contesto di un territorio in realtà ampiamente antropizzato.

Il risultato 20 anni dopo: 34 ors* “indisciplinati* scompars*, uccis*, imprigionat*. Tra loro gli orsi (chiamati dalle autorità) M49 e M57 e l’orsa DJ3, attualmente detenut* nella struttura/prigione del Casteller, la cui gestione è – con macabra ironia – affidata all’Associazione dei Cacciatori Trentini. M49 evade clamorosamente, superando e forzando barriere e recinzioni apparentemente invalicabili, nella notte del 15 luglio 2019 (neanche un’ora dopo esser stato catturato a causa delle numerose denunce di danni da parte degli allevatori della zona) e fugge nuovamente il 27 luglio 2020, per poi venire nuovamente catturato poche settimane fa. Suoi compagni di prigionia DJ3 (figlia di Daniza, probabilmente l’orsa più tristemente nota nella mala gestione della provincia di Trento) reclusa da ben 9 anni (metà della sua vita) ed M57, riuscito a trascorrere solo due anni della sua vita in libertà prima di essere imprigionato (la vita media di un orso in natura è fra i 30 e i 35 anni). È notizia di questi giorni che le condizioni psico-fisiche dei tre plantigradi sono state definite “inaccettabili” persino dagli organi di controllo istituzionali che, come da copione, propongono per voce delle associazioni veterinarie la costituzione di “comitati etici” per ripulirsi la faccia con la solita favola del “benessere animale”.

La classe politica che ha governato il Trentino ha più volte dimostrato tutti i limiti e l’ipocrisia di un’impostazione antropocentrica rispetto alla convivenza con gli altri animali. Ovviamente le cose non sono né cambiate né migliorate dall’insediamento della nuova giunta leghista (sì, proprio loro: i machisti dei banchetti a base di carne d’orso).
I milioni di euro che per il Progetto Life Ursus la Provincia ha ricevuto dall’Europa andavano spesi molto diversamente: progetti di educazione nelle scuole, formazione mirata agli operatori turistici, sensibilizzazione e informazione a tappeto a residenti e turisti, nell’ottica di una convivenza pacifica e rispettosa. E invece? E invece questa specie è stata presa, piazzata sul territorio, tolta dal territorio, uccisa, imprigionata, mostrata, nascosta, a seconda delle esigenze del potere.
Ma in conseguenza di quali colpe è stato deciso che la coercizione fisica di questi animali fosse necessaria? Il fatto è che gli animali selvatici hanno la pessima abitudine di comportarsi da tali. Non sono peluche, non sono gli animali depressi e tristi che vediamo negli zoo, resi inoffensivi dalla rassegnazione e dalle sbarre. Sono ors* che, come tutti gli individui, vogliono “solo” vivere liber*, scegliere cosa mangiare, dove andare, cosa esplorare, come giocare, oziare, odorare; e che, come chiunque altr*, se si sentono infastidit* o minacciat* reagiscono e si difendono. Ors* che fanno gli ors*, insomma.

Come gli esseri umani da sempre hanno resistito alle oppressioni e alle discriminazioni, anche tutti gli animali non umani mal sopportano prigionia e sfruttamento, aggrediscono per difendersi e provano a fuggire, talvolta con successo. È ora di aprire gli occhi, di comprendere che gli animali non umani sono l’avanguardia del movimento di liberazione animale. È ora di smettere di pensare che gli altri animali siano creature senza voce, per le quali è necessario usare la nostra. La voce è espressione di potere e descrivere gli animali come privi di essa toglie potere alle loro esperienze di ribellione. Oltre la narrazione tossica dell’animalismo “classico”, che vede gli altri animali come inermi che solo degli umani illuminati possono adoperarsi a salvare, esiste una consistente storia di ribelli e di ribellione ancora tutta da raccontare, di fronte alla quale il posizionamento degli individui umani non può che considerarsi come mera solidarietà. Riconosciamo la capacità degli animali di sottrarsi allo sfruttamento umano come una forza socialmente non trascurabile, una forza in grado di muovere le energie di associazioni, singole persone, gruppi locali verso una solidarietà che può essere definita senza dubbio politica. Una solidarietà attiva che si esprime nella consapevolezza di condurre lotte comuni tra sfruttat*, indipendentemente dalla specie di appartenenza. Aprendoci alla possibilità di adozione di un inedito sguardo decoloniale, scegliamo di dismettere il nostro privilegio di specie per metterlo al servizio della resistenza animale.

Nell’operato della Giunta Fugatti in questo particolare frangente, riconosciamo con evidenza le stesse politiche repressive nei confronti di tutti quei corpi indecorosi ed eccedenti, che varcano confini ed esprimono volontà di autodeterminazione, che mille volte abbiamo visto all’opera nei più disparati contesti di resistenza. Da sempre solidali con la lotta di chi viola i confini per riprendersi la libertà, ci schieriamo senza esitazioni dalla parte degli/le ors* ribelli.
Nella persecuzione contro di loro nella nostra piccola, periferica provincia non possiamo non individuare la comune matrice della più grande e cieca persecuzione ai danni di tutte le forme di vita terrestri che sta determinando a livello planetario la catastrofe climatica ormai alle porte.

Per questa ragione, nella decisione di schierarci al fianco di questi corpi resistenti, facciamo appello per allargare la mobilitazione a tutte le soggettività ed i collettivi impegnati nelle lotte ecotransfemministe, antirazziste, antifasciste e per la giustizia climatica, a tutt* coloro che credono che la mobilitazione contro la guerra totale al vivente attualmente in corso da parte del sistema capitalista vada fermata non tanto – per dirla con un’altra narrazione tossica – per “salvare il pianeta”, ma per provare a garantire alla nostra specie e a tutte le altre (animali e vegetali) la possibilità di continuare ad abitare la Terra. Crediamo fermamente che solo l’intersezione di tutte queste lotte possa ambire a scardinare il paradigma del capitalismo antropocentrico che ci ha già condotti dentro la sesta estinzione di massa. Un sistema rapace che attraverso un meccanismo distopico e perfetto distrugge e strappa territori ad animali ed umani, capitalizzando ogni respiro. E che avvelena anche il linguaggio ed il pensiero, relegando nella dimensione dell’irrilevanza e del silenzio, minorizzandole, tutte quelle identità che si discostano dal paradigma proprietario dell’antropocentrismo colonialista maschio e bianco. Noi non ci stiamo, e ci batteremo perché i prossimi mesi ed anni vedano l’attraversamento delle piazze da parte di una nuova ondata di ribellione globale generalizzata. Iniziamo da qui. Restituiamo agli/le ors* i boschi e le montagne in cui sono nati/e liber*.

Dalla parte della resistenza animale. Domenica 18 ottobre smontiamo la gabbia.

Ritrovo ore 11 stazione di Villazzano – Trento

La manifestazione durerà tutta la giornata, portati il pranzo al sacco, l’acqua, la mascherina, scarpe da montagna e indumenti adatti in caso di pioggia.

 

https://www.facebook.com/events/338039197258398/

Esplosioni 2020! La festa della Miccia

Il 27 settembre 2020 ci si becca al bosco dei partigiani (all’arena), per il secondo anno di Esplosioni, la festa dell’unico spazio autogestito in città! Durante la giornata vi aspetta della buona musica live, una mostra, birre fresche, dischi volanti, stampa libertaria, area bimbi e molto altro! State in campana nei prossimi giorni usciranno tutti i dettagli!

Facciamo esplodere il silenzio – inneschiamo l’autogestione!

Saremo all’aperto e in condizione di rispettare le precauzioni anti-covid: contiamo sulla responsabilità di ciascunx perchè l’evento sia accessibile a tuttx!